SUL 25 APRILE DI IERI E DI OGGI

Indice

  Note


  1. Sempre il solito Spettro....
  2. Qui Radio Londra...
  3. Torniamo alle "inique sanzioni"?

Il 25 aprile, non solo a Milano, sono scesi in piazza in molti: quanti, dopo la vittoria elettorale delle destre, hanno sentito il bisogno di reagire subito al pericolo di una nuova e più feroce aggressione ai lavoratori. Una reazione sana e condivisibile, perché dovrebbe esser evidente come per contrastare l'attacco della coalizione vincitrice che si fa forte, una volta di più, della legittimazione democratica delle urne, la sola arma efficace è e sarà la mobilitazione di massa. Per questa ragione anche noi dell'OCI abbiamo preso parte alle manifestazioni del 25 aprile e prenderemo parte ed appoggeremo, in futuro, ogni reale spinta di lotta contro queste destre e il loro governo.

Un promettente inizio o un colpo di coda finale?

Ciò non ci impedisce, però, né deve impedire a chi si sforza di leggere gli avvenimenti sociali e politici in un'ottica di classe, di giudicare la giornata del 25 aprile per quello che è stata realmente: un colpo di coda agonico di un resistenzialismo nazional-popolare sempre più spompato, organicamente incapace di una vera lotta vincente alla destra borghese, perché organicamente indisponibile a lottare fino in fondo (e neppure a metà) contro il capitalismo che la genera.

Anzitutto: non si è trattato di un vero e proprio momento di mobilitazione che possa costituire la premessa di un forte rilancio della lotta anticapitalista del proletariato, ma di una "democratica e composta sfilata" con protagonista la "opinione pubblica antifascista", una sfilata da usare, al massimo, come un "monito" nei confronti dei vincitori delle elezioni.

In secondo luogo: invece di proiettarsi in avanti predisponendosi al duro scontro di classe che ci attende, si è riesumato, con la testa rivolta all'indietro, il peggiore frontismo interpartitico e interclassista per riproporre quello che è soltanto un cadavere di "modello politico, istituzionale e sociale", la repubblica democratica "nata dalla resistenza".

Non si deve, perciò, assolutizzare la massiccia partecipazione al 25 aprile, e neppure le punte di maggiore combattività in essa presenti, astraendole dal loro effettivo quadro politico. Bisogna constatare, invece, come da qualche anno a questa parte le direzioni riformiste stanno lavorando a smantellare il potenziale di classe anche esaurendolo in sfilate di massa micidiali e smobilitanti per la loro impostazione politica, per le loro parole d'ordine e per i modi in cui si svolgono, a cominciare dalle due manifestazioni romane dei lavoratori. Non è stata la pioggia a rovinare la "grande festa d'aprile"; il sole avrebbe ancor meglio permesso di vedere che essa era solo una festosa corsa... al camposanto. Alla classe operaia serviranno ben altro che simili aprilate per contrastare e spezzare l'offensiva del capitale!

Perchè cadde il fascismo

Questo, in sintesi, sul 25 aprile 1994. Ma poiché esso è stato l'occasione di un rilancio della rettorica resistenzialista sulla "liberazione dal nazi-fascismo", non è male spendere qualche parola sul 25 aprile storico, sul fascismo e sull'anti-fascismo.

Il fascismo fu portato al potere dalle forze borghesi, e per non misteriosi interessi di classe, contro lo spettro dell'assalto al cielo proletario. Il riformismo di allora, che pure ancor parlava con Turati e soci di rivoluzione... per scongiurarla, fece da sponda al nemico disorganizzando e disarmando la rivoluzione, salvo poi a non trovar ricompensa da parte dei vincitori. La fine del fascismo è stata decretata dagli eventi bellici, dalla supremazia delle armi del più forte e devastante imperialismo, peggiore del nazismo in quanto quest'ultimo, ove le sorti belliche fossero state per esso positive, non avrebbe avuto strutturalmente le chanches per mettere la catena al mondo intero e disciplinare il proletariato internazionale, come invece hanno potuto fare gli USA.

L'antifascismo del proletariato e quello di Togliatti

La "resistenza" di classe al fascismo, durata lungo tutto il ventennio, e che è stata la sola, vera forza di opposizione al regime, non poteva che gioire e profittare della disfatta del suo nemico interno per riscatenare in pieno la propria battaglia. Ma, appunto per far questo, doveva separarsi inequivocabilmente dai nuovi "antifascisti", ovvero da quelle forze borghesi liberali e clericali che avevano spianata la strada al fascismo, e doveva contrastare la "liberazione" anglo-americana, opponendo ad entrambi il proprio fronte di classe, non solo italiano, ma anche, ed in primis, tedesco, e internazionale. Esattamente l'opposto di quel che è avvenuto: l'istintivo antifascismo vero del proletariato fu piegato dallo stalinismo, tanto quello di Togliatti, quanto quello presuntamente più duro dell'ala "sinistra" del PCI, alla collaborazione con i peggiori arnesi del cosiddetto "antifascismo" postumo, e cioè con le classi e il personale politico che, dopo aver usato Mussolini, se ne liberavano per proseguire e accrescere le proprie fortune.

Si cominciò col mettersi agli ordini di Badoglio, l'"eroe africano"!, e dei comandi USA (salvo le speranze nei comandi "alternativi" russi). Poi, nelle prime zone "liberate", nel Sud, si provvide alla mobilitazione forzata per la guerra "democratica" e ad epurare non i fascisti, ma quanti, intanto, si erano sognati di ricostituire degli organi sindacali di classe indipendenti dallo Stato (v. la CGL "rossa" meridionale, i cui promotori furono bollati quali "provocatori al servizio dello spionaggio straniero" e "agenti del nemico" da "smascherare e colpire"). Quindi, caduto il fascismo, vennero il disarmo completo dei gruppi proletari, l'amnistia per i (gerarchi) fascisti, etc. etc.

Guerra civile sì, ma non tra borghesia e proletariato

La guerra civile che si combatté in Italia tra il 1943 ed il 1945 fu così non tra due eserciti contrapposti di classe, borghese l'uno, proletario l'altro, ma tra forze combattenti su fronti militari opposti entrambi guidati dal nemico di classe. Vero che i proletari volontariamente in armi stavano di massima (benché non esclusivamente) da una parte, quella anti-mussoliniana, ed è facile da capire il perché. Ma questo non implica alcuna caratterizzazione proletaria del fronte partigiano, se non nel senso sociologico di carne da macello fornita per la causa della controrivoluzione vittoriosa, ben rappresentata nel mondo dall'egemonia del super-imperialismo USA (con l'URSS traditrice delle consegne internazionaliste del socialismo solo formalmente alla pari) e in Italia da quella del nuovo partito della borghesia, la DC.

Il nostro solo modo, il solo modo comunista, di onorare il sacrificio dei caduti proletari in quella carneficina sta nel dimostrare perché quella "scelta" fosse destinata al disastro, ad onta di tutte le ingenue attese dei militanti sani del partigianesimo. I quali, ove avessero potuto e voluto affermarle nel concreto, si sarebbero dovuti scontrare violentemente con la blindatura borghese e stalinista, e se ne hanno esempi precisi. La "teoria" della "resistenza tradita" dall'opportunismo, cara alla "estrema sinistra" ex-sessantottina (e fatta propria anche da una "Lotta comunista") è completamente insensata. Il terreno stesso del resistenzialismo era minato per la classe, in quanto questa, all'atto di entrarvi, era costretta a dismettere la propria autonomia a beneficio della rinascita della nazione, e cioè del capitalismo "nazionale".

Resistenza tradita?

Dice in proposito Secchia, il più sinistro (e per davvero) tra i capi del PCI dell'epoca: "L'insurrezione fu unitaria e nazionale per gli obiettivi che essa si poneva (corrispondenti alle aspirazioni di tutte le correnti democratiche e degli italiani amanti della libertà -che bello scampolo anzitempo di linguaggio liberal-democratico! -n.)... Con l'insurrezione i patrioti si proponevano di assicurare all'Italia una condizione di forza al tavolo della pace (un "Forza Italia" ante litteram, insomma -n.)... L'insurrezione nazionale si poneva l'obiettivo del socialismo? No (evidentemente -n.), l'insurrezione, come la Resistenza, non fu lotta per la rivoluzione socialista, ma lotta per la conquista delle libertà democratiche". Che erano andate perdute vent'anni prima, questo Secchia opportunamente lo "dimentica", proprio per la connivenza col fascismo, o per la impotenza davanti al fascismo, di "tutte le correnti democratiche" e "amanti della libertà" con cui ora si trescava. E, aggiunge categorico Secchia, non c'era alcuna velleità di procedere oltre, alcuna "prospettiva greca": "Nessun dirigente politico o militare responsabile dell'antifascismo militante avanzò mai neppure l'ipotesi di tentare un movimento insurrezionale contro le truppe alleate o di spezzare le barriere che le forze occupanti ponevano all'avanzata della democrazia, con dei colpi di forza" (1). A questa dirigenza bastava infatti il "grande obiettivo" del "vero Risorgimento d'Italia" veramente democratico, che -fatto curioso assai!- avveniva a braccetto con nuove forze occupanti enormemente più forti di quelle da cui ci si liberava, e fermamente intenzionate dal primo momento, quasi a voler fugare ogni dubbio sulla natura del proprio "anti-fascismo", a porre barriere all'instaurazione della stessa democrazia borghese. Proprio -manco a dirsi- sul versante delle libertà democratiche "per gli operai, per i contadini, per i lavoratori, per le classi oppresse"...per riconquistare le quali ci si era alleati con loro.

Il "tentativo di una rivincita di classe"

Nessun tradimento della resistenza, perciò: questa fu quel che doveva essere per la sua natura interclassista, nazional-popolare: una donazione di generoso sangue proletario per ricostituire la anemica, e famelica, carcassa del "nostro" fetente capitalismo. Vero è che in essa si esprimeva anche, nella azione dei gruppi di proletari armati, come affermò Amadeo Bordiga, "il tentativo (s.n.) di una rivincita di classe, di una manifestazione autonoma di forze rivoluzionarie tendenti a schiacciare tutte le forze nemiche degli strati sociali dominanti e sfruttatori" ("Prometeo", anno I, n.2, agosto 1946, p. 71). Ma la condizione fondamentale perché questa spinta di classe potesse realmente esprimere tutte le proprie potenzialità, era che venissero spezzati i ferrei vincoli contro-rivoluzionari imposti dall'imperialismo anglo-americano e dalle classi proprietarie interne ex-fasciste e neo-"antifasciste" (vincoli che il riformismo togliattiano fece propri e rafforzò). E che il proletariato italiano si riconnettesse al proprio naturale referente, il proletariato europeo ed internazionale.

Parola d'ordine comunista: Fraternizzazione proletaria

Per questo la parola d'ordine dei comunisti era, e resta, quella del "disfattismo rivoluzionario" e della "fraternizzazione proletaria". Un segno eloquente della devastazione prodotta dallo stalinismo e depositatasi poi sin nell'ultrasinistra è che parlare di fraternizzazione con i proletari in armi tedeschi sia oggi ritenuta, nel migliore dei casi, una ridicola utopia. Vorremmo ricordare a chi su tale "utopia" si permette, fessamente, di ridere che il proletariato tedesco era caduto in piedi solo nel recentissimo 1933, dopo avere dominato la scena della lotta ininterrottamente dal '19. Che una resistenza di classe, pur in una atmosfera "più seria" dal punto di vista borghese che quella italiota, non era mai venuta meno (2), ed era pronta a riesplodere in presenza di una scintilla comunista internazionalista realmente strutturata. In combutta con gli anglo-americani, invece, Stalin lavorò a impedire che questa possibilità si realizzasse, inchiodando il proletariato tedesco alla propria "nazione" ed al nazismo. Dividere la Germania significava dividerne il forte e "pericoloso" proletariato: questo il chiaro messaggio degli infami accordi tra le potenze "antifasciste".

Ciò nonostante, gruppi di rivoluzionari hanno mostrato in concreto come la fraternizzazione fosse possibile. Si prenda come esempio il vibrante appello lanciato nel dicembre '43, "In soccorso del proletariato tedesco", dal Segretariato provvisorio europeo della IV Internazionale, nel quale si condannano i "terroristici" bombardamenti alleati sulle città tedesche; si denunzia con forza la "bestiale propaganda" democratica di stampo razzista (vivissima ancor oggi "a sinistra"!) "contro il popolo tedesco", mirata a "confondere coscientemente le classi lavoratrici tedesche con la borghesia imperialista tedesca e con il suo strumento politico, il regime hitleriano". E si contrappone a questa "politica criminale" una politica di "solidarietà morale e materiale dei proletari di tutti i paesi nei confronti dei loro fratelli di classe della Germania" e di "fraternizzazione nei paesi occupanti con i lavoratori tedeschi in uniforme, contro i progetti imperialisti di una nuova pace di Versailles e per gli Stati Uniti socialisti d'Europa e del mondo", nel mentre che ci si appella con fiducia ai proletari tedeschi perché "intensifichino la loro lotta per il rovesciamento del regime hitleriano"(3). La formazione di cellule comuniste in seno alle SS ed il loro collegamento con i fratelli proletari di altri paesi, pur ad opera di sparuti gruppi comunisti(4), danno l'idea di cosa sarebbe potuto succedere in presenza di un forte centro comunista internazionalista.

Chi disarmò il proletariato?

Lo diciamo non certo per astratto interesse storiografico, ma perché se ne traggano i dovuti insegnamenti. Chi oggi sfila in buona fede "classista" in ricordo della resistenza, magari proponendone edizioni rivedute e corrette (in peggio), si ricordi bene -a proposito di "memoria storica"!- da chi l'Italia è stata realmente "liberata" e "defascistizzata". Si chieda dove e come una diversa classe sociale sia subentrata alla caduta del fascismo, o se invece non ci sia stata in questo trapasso una perfetta linea di continuità quanto alla classe socialmente, e politicamente, dominante; una continuità, spesso, perfino di personale politico umano, dai dirigenti industriali alla pletora dei sindacalisti "antifascisti" pescati dritti dritti dalle precedenti corporazioni. Si chieda, dopo essersi indignato per la "nuova destra" che sta andando al potere, chi nel '46 dal governo sancì l'amnistia per i fascisti anticipando quella "pacificazione" rivendicata, a cose già fatte, da Fini. E questo proprio mentre il costituente Terracini formulava e firmava articoli di fuoco contro il "sovversivismo" rosso, quali l'art. 18 della Costituzione con cui si dava copertura e sigillo costituzionale alle (mai toccate dagli "antifascisti") norme del codice penale fascista contro le associazioni "sovversive" ed "antinazionali" comuniste. Si chieda, insomma, da quali calde ceneri sia risorta l'araba fenice della destra, se non dal fertile terreno che le è stato predisposto per tempo dalla rinascita "democratica" e "resistenziale" del capitalismo nazionale, di cui sarebbe tragico continuare a non apprendere l'amara lezione.

Alla lotta contro la destra, ma sul serio!

Alla lotta contro la destra, dunque! E, per questo, alla lotta contro la borghesia e contro il capitalismo, senza nutrire alcuna illusione sul fatto che l'interesse proletario a sconfiggere il governo Berlusconi e le forze che lo sostengono possa utilmente convergere con quello di settori e forze borghesi e sotto-borghesi, che con Berlusconi e soci possono sì confliggere per davvero, ma solo per la spartizione del bottino fatto sulle spalle del lavoro salariato. Destra e sinistra borghesi, fascismo e democrazia non sono antagonistici, ma complementari.

Alla lotta contro la destra e contro tutta la borghesia dobbiamo andarci sulle posizioni programmatiche, politiche e rivendicative di classe. Il che non vuol dire, per la classe operaia, chiudersi in uno "splendido" e sterile isolamento, bensì l'esatto contrario: mettersi nelle condizioni di rigenerare, di riaccumulare le proprie forze per sé, e dall'alto di una sua ritrovata forza attrarre a sé, alla propria causa rivoluzionaria anti-capitalista, le altre classi oppresse di questa società. Laddove è proprio la politica di "ampio fronte interclassista" che l'ha portata all'isolamento ed alla debolezza attuale, con la quasi generalità, ormai, degli strati borghesi (gli alleati "democratici") ansiosi di rivalersi su di essa.

Contestando, all'atto stesso della sua fondazione, che la nuova repubblica avrebbe davvero aperto, come si sperava, un'era di "travolgente" avanzata progressiva per i lavoratori, i pochi marxisti rimasti fedeli al comunismo scrivevano: "ognuno può senza ardui sforzi teoretici constatare il senso trionfalmente progressivo della situazione in Italia; bilancio di cinquant'anni di peste bloccarda: la chierica avanza, il fronte rincula" ("Prometeo", anno II, n.10, giugno-luglio 1948, p.438). E' trascorso un altro mezzo secolo di peste "nazionalpopolare": di nuovo siamo costretti a constatare come, nella società prima che nelle urne, la destra avanza, i "progressisti" rinculano e -questo ci preme- fanno rinculare purtroppo tutto il movimento proletario. Perché il proletariato possa riprendere ad avanzare sul serio, bisogna sbarazzarzi definitivamente dallo "spirito" interclassista del 25 aprile, mortifero per gli interessi di classe. Questo processo sì che meriterà il nome di liberazione!


NOTE

(1) cfr. Aldo dice 26x1. Cronistoria del 25 aprile, Feltrinelli, 1973, p. 155.

(2) cfr. E. Collotti, La Germania nazista, Einaudi, 1962, pp.292 ss.

(3) Richiamiamo questo Appello come esempio di una attitudine internazionalista nonostante tutto non spenta ed ancora in campo nel corso della seconda guerra mondiale (v. anche il "Manifesto della Sinistra Comunista ai proletari d'Europa" del giugno 1944). Ciò non significa affatto cauzionare le posizioni e l'attività della IV Internazionale di quegli anni e, neppure, la posizione assunta da Trotzkij davanti alla seconda guerra mondiale, che riteniamo, nella sua assunzione della "difesa dell'URSS", gravemente errata e passibile anche di terribili conseguenze politiche (v. "Partito e Classe", n.5, dicembre 1979)..

(4) Alcune notizie in proposito sono in Les Congrès de la Quatrième Internationa-le, Editions La Brèche, Paris, 1981, vol.2°, pp.117-119.