Sempre in tema di resistenza e dintorni, merita d'esser segnalata la risposta che il direttore di "Liberazione" ha dato, sul n. 20/'94 di questo giornale, agli esponenti della "seconda mozione" che rivendicavano la necessità di "una libera discussione tra comunisti su come fronteggiare la svolta reazionaria in atto".
Voi, gli oppone il Diliberto, pretendete discutere proprio mentre il partito è impegnato allo spasimo nella madre di tutte le battaglie contro la reazione: la ben nota battaglia della scheda. Ciò è sconcertante, dice, e ricorda i "tragici errori del passato" compiuti da "quella parte, pur assai minoritaria, del movimento operaio italiano che si autodefiniva comunista ed internazionalista, ma che rifiutò di prender parte alla Resistenza antifascista ed alla guerra di Liberazione".
Ora, primo: non è che i comunisti internazionalisti si rifiutarono di prendere parte alla lotta contro il fascismo, essi che -alla testa del PCD'I nei primi anni '20- erano stati i soli a saperla impostare e condurre al modo comunista proletario, "questione militare" inclusa. Gli è che la "Resistenza antifascista" ciellenista, quella che affasciava in un solo fronte borghese il PCI, gli azionisti, i socialisti nenniani e la Dc, quella "Resistenza antifascista" che aveva strettissimi rapporti con l'imperialismo anglo-americano (ci siamo intesi, no?), osteggiò, ostracizzò ed eliminò fisicamente i comunisti internazionalisti, per evitare che la loro voce arrivasse ad influenzare il proletariato, ed in particolare i proletari in armi. Una nobile operazione contro-rivoluzionaria che lo stalinismo condusse in Italia in perfetta linea di continuità con la eliminazione della "vecchia guardia" bolscevica e terzinternazionalista.
Secondo: ad onta di tutte le menzogne che su di essi si imbastiscono, i comunisti internazionalisti riconobbero nei "gruppi generosi ed ingannati di combattenti partigiani" proletari una "tendenza ad organizzarsi ed armarsi per conquistare e conservare il controllo delle situazioni locali, e quindi del potere", che andava aiutata (non è vero forse?) a liberarsi da una "doppia illusione", circa la possibile tolleranza degli Alleati e dei borghesi "antifascisti" nei confronti dell'armamento delle masse, e chiamata alla lotta per la "propria causa", per la propria "sognata liberazione" (così il par. 18 della "Piattaforma politica del Partito" redatta da Bordiga nei primi mesi del 1945).
I "tragici errori" del passato stanno perciò da tutt'altra parte, e più tempo passerà, più sarà chiaro dove. E' per questo che lo spettro dell'autentico comunismo internazionalista, pur così minoritario, tormenta tanto ("non riusciamo a toglierci dalla mente"...) le mezzemaniche sotto-riformiste pronte, per "fronteggiare la svolta reazionaria in atto" -è chiaro, no?-, a razzolare nel pantano democratico fianco a fianco dei Del Turco, Visentini, Spadolini, etc., e a vomitare veleno contro ogni cosa gli ricordi alla lontana il marxismo combattente di Lenin, di Trotzkij, di Bordiga, arma irrinunciabile di liberazione degli sfruttati.