ALLA FAME, ALLA MISERIA, ALLE GUERRE
ED AI MOSTRI ALIMENTARI
PRODOTTI DALLA GLOBALIZZAZIONE CAPITALISTICA RISPONDIAMO GLOBALIZZANDO LA LOTTA E LORGANIZZAZIONE DI CLASSE PER IL COMUNISMO
Si produce troppo poco cibo?In Europa e negli USA i granai sono stracolmi, le celle frigorifero traboccano di immense quantità di carne e di burro, si produce "troppo" frumento e "troppo" latte, le mucche devono essere abbattute e la frutta mandata al macero, ma nel resto del pianeta la sotto alimentazione è cronica e crescente. La scienza e la tecnica applicate allagricoltura ed alla zootecnia fanno passi enormi, eppure per limmenso Sud del mondo ciò comporta solo impoverimento, denutrizione e crescente dipendenza alimentare. Mai come oggi si è assistito ad un crimine di tale portata per cui di fronte a tanta reale (ed ancor più potenziale) abbondanza quattro quinti dellumanità sono ricacciati nella più nera indigenza. Hanno ragione le masse rurali latino americane, asiatiche ed africane quando con le loro lotte dicono che la fame non è generata dalla penuria di prodotti agricoli o dalla scarsezza di terra e di mezzi esistenti, ma dalla loro distribuzione e dal loro utilizzo. E la globalizzazione capitalista che genera la fame e
che produce mostri alimentari
Intanto, a contorno di tutto ciò, anche gli agricoltori e gli allevatori (non proprio nullatenenti) europei sono sempre più colpiti e costretti a fare i conti con i diktat che il grande capitale emana attraverso le sue istituzioni "comunitarie" e si vedono sempre ridotti a semplici e totalmente subalterne appendici delle multinazionali. Le stesse lotte dei produttori di latte degli scorsi anni costituiscono proprio la dimostrazione di come sempre più oppressivo si faccia il dominio del grande capitale su tutta lumanità lavoratrice, di come esso inizi a diventare insopportabile persino per queste frange certamente non denutrite di lavoratori "autonomi" ("autonomi" sempre più di parola che di fatto). E questa stessa (sia pur limitata e per certi versi non priva di ambiguità) lotta non porta forse in nuce la critica allassurdità antisociale di un sistema che per "ragioni di mercato" impone la distruzione del latte a fronte di centinaia di milioni di esseri umani che il latte non sanno più neanche cosa sia? Guerra e fame: due facce della stessa medagliaEnormi finanziamenti pubblici (gli USA prevedono di stanziare 180 miliardi di dollari in "sussidio" allagricoltura nei prossimi dieci anni) alla propria grande industria agroalimentare, protezionismo e dumping: il dominio alimentare di un pugno di global company sullintera umanità è accompagnato, promosso e tutelato dai mostruosi apparati burocratici e militari degli Stati occidentali. E dove non si arriva con le "misure economiche" ecco pronte ad intervenire le cannoniere. I milioni e milioni di esseri umani assassinati ogni anno dalla fame sono laltro aspetto, laltra faccia di quella stessa guerra che lOccidente - dallIraq alla Palestina, dallAfghanistan alla Jugoslavia conduce senza quartiere contro i popoli che non si inginocchiano di fronte allordine del dio profitto e del dio mercato e che osano opporre resistenza alla rapina di ogni loro risorsa e materia prima. La FAO: unistituzione con cui dialogare?
Indietro non si può tornare"Tutti i popoli devono poter disporre di cibo e di acqua a sufficienza". Quando i movimenti contadini del Sud del mondo rivendicano la "sovranità alimentare" e la sottrazione dellagricoltura alle regole del WTO e del commercio mondiale, essi formulano con altre parole proprio questa "elementare" e sacrosanta esigenza. Certo, la penetrazione ed il dilagare del dominio delle multinazionali e le "ferree regole" dei mercati internazionali hanno distrutto le originarie strutture economiche e produttive agricole, hanno espropriato della terra e dello stesso "sapere" gli originari produttori, hanno devastato intere regioni e portato la fame a livelli cronici e di massa mai visti prima. Tutto questo è verissimo e tutto questo va combattuto senza esclusioni di colpi. Ma dopo oltre cinque secoli di colonialismo ed imperialismo che hanno autenticamente dissanguato interi continenti ed unificato (in modo certamente "combinato e diseguale", cioè nei termini più schifosamente possibili a tutto e solo vantaggio del più forte) a scala planetaria lintero ciclo produttivo, la risposta a tanto enorme disastro non può più essere quella di un "ritorno al passato" in cui ogni paese provvede "individualmente" a se stesso. Per tal via chi oggi ha continuerebbe ad avere sempre più, e chi oggi non ha resterebbe solo con la propria povertà da gestire. Il mercato alimenta le radici della miseriaTra coloro che giustamente vogliono opporsi ai vergognosi ed infami "squilibri" prodotti dagli attuali rapporti mercantili, è diffusa lidea che praticando e sperimentando dal basso un altro tipo di mercato - "equo e solidale" - si possa costruire un argine allo strapotere devastante delle multinazionali. Spesso questa "pratica" viene anche vista come un possibile strumento per avvicinare i popoli del Nord a quelli del Sud del mondo e per dare così respiro e aiuto alle battaglie dei continenti "colorati". Rompere quel maledetto muro di indifferenza che qui in Occidente troppo frequentemente circonda e soffoca le lotte delle masse del Sud del pianeta e, al contrario, promuovere il "contatto" tra i lavoratori ed i popoli è necessario, urgente ed indispensabile. A tal fine è giusto ed utile denunciare in tutti i modi (anche "concreti") come le regole imposte dal WTO, dal FMI e dalla Banca Mondiale siano non solo distruttive per la massa dei piccoli produttori asiatici, africani e latino americani, ma si rivelino dannose anche per i "consumatori" dellemisfero "grasso". E utile denunciare la speculazione commerciale delle multinazionali che fa si che il cacao venga prelevato dal contadino brasiliano a costo zero e qua venduto a peso doro. Ma allo stesso tempo è indispensabile sapere che nessuna reale risposta può giungere da un ipotetico ed impossibile "altro commercio". I mercati sono infatti da sempre per loro natura iniqui strumenti di rapina nelle mani di chi possiede masse enormi di capitale e forza militare. Quale scambio equo potrebbe mai esserci tra il piccolo contadino andino e la Fruit Company? Su questo terreno non ci sarebbe proprio partita. Unifichiamo e centralizziamo le lotte in unico fronte di tutti gli sfruttatiLunica vera sovranità alimentare in grado di assicurare a tutti i popoli cibo ed acqua può passare solo attraverso lorganizzazione e lunificazione a scala mondiale delle lotte sulla base di un programma che punti a distruggere alle radici lattuale assetto capitalistico internazionale ed a riorganizzare sulle sue ceneri lintera produzione (agricola e non) mondiale finalizzandola non al profitto, ma al pieno soddisfacimento dei bisogni dellintera specie umana. Una riorganizzazione dellintera società che si basi sulla fraterna, solidale e non mercantile cooperazione tra i popoli e che sappia e possa mettere al servizio delluomo senza rifiutarle - le scoperte della scienza e della tecnica in campo genetico ed alimentare che oggi invece, in mano ai sacerdoti del dio denaro, assumono funzioni e connotati sempre più distruttivi ed antisociali. Certo, il socialismo cioè lorganizzazione sociale di cui parliamo - non è musica delle prossime ore, lo sappiamo bene per primi noi. Ma allo stesso tempo diciamo che le battaglie dei braccianti e dei contadini indiani contro le multinazionali agroalimentari e delle bioteconologie, il sia pur limitato movimento di occupazione delle terre nello Zimbawe, le eroiche battaglie contro il latifondo in Brasile, già sin da ora pongono nei fatti la necessità ed il bisogno di una centralizzazione programmatica ed organizzativa delle lotte contadine e delle masse rurali a scala mondiale. Quando i Sem Terra brasiliani giungono a lanciare esplicitamente il grido "contadini di tutto il mondo unitevi", ciò avviene perché sempre più chiara si fa la percezione tra gli sfruttati e gli oppressi delle campagne che i vari "problemi locali" possono essere affrontati e risolti solo in una più ampia prospettiva, solo unificando le forze - ben al di sopra dei confini nazionali in difesa di comuni interessi contro un comune nemico. La lotta dei braccianti e dei contadini poveri del Sud del mondo per una reale e radicale riforma agraria, per migliori condizioni di lavoro e per i diritti politici e sindacali, non va infatti a scontrarsi "solo" con i governi e le classi dominanti e sfruttatrici locali, ma soprattutto con i grandi centri del potere economico e finanziario che stanno dietro e sopra esse e che alloggiano qui in Occidente. Queste spinte già in atto alla comune organizzazione e lotta devono essere rafforzate e supportate in ogni modo affinché non disperdano la loro enorme energia puntando a riformare le irriformabili istituzioni del capitalismo internazionale, ma invece vadano ad intrecciarsi e fondersi con le lotte e le analoghe spinte che iniziano ad esprimersi in tutto il restante mondo degli sfruttati. Con le lotte operaie che - dalla Corea del Sud agli Stati Uniti, dalle miniere del Sud Africa alle fabbriche della "vecchia" Europa - iniziano anchesse a trovarsi innanzi alla necessità sempre più stringente di dover cominciare a darsi una dimensione internazionale per fronteggiare loffensiva globalizzata del capitale. Con la lotta delle donne (è femminile, tra laltro, il 60% della manodopera agricola nel mondo) che rialzano la testa contro lo schiacciamento dei loro diritti e della loro esistenza e che nel 2000 hanno dato vita alla loro prima marcia mondiale "contro la povertà e la violenza". Con le indomite masse palestinesi ed islamiche aggredite dallimperialismo. Con le masse giovanili che ad un presente e ad un futuro di precarietà e miseria materiale e spirituale cominciano a reagire riempendo le piazze e battendosi contro i potenti del mondo. A Seattle come a Genova (nonostante il grado, spesso estremamente differenziato, di sfruttamento a cui sono soggette) tutte queste "componenti" delluniverso degli oppressi hanno iniziato a trovarsi fianco a fianco: il metalmeccanico statunitense con il contadino indiano, la lavoratrice brasiliana con quella europea. E questa la strada da perseguire e rafforzare per costruire un unico fronte internazionale del proletariato che alla globalizzazione capitalista con il suo carico di fame, distruzione e miseria contrapponga la globalizzazione della lotta e dellorganizzazione di classe per il comunismo. ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA |