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LEGHISMO E "UNITARISMO":
O LI BATTIAMO ENTRAMBI, O INSIEME CI TRAVOLGERANNO.

La situazione politica italiana continua ad avvoltolarsi in una palude, da cui si levano, ormai, fetidi miasmi. Le classi si approssimano del tutto impreparate agli uragani che si preparano dietro l’apparente pacificazione democorporativa. Non ne riderà la borghesia nazionale. Ma, non potrà giovarsene neanche il proletariato, la nostra classe, se non comincia a trarsi fuori dal "comune" pantano in cui sembra passivamente stare.

I segnali di ricomposizione di un fronte internazionale di classe (per ultimo la lotta all’Ups) potrebbero aiutare il proletariato italiano a superare in avanti il rischio di perdere la sua stessa unità nazionale. Ma per consolidare quella tendenza tutto il proletariato internazionale deve liberarsi dai condizionamenti delle direzioni di "sinistra" che piegano quelle manifestazioni a un accessorio delle più stolide politiche locali, tutte rigorosamente parlamentaristiche e neocorporative, o, peggio, se ne ritraggono fiutando il pericolo per esse qualora tale movimento dovesse svilupparsi e sfuggirgli di mano.

La parabola del riformismo giunge all’epilogo: dalla lotta per il socialismo con le riforme è transitato per le "vie nazionali al socialismo", poi per l’abbandono del socialismo a favore di un "capitalismo più umano", oggi perviene a dismettere ogni "diversità" con la prona accettazione delle "leggi del mercato" e delle necessità del capitale nazionale, limitandosi a cercare di smussarne gli effetti più duri sui lavoratori.

La deriva del riformismo incrina fortemente la tenuta della forza organizzata del proletariato, e ne consegna una parte crescente alle opzioni politiche reazionarie nelle diverse varianti nazionali e micro-nazionali. Non ne consegna, invece, alcuna a una dislocazione coerente su di un piano di classe.

Né lo scomparire dell’"anomalia" riformista, né lo sviluppo di tali soluzioni reazionarie, potranno, però, annullare l’irriducibilità del proletariato agli interessi delle classi dominanti, anche perché un’epoca di distribuzione al proletariato metropolitano di briciole più o meno consistenti che lo inducano a rinunciare alla lotta per un proprio programma di classe, non è più rieditabile.

L’insopprimibile esigenza del proletariato di battersi per i suoi propri interessi lo porterà a scontrarsi con qualsiasi possibilità di conciliarli con quelli delle classi sue avversarie, e ciò porrà oggettivamente e soggettivamente il problema di dare coerenza alle sue aspettative, riorientadosi a darsi sue proprie organizzazioni, sue proprie ideologie, suoi propri programmi, per sostenere l’inevitabile battaglia.

La soluzione è, in prospettiva, la nascita di un nuovo movimento proletario. Nuovo perché non nasce in continuità, come sviluppo o autotrasformazione quantitativa del quadro attuale, come crede chi si dedica a correggere dall’interno, o col fiancheggiamento "critico" esterno, i partiti "più operai". Ogni elemento del quadro attuale riformista deve essere scardinato da cima a fondo per passare qualitativamente oltre di esso.

Nuovo quanto a forme di organizzazione, programmi, radicalità, nonché per la messa in moto di settori proletari rimasti finora ai margini del movimento operaio ufficiale, ma che la "ristrutturazione" capitalista sta incrementando e sottoponendo a uno sfruttamento persino maggiore del proletariato organizzato.

Nuovo, fin dall’inizio, anche per rapporto al tema internazionale, perché l’intrecciarsi di crisi locali, nelle metropoli e nei paesi oppressi, lo solleciterà a superare d’un colpo gli orizzonti nazionalistici in cui il riformismo l’ha costretto.

Un movimento inevitabilmente influenzato dalla logica del "minimo sforzo", che porta "naturalmente" verso il riformismo, e che può lasciare il passo alla determinazione rivoluzionaria solo davanti a uno scontro radicale tra le classi (che va potentemente incubando nella crisi generale del capitalismo). Ma, pure, lontano da quel riformismo che conclude, ora, la sua micidiale parabola.

Ripartire da zero. Questa la realtà con cui la massa proletaria deve, in tutta la metropoli imperialista, fare i conti, e con cui devono fare i conti i comunisti. I quali, dal canto proprio, non ripartono da zero, ma da una base teorica e programmatica già forgiata dal marxismo, consolidata da Lenin e ribadita da Bordiga, anche per quanto attiene lo strumento fondamentale, il partito comunista internazionale.

Unire teoria e programma comunisti all’insorgenza delle masse è quanto spetta ai comunisti. Non nel futuro, ma già da oggi, con una battaglia teorica, politica, organizzativa contro il riformismo e le linee di deriva che si agitano nel proletariato e per ritessere la tela dell’unità di classe, superando i vecchi contenitori riformisti e i "nuovi" reazionari. Per restituire alla classe l’autonomia politica e organizzativa, per riprendere a battersi per l’unica soluzione possibile dei problemi suoi e dell’intera umanità: il comunismo.

E’ quanto i proletari coscienti possono fare solo organizzandosi in una organizzazione veramente comunista.

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