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Anticomunismo militante

SOFRI E I SUOI "COMPAGNI DI MERENDE":
LA LORO SORTE NON CI COMMUOVE AFFATTO

Del "caso Sofri" siamo costretti a parlare e lo facciamo, anche se malvolentieri, proprio perché tirati per i capelli.

Avremmo taciuto se Sofri, pentito eccellente del reato di comunismo, si fosse semplicemente limitato a protestare la propria innocenza in merito al "delitto Calabresi", com’è nel suo diritto, e ad attendere con un minimo di pazienza e riserbo la grazia che già gli si prospetta e che gli è dovuta da parte dello stato borghese per i servigi da lui prestatigli dopo la conversione e ciò a riparazione dell’errore amministrativo compiuto dai suoi giudici. Ma Sofri, e intorno a lui una canea insopportabile di "garantisti" di tutti i colori politici, col Manifesto a batter la grancassa, hanno voluto inscenare un controprocesso vomitevole per mettere sotto accusa non solo e non tanto il povero Marino, quanto tutto il ’68 e, più, la prospettiva stessa del comunismo, della rivoluzione. Al di là della richiesta di risarcimento penale per Sofri, l’operazione deve valere come macchina di indottrinamento delle generazioni proletarie (o comunque ribelli) del presente per riaffermare i valori dell’attuale ordine borghese. Perciò siamo costretti a... difenderci, ed a difendere le nuove generazioni di militanti da quella che suona come, ed è, una campagna d’ordine.

Riandiamo ai fatti. Nel ’72 il commissario Calabresi cadde vittima di "ignoti". Chi era costui? Era quegli che unanimemente si riteneva responsabile del "suicidio" di Pinelli, era un "fedele servitore dello stato" in assetto di guerra contro il vasto movimento di lotta sprigionatosi, tra i proletari, gli studenti e tutti gli "scontenti", nel ’68. Una storia costellata di battaglie e di sangue che oggi si vuol far dimenticare e cancellare per sempre, riducendo la questione al terreno su cui la pongono i giudici borghesi, cioè all’astratta questione del "delitto Calabresi" e se questo delitto abbia avuto o no un colpevole, e chi. Una questione personale del signor Sofri che unicamente sotto questo aspetto va affrontata e risolta (naturalmente assolvendo il sullodato). Corollario: degli "orrori" di quegli anni questa è l’unica vittima di cui meriti parlare, in quanto incarnazione dell’intangibilità dello Stato; sul resto silenzio, e condanna preventiva (ed unanime) per chiunque volesse di nuovo agitarsi. Sofri, di questo almeno certamente innocente, ed anzi buon propagandista del presente ordine sociale e politico, va perciò scagionato d’ogni accusa relativa a prima che si mettesse sulla via di Damasco. Se si ragiona in questi termini, il discorso non fa una grinza, indipendentemente dalle responsabilità pregresse. Ma è proprio su questa condanna per l’eternità del movimento di classe (su cui si sorregge la campagna pro-Sofri) che noi non ci stiamo.

Alla morte di Calabresi Lotta Continua glorificò la "giustizia proletaria" che si era compiuta, assumendosene, se non apertamente il merito, la prospettiva di portarla avanti a compimento, fino alla rivoluzione proletaria. La nostra parte guardò con commiserazione a questa fanfaronata tipica del movimentismo spontaneista "duro"; non perché -è ovvio- dovessimo piangere per Calabresi, ma perché la "strategia" di Lotta Continua (così come la sua "teoria" ed i suoi programmi) non portava da nessuna parte e preparava, anzi, il disfacimento del movimento. Su ciò la nostra critica, non contro la violenza rivoluzionaria, ma contro la disorganizzazione e la dissipazione spontaneista della violenza di classe, antiporta della sconfitta e (per i "più bravi") del ritorno forcaiolo in seno a Mamma Democrazia e Babbo Capitale.

Il resto dell’extraparlamentarismo di allora finse, in più d’un caso, di voler fare un discorso analogo al nostro, "dissociandosi" dall’ "avventurismo" di Lotta Continua. In effetti (ricordiamo per tutte una messa a punto dei Quaderni Piacentini), gli ex (già allora) sessantottini , a loro tempo innamorati del fucile maoista sulla cui punta sta la politica (se n’era parlato con fremiti entusiasti di partecipazione persino nei salotti della Rossanda e di Magri), si erano prontamente convinti che Parigi non vale tali messe e che conveniva operare nella democrazia e per la democrazia, con un po’ di "riformismo duro" (successivamente finito nel molliccio alla gorgonzola).

Lotta Continua replicava (e sin qui giustamente) a queste posizioni disfattiste rivendicando quelle che ad esse parevano le "lezioni del leninismo" (siamo sempre al millantato credito).

La risposta marxista ad entrambi i contendenti non poteva essere che quella della riaffermazione delle lezioni autentiche del Terrorismo e comunismo di Trotzkij e di Forza, violenza e dittatura di Bordiga, nonché, ovviamente, dei mille scritti di Lenin e Marx sul tema generale della rivoluzione, intesa a rovescio da Lotta Continua ed esplicitamente rinnegata dai suoi contraddittori "extraparlamentari". Una voce inascolatata, e i risultati si sono poi visti.

Sull’onda della "rivendicazione politica" dell’uccisione del Calabresi, Lotta Continua ingigantì provvisoriamente le sue file di militanti generosi ed iperconfusi in attesa di "addavenì Sofri" e "Sofri, dacce er via". In quel torno di tempo, i militanti internazionalisti godevano, tra di loro, di pessima reputazione in quanto "attendisti" e "legalitari", e pazienza sentirselo dire dagli sprovveduti della base, ma sentirselo rimproverare dai Sofri o dai Liguori era davvero il colmo. C’è occorsa parecchia pazienza, ma noi siamo bestie pazienti ed è per questo che siamo ancora qui.

Guarda caso, invece, di lì a poco Lotta Continua si sarebbe spappolata nella delusione per una rivoluzione che si ostinava a non arrivare mai e con nessun capo che si decidesse a darne il via e la massa dei militanti tenuti in precedenza malamente assieme dal "comune" vincolo spontaneista si squagliò d’un colpo, non prima di passare per tentativi di insurrezione... elettorale.

Questa dissipazione di forze militanti è il vero delitto che noi imputiamo ai capi di Lotta Continua. Il secondo delitto consiste nella rapida conversione dei "capi" di Lotta Continua all’ordine borghese sino ad un momento prima fieramente vilipeso e minacciato di morte. Tutti costoro, visto il fallimento della prospettiva rivoluzionaria di cui, in qualità di intellettuali piccolo-borghesi, si erano "offerti" come capi, non tardarono a trovare una conveniente sistemazione nei giornali, nel parlamento, nelle università, nei centri di potere del sistema, come già i loro colleghi di Potere Operaio. Ma non si accontentarono di ciò; vollero dimostrare la propria gratitudine ai loro padroni spargendo veleno sul comunismo, operando perché nulla rimanesse del movimento d’un tempo: "Ritornateve a casa" (a cuccia), questo il ritornello suonato a ciò che rimaneva della base ribelle da essi turlupinata. Craxi fu il primo a capire che "di intellettuali di questo valore non possiamo fare a meno", e mise a loro disposizione, per cominciare, un giornale, Reporter, per facilitarne il compito. Poi è venuto tutto il resto, grasso che cola...

Migliaia di generose energie proletarie sono state così delittuosamente falcidiate. Con la "piccola" differenza che l’operaio, il disoccupato, lo studente povero rimandato a casa non poteva stabilirsi in suites d’alberghi di lusso, in cascinali toscani etc., ma rimaneva solo a pagare, e duramente, per gli "errori" fatti ed a cui tutto aveva sacrificato in solido.

In quest’atmosfera è spiegabile il pentimento di un Marino, la sua "conversione" da derelitto, e, quand’anche non dicesse il vero sul "delitto Calabresi", dice la verità quando afferma: voi ci avete trascinati alla lotta, ci avete ingannati e traditi, lasciati in brache di tela e in preda ai "rimorsi". Conclusione miserevole, ma, moralmente, come si dice, più degna di pietà di quella di un Sofri.

Il quale, nel frattempo, dribblato anche Craxi, ha trovato modo di sistemarsi, tra gli altri posti messigli generosamente a disposizione, sulle colonne dell’Unità a fare il propagandista di guerra anti-serbo e ad invocare contro i serbi la "giustizia" americana a suon di bombe, non ancora atomiche solo per disgrazia, e a svolgere persino missioni umanitarie presso i banditi ceceni (evidentemente non attuabili senza la copertura e l’organizzazione logistica di potenze internazionali imperialiste). E noi osiamo chiedere: quanto del sangue sparso nella ex-Jugoslavia non sta addosso anche alla camicia griffata del signor Sofri? O questo non conta?

Conta, eccome!, per i borghesi, a tutto merito di costui e perciò s’è visto come, in occasione della sua condanna definitiva per una lontana scavezzacollata di gioventù da parte di un tribunale incosciente ed ingrato, il coro unanime dei difensori dell’ordine presente si è alzato in suo favore. Dalle TV di stato e private (quelle dei Liguori, "compagno di merende"), dai giornali della grande borghesia a quelli fondati da Antonio Gramsci o rifondati dalla Rossanda e da Bertinotti, con Sgarbi e la Majolo in prima linea per approfittarne nella loro campagna "antipentiti" (che non dovrebbe dispiacer troppo a tale Riina). La vittima, l’eroe..., mentre restano tranquillamente in carcere, ignorati o sputacchiati da questa nobile congrega, gli irriducibili, come, ad esempio, coloro che per aver esploso un sol colpo di pistola contro appartamenti dei killer USA di Aviano (fessata colossale!, o -se si vuole- infinitesimale), stanno scontando una decina d’anni ed oltre; come, soprattutto, la massa operaia che soffre nella quotidiana galera della fabbrica ed a cui non ci si stanca mai di predicare rassegnazione e tirate di cinghia.

No, amici, la sorte di Sofri non ci commuove. Tanto più in quanto sappiamo che nella sua cella d’oro non ha che da aspettare la liberazione promessagli già il giorno prima dell’incarcerazione. Per venirsene poi fuori a continuare e, se possibile, intensificare la sua missione di anticomunismo.

Non siamo ingenerosi. Il comunismo sarà un sistema senza galere. Possiamo aggiungere: e senza criminali. Liberare Sofri per mantenere intatta l’universale galera presente e rafforzarla anzi contro il "crimine" del comunismo, non è affare nostro. Ci pensi (ci penserà...) lo stato che gli deve tanto...

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