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Situazione politica italiana

NON SI PUO’ SFUGGIRE AL MERCATO MONDIALE.
BISOGNA COMBATTERLO.

Le scadenze di Maastricht s’avvicinano. Gli equilibri economici, sociali e politici dei paesi europei sono messi a rischio. Sotto l’incalzare della "globalizzazione" vacilla l’intera costruzione dell’"Europa sociale". I governi e le borghesie passano all’attacco sempre più deciso alle condizioni di vita e lavoro del proletariato.

Dinanzi a questo attacco, molti proletari e militanti sindacali e politici si chiedono se sia veramente necessario realizzare l’unione europea, se sia veramente inevitabile subire la "globalizzazione" e tutti i suoi effetti. Perché non concordare parametri diversi, di tipo "solidaristico", o rimandare le scadenze per ripianare senza traumi i bilanci statali, o, addirittura, rinunciare alla moneta unica, tenendosi chi l’agognato marco, chi la traballante liretta? E, ancora, perché non rifiutare la "globalizzazione", stando tranquilli a "casa propria", con i "compromessi sociali" risultanti dal conflitto tra classi di ciascun paese, limitandosi a scambiare, l’un l’altro, merci sulla base di regole fissate da istituzioni mondiali "veramente" democratiche?

Il perché è presto detto. Moneta unica, e relative tensioni, non sono dovute a scelte astruse delle "burocrazie di Bruxelles", o imposte dall’egemonia tedesca sul continente, cosicché basterebbe negarle o cambiarle per eliminare ogni problema. Sono il frutto della crisi profonda in cui versa il capitalismo mondiale, cui esso è dovuto obbligatoriamente arrivare dopo la fase di sviluppo post-bellico.

Quella in corso è, ormai, una vera e propria guerra, in cui l’arma principale è -per ora, prima di arrivare alle armi belliche- la potenza finanziaria complessiva: i mercati non si conquistano più, si acquisiscono, chi soccombe nello scontro, chi non raggiunge la soglia necessaria a dominare, è destinato a perire.

Come per aziende e singoli capitali, il processo riguarda gli interi stati. Quelli europei devono, gioco forza, lanciare la sfida agli USA, il più uniti possibile (per esser vera massa critica) e principalmente proprio sulla moneta. L’Europa capitalista non può continuare a subire lo strapotere del dollaro, pena il suo inevitabile declino.

La portata dello scontro è chiara agli USA, che cercano di conseguenza di sabotare il tentativo europeo. Riattizzano l’antica paura europea dell’egemonismo tedesco, rispolverando le efferatezze naziste, riproponendo l’uguaglianza nazismo/tedesco, cara anche agli antifascisti resistenziali. Scatenano gli "economisti" contro la Bundesbank, colpevole d’affossare con l’ortodossia monetarista il benessere europeo. Appoggiano Italia e Spagna a entrare nell’euro, cercando, per tale via, di indebolirlo. Ricorrono, persino, alla minaccia di istituzioni finanziarie americane -ebree e non- di boicottare le banche svizzere se non riaprono (dopo 50 anni di comune omertà!) i forzieri dell’oro versato dagli ebrei perseguitati dal nazismo.

All’Europa urge, dunque, una moneta unica al più presto. E urge che sia profondamente stabile, altrimenti si risolverebbe in un danno per gli stessi promotori.

Restare fuori dall’Europa non significherebbe rimanere immuni dagli effetti della guerra di concorrenza. Anzi, questi si riverserebbero in modo ancor più devastante sui paesi esterni alla "rete di protezione" europea, anche nel caso di loro completo asservimento alla potenza americana.

Per il proletariato non c’è possibilità di salvare le sue attuali condizioni arroccandosi in un’isola capitalistica protetta dalla globalizzazione dei mercati. Non è rinchiudendosi in un rifugio asettico che può difendersi, ma, al contrario, solo rispondendo come classe globalizzata, mondiale. L’attacco borghese si fonda essenzialmente sul mettere in concorrenza le varie sezioni nazionali del proletariato, di dividerlo all’interno di ogni nazione, anche a costo di disgregare interi stati. La risposta proletaria deve essere: rifiutare la concorrenza e lo scontro all’interno della propria classe, unificare le proprie lotte, la propria resistenza di classe, a scala internazionale.

Questa strada è meno difficile di quanto appaia, è la stessa crisi capitalistica che rende evidente al proletariato l’impossibilità di difendersi paese per paese, azienda per azienda, e il proletariato sta, sia pure a fatica, cominciando a percorrerla. L’hanno fatto (solo per citare i casi più recenti): gli operai coreani con l’appello alla solidarietà internazionale, i portuali di Liverpool che ricercano in tutto il mondo il sostegno alla propria lotta, gli operai belgi, francesi e spagnoli della Renault in lotta unitaria contro la chiusura dello stabilimento belga, gli operai argentini della Fiat di Cordoba, rivolgendosi ai colleghi italiani e brasiliani, ed è emerso un bisogno oggettivo di collegamento internazionale dalla stessa rivolta albanese. Qui è il vasto terreno su cui impegnare in modo fruttifero le energie militanti di classe, invece di porle al servizio del proprio capitale nazionale, chiedendogli, magari, in cambio di essere più tollerante nei confronti dello stato sociale e delle altre "garanzie" operaie.

Non è detto che l’Europa riesca a darsi unità, omogeneità e stabilità necessarie. La rissosità delle sue borghesi rende l’obiettivo altamente problematico. Se non vi riesce, il suo declino è assicurato, e sarebbe esposta a un conflitto sociale d’intensità tale da favorire il riemergere d’una seria alternativa proletaria anti-capitalista, comunista. Per resistervi (e cercare di rimandare la resa dei conti col proletariato) la borghesia europea non potrebbe, allora, che ricorrere a una nuova riunificazione europea fatta col ferro e col fuoco, à la Hitler, per intenderci.

Senza euro rischia di esplodere la lotta di classe. Per fare l’euro... anche. Da qualunque punto di vista la si guardi, una cosa è certa: la crisi del capitalismo affossa ogni "patto sociale" tra borghesia e proletariato, e rimette sulle proprie gambe la necessità per questo di dotarsi di nuovo di un proprio autonomo programma e partito di classe per rivoluzionare tutta la società, dopo aver preso esclusivamente nelle proprie mani il potere.

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