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Contratto Metalmeccanici

COME GETTARE AL VENTO UN POTENZIALE DI LOTTA

Indice

  • Carri armati e cavalleria
  • L’origine di questa gestione fallimentare della vertenza è politica.
  • Non serve indorare la pillola.
  • La nuova generazione operaia
  • Bisogna invertire la rotta, e subito!
  • I conti del contratto

    I sindacati lo avevano presentato come un rinnovo contrattuale pressoché automatico. Sulla base dell’accordo del 23 luglio, si chiedeva soltanto il "dovuto". Ma esso non è arrivato (v. scheda). E’ arrivato invece un risultato negativo, indiscutibilmente inferiore alle esigenze e alle aspettative dei lavoratori, e ben al di sotto di ciò che le potenzialità di lotta avrebbero potuto permettere.

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    Carri armati e cavalleria

    I CONTI DEL CONTRATTO

    Il contratto doveva servire a recuperare il potere d’acquisto perso dai salari nel periodo 1° luglio 1994/30 giugno ’98.

    Maggio ’96.
    Fiom-Fim-Uilm calcolano per un tale recupero un aumento di 262.000 lire (suppongono per il biennio 1.7.’96-30.6.’98 un 6% d’inflazione).

    Febbraio 1997.
    Sindacato e Federmeccanica firmano l’ipotesi d’accordo presentata dal governo Prodi: aumento medio di 200.000 lire a regime, pari a quello richiesto inizialmente se l’inflazione del biennio sarà, come dice il governo, del 4 e non del 6%.

    Tutto a posto allora? Manco per niente, perché oltre a ciò l’accordo prevede:

    1. la scadenza del contratto slitterà di 6 mesi. Il blocco dei salari nel secondo semestre del ’98 comporta una perdita del potere d’acquisto di 28.000 lire (se l’inflazione sarà nei 6 mesi il 2% previsto dal governo );
    2. la 13a mensilità non inciderà nel calcolo del TFR (circa 170.000 lire in meno all’anno).

    La gran parte degli operai metalmeccanici è inquadrato al 3° livello. Con 10 anni di fabbrica, essi avranno, a regime, un aumento nominale di £ 170.775, ridotte dal prolungamento di 6 mesi a un valore di 153.000!

    Non bastasse tutto questo, l’accordo prevede lo slittamento di un anno degli aumenti dovuti alla contrattazione articolata nel caso si sovrapponessero a quelli nazionali, e totale variabilità del salario aziendale. Per finire il governo Prodi si impegna sulla decontribuzione salariale: "restituzione" alle imprese dell’1,2% del costo degli oneri sociali deciso nelle ultime due finanziarie e dell’1% per i premi aziendali, oltre alla fiscalizzazione degli oneri sociali per il sud...
    Per fortuna che l’accordo di luglio e la strategia della concertazione avrebbero garantito l’automatico recupero salariale!

    "Non potevamo sconfiggere con la cavalleria i carri armati della Confindustria", si è detto da parte sindacale. Bene, anche noi partiamo da questo decisivo aspetto: i rapporti di forza generali tra le classi. Il contratto dei metalmeccanici ha rappresentato una lezione esemplare di cosa... non deve fare il proletariato se vuole rispondere davvero all’offensiva padronale. Nei nove mesi di trattativa il sindacato tutto ha rinunciato sistematicamente a mettere in campo una lotta vera, dura, generale, contro l’insieme dell’attacco, anche quando si è espressa una reale intenzione operaia a fare sul serio; tutto si è svolto nel "pieno rispetto delle regole e della democrazia", con scioperi diluiti nel tempo e divisi per categoria, territori e aziende (fino all’articolazione della lotta per "far male" solo ai padroni "cattivi") rimandando all’infinito la ventilata minaccia di sciopero generale.

    La stessa Fiom, che pure ha chiesto l’intervento delle altre categorie, ha accuratamente evitato di indurire la lotta, di "politicizzarla", mentre era questa la sola base per conquistare a una battaglia comune l’insieme dei lavoratori, perché l’attacco ai metalmeccanici era un attacco a tutto il proletariato e richiedeva, perciò, una risposta generale. Anche quando la lotta c’è stata (43 ore di sciopero, blocco degli straordinari, manifestazione nazionale di Roma, a riprova di una potenzialità tuttora viva) è stata indirizzata non per una battaglia di classe, ma per richiamare il governo a fare la sua parte. E si è visto, come l’ha fatta!

    Ben altre erano le potenzialità dei metalmeccanici. Nello stesso periodo, erano in lotta per il contratto gli edili, i trasporti, il settore delle pulizie; a scala internazionale si susseguivano le lotte dei portuali di Liverpool, dei camionisti francesi, dei lavoratori coreani, di quelli tedeschi, degli argentini della Fiat di Cordoba... Tutte lotte che richiamavano -oggettivamente e soggettivamente -la rottura delle compatibilità e l’unità internazionale. Qui, invece, si è affrontato lo scontro divisi per categorie e in un ambito strettamente nazionale (per non dire delle spinte territoriali-federaliste cui si è dato la stura). Con che risultati, è sotto gli occhi di tutti! Gli stessi Cobas non si sono affatto distinti dai sindacati ufficiali, chiedendo al massimo, a vertenza conclusa, una vera possibilità di esprimere... un voto!

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    L’origine di questa gestione fallimentare della vertenza è politica.

    Ma perché i sindacati non hanno messo in campo i carri armati del proletariato: lotta unitaria e generale, sciopero ad oltranza, senza limiti di tempo? Non era questa l’unica strada per una soluzione positiva del contratto, così come hanno dimostrato negli stessi mesi i camionisti francesi o gli operai coreani? La ragione è che i vertici sindacali temono di turbare il cammino del governo Prodi, ritenuto, al di là delle formali attestazioni di autonomia, un governo "amico"; è che essi sono spaventati dalla possibilità che un indurimento dello scontro sociale rimetta in discussione la politica dei redditi e delle compatibilità, facendo con ciò emergere un punto di vista operaio - per forza di cose anticapitalistico - che minerebbe la loro presa sul proletariato e svelerebbe il loro ruolo attuale di organizzatori di disfatte. E poi, si sa, i mercati (ormai alfa e omega dei riformisti di tutte le risme) non sopportano la conflittualità di classe... e, quindi, è interesse della nazione (unità interclassista) contenere i conflitti sociali.

    Rifondazione ha criticato la condotta dei vertici sindacali e del governo (che appoggia!). Ma il suo è un piagnisteo inconcludente. Nell’inserto di Liberazione sulla conclusione della vertenza dei metalmeccanici, M. Palermi così commentava: "imperdonabile che il governo abbia mancato l’occasione (?) ... quando ha lasciato che l’arroganza del padronato aprisse varchi nella stesura finale del contratto". La realtà è qui completamente capovolta. "Imperdonabile" è stato il comportamento del governo o del movimento operaio, in testa Pds e Rifondazione, addormentatosi nella fiducia nell’intervento del governo e nella sfiducia nelle proprie possibilità? Non basta dire che Prodi ha preso, alla fine, una posizione filo-padronale, presupponendo che poteva comportarsi diversamente. Le proposte di mediazione di Treu sono state le "migliori" misure di difesa operaia che si potevano prendere nell’ambito dei vincoli di mercato.

    Nella crisi capitalistica, infatti, e compatibilmente con essa, si possono "salvare" le condizioni operaie solo a condizione di... eroderle. A questa la morsa non può sfuggire neanche il più a "sinistra" dei governi (borghesi) possibili. Esso deve necessariamente far arretrare le condizioni immediate della classe operaia e spingerla alle inevitabili prove di forza da posizioni di maggiore debolezza, disorganizzazione, e, soprattutto, sfiducia nelle proprie forze. È questo il muro contro cui cozza ogni ricetta alla Bertinotti, che sogna (e illude la classe) un capitalismo al riparo della sempre più aspra concorrenza internazionale, che salvaguardi -con un pizzico di riduzione d’orario, una manciata di attività socialmente utili...- le proprie posizioni evitando lo scontro sociale. Mentre delle due l’una: o difesa del capitalismo nazionale, o difesa degli interessi operai.

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    Non serve indorare la pillola.

    Lo diciamo chiaramente, perché non c’è spazio per l’illusione, da nulla giustificata, di aver realizzato una tenuta: sono padroni e governo, la borghesia tutta, a uscire rafforzati da questo scontro; il movimento dei lavoratori ne risulta indebolito (altro che "un buon compromesso"!). Non solo, e non principalmente, per i ben miseri risultati economici raggiunti, ma perché non si è tenuto sulla questione politica dell’unità e della risposta allo smantellamento del contratto nazionale. E perché il modo in cui si è chiuso il contratto porta con sé una delusione operaia che sarà difficile, all’immediato, gestire in senso positivo, classista.

    Il padronato mirava a dare un colpo al contratto nazionale quale strumento unificante per tutti i lavoratori e all’organizzazione operaia. Non ottiene pienamente questo obiettivo (grazie alla mobilitazione dei lavoratori), ma ha aperto una breccia per la revisione dell’intera struttura contrattuale e salariale, in direzione dell’introduzione delle gabbie salariali, se non di nome, di fatto.

    Non è certo un caso che, appena chiuso il contratto dei metalmeccanici, si è aperta un’offensiva generale contro altri settori di classe (ferrovieri, postali, elettrici, edili...), e contro ciò che rimane da tagliare di pensioni, sanità, stato sociale. E in questo quadro avviene anche il riavvicinamento Prodi-Berlusconi per la riforma del welfare, la manovra finanziaria e le riforme istituzionali.

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    La nuova generazione operaia

    Per quanto riguarda le conseguenze della diffusa delusione operaia , è significativa la riflessione di Zipponi, della Fiom di Brescia: "il rischio è che quest’accordo, nelle fabbriche, spinga verso l’aziendalismo. Federmeccanica ottiene una vittoria politica e psicologica: trasmette ai lavoratori la convinzione dell’inefficacia della lotta che il sindacato fa".

    Proprio così. E ciò vale soprattutto per i giovani operai che, con questa vertenza, hanno "scoperto" -spesso per la prima volta- il valore e la necessità della lotta. Sono stati loro i protagonisti di molte mobilitazioni sindacali, ma il loro legame con il sindacato è senz’altro debole, e sarà proprio in questo settore decisivo di classe che il sindacato troverà più difficoltà a far ripartire le lotte.

    Essi hanno maturato che per difendere salario e condizioni di lavoro devono lottare, ma la delusione sull’operato del sindacato confederale si potrà tradurre, stante questo quadro politico, in una sfiducia nella lotta unitaria e generale, perché è questa che sembrerà non aver pagato. In assenza di un quadro di ripresa di classe, tutto ciò apre inevitabilmente le porte all’aziendalismo e al leghismo (cioè all’illusione -rafforzata proprio da simili accordi negativi- che l’unica soluzione sia quella di difendersi "per conto proprio", nella singola azienda, ovvero in una "Padania" che, recisi i legami con il Sud, possa concedere localmente ciò che la classe operaia non è riuscita a ottenere unitariamente). Non hanno perso tempo la Lega e il Sinpa (Sindacato padano) a criticare l’accordo e a legare il quadro rivendicativo -700 mila lire d’aumento- a quello politico (un "nuovo stato indipendente"). Le avanguardie di classe devono iniziare a fare i conti col fatto che un settore proletario, ormai rilevante, si riconosce nella prospettiva leghista e la vede come una possibilità reale per uscire dalle attuali difficoltà, che, indubbiamente, la "sinistra" e i confederali non sanno risolvere.

    Si tratta di attrezzarsi per saper rispondere in senso classista anche a questo "nuovo" tipo di obiezioni, mettendo a frutto le lezioni che ci vengono dalla tragedia del proletariato della ex-Jugoslavia, anche della sua sezione più "fortunata", quella slovena. Certo, in una futura Padania, in un primo momento, le condizioni immediate dei lavoratori potrebbero anche migliorare. Prima o poi però, le imprese del nord e il neo-stato padano, incalzati dai mercati internazionali e stretti dal "gioco diplomatico" delle grandi potenze (che già oggi stanno tutt’altro che con le mani in mano!), dovranno mettere sotto torchio la "propria" classe operaia e ripresentarle il ricatto oggi così di moda: o accetti più flessibilità, tagli salariali, ecc. o spostiamo le produzioni all’estero, magari in un Sud dell’Italia diventato la "Taiwan" del Mediterraneo. Il proletariato del Nord verrebbe a trovarsi stretto nella stessa morsa attuale, con la differenza di essersi indebolito da un punto di vista organizzativo e politico, in quanto sarebbe stato del tutto diviso e contrapposto (probabilmente anche sul piano militare) con i proletari del Sud. Questo è il baratro verso cui, nella più totale inconsapevolezza, sta andando la classe operaia italiana...

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    Bisogna invertire la rotta, e subito!

    Fare un bilancio impietoso della vertenza dei metalmeccanici è l’unico modo per costruire le condizioni per rovesciare la situazione. Abbiamo invitato a votare No all’accordo pur sapendo che non può certo il voto rovesciare la situazione generale. Non solo perché era scontata la vittoria dei sì (il "realismo operaio" non vede immediatamente praticabili altre vie), ma perché la strada della risalita passa per un rovesciamento della politica fin qui seguita, per la rimessa al centro degli interessi di classe. È tempo di prendere atto che non si possono difendere le condizioni proletarie, neanche su un singolo aspetto, se non ci si dota di una coerente linea programmatica e di azione anticapitalistica, svincolata dalle compatibilità imposte dalla "globalizzazione" e vincolata unicamente agli interessi del proletariato. Solo in questa prospettiva si può riconquistare quell’unità di classe che la sottomissione al mercato, ormai sottoscritta anche a "sinistra", sta distruggendo.

    Per non disperdere il patrimonio e le potenzialità di lotta va rimessa al centro una politica autonoma di classe, un programma di difesa dei propri interessi di classe, sganciati dalle esigenze del profitto, del mercato, dell’economia nazionale e aziendale; e su questa via dotando il proletariato di un partito politico che guidi e centralizzi la mobilitazione. Occorre affrontare le prossime battaglie che attendono il proletariato con la determinazione a battersi classe contro classe, ricollegandosi, imparando e prendendo forza dalle lotte, che si vanno moltiplicando a scala internazionale; occorre prendere nelle proprie mani la lotta e mettere in campo i classici metodi di classe (azione diretta, dura, sciopero a oltranza, allargamento e generalizzazione del fronte). Su questa prospettiva va incardinato il lavoro delle avanguardie di classe, un lavoro oggi controcorrente, ma obbligatorio per una reale ripresa di classe, per una battaglia a fondo contro il capitalismo.

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