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NO ALL'AUTONOMIA SCOLASTICA!

A luglio il governo Prodi ha presentato il suo progetto sull’autonomia scolastica. Fa parte di un disegno di legge sul decentramento amministrativo e anticipa la più generale riforma federalista dello stato che il nuovo governo intende realizzare. Discutere le conseguenze dell'autonomia scolastica permette dunque di avere un'idea su quelle che saranno indotte anche in altri settori da una modifica in senso federalista delle istituzioni statali. Vediamo cosa dice al riguardo l’anticipo sulla scuola.

Da T.Husén, Crisi della scuola. Scuola e società in prospettiva 2000, Armando ed., '74:

"Nelle società ad alto sviluppo tecnologico (...) lo status sociale non può prescindere dallo status istruzionale. (...) Nella società moderna il talento istruito è il sostituto del rango dato dalla nascita e del patrimonio ereditario" (pp.102-103)

Ma come e chi può raggiungerlo? L'autore cita uno studio dell'OCDE sulla scuola giapponese: "Poichè la carriera professionale è decisa dalle università di prestigio, da cui solo si accede all'establishement, si ha in Giappone una caccia serratissima ai voti e ai certificati che consentono d'accedervi. Ma, per questo, bisogna prima garantirsi un posto nella scuola superiore "giusta", e per garantirselo, bisogna prima assicurarsene uno nella scuola media "giusta", e così via, sino al nido d'infanzia! Come sempre avviene in un sistema selettivo, le opportunità migliori sono riservate ai giovani che provengono dall'ambiente familiare "giusto"". (p.61)

Il progetto del governo prevede che gli istituti scolastici diventino autonomi dal punto di vista finanziario e didattico. Che vuol dire? Primo: che a parte un contributo dello stato, gli istituti dovranno reperire i loro fondi attraverso le tasse d’iscrizione versate dalle famiglie in base al reddito. Secondo: che ogni istituto potrà decidere autonomamente la sua "offerta formativa", variando a piacimento i percorsi standard stabiliti centralmente dal ministero.

Non ci vuole la zingara per prevedere che questi cambiamenti renderanno chilometriche le differenze (già esistenti!) tra le scuole a seconda della classe sociale da cui provengono in maggioranza i loro studenti e a seconda della loro collocazione territoriale: un liceo classico rastrellerà ben più soldi di un tecnico o di un professionale; una scuola dell’obbligo della zona Magenta a Milano avrà un budget ben più fornito di un’altra che sorge a Baggio. O ancora: non avranno certo le stesse condizioni due scuole corrispondenti che siano l’una in Lombardia e l’altra in Calabria... Che finisca così, lo "teme" lo stesso governo se è vero che prevede un contributo statale "perequativo, allo scopo di recuperare gli svantaggi sociali e territoriali su tutto il territorio nazionale". Quanto inciderà questo contributo lo si può immaginare limitandosi a osservare che la spesa per l’istruzione (per bene che vada) si prevede rimarrà invariata nei prossimi tre anni.

Le conseguenze di tutto ciò? Tanto per cominciare: la borghesia avrà un’arma in più per mettere a punto un sistema scolastico a uso quasi esclusivo della sua gioventù che comprenda non solo (come oggi) il segmento universitario, ma l’intero ciclo formativo, dal nido al master di ultra-specializzazione; lo dovrà finanziare con le proprie tasse, è vero, ma così gli potrà garantire il livello di qualità richiesto per preparare il capitale umano destinato a dirigere l'apparato economico e statale capitalistico. Nel contempo, la borghesia chiederà il taglio drastico della spesa statale destinata alle scuole "degli altri". Non chiede forse già oggi di spostare questa quota della ricchezza dal salario (in questo caso indiretto) al profitto e alla rendita? Inoltre, dato che nelle fabbriche e nei servizi cresce la percentuale di lavoratori impiegati in mansioni vieppiù dequalificate, un’istruzione di massa qualificata è per lor signori un inutile dispendio. E ancora: dal loro punto di vista, è meglio avere i giovani proletari sulla strada, anzichè parcheggiati a scuola, in modo da poterli usare più facilmente come arma di ricatto sulla forza-lavoro occupata. Si potrebbe continuare, ma ci fermiamo qui, sottolineando solo un altro punto: il fatto che ogni istituto sia un’isola a sé ostacola lo sviluppo di un movimento di resistenza unitario e generale contro un simile attacco -e i futuri- alla "scuola di massa".

L'autonomia scolastica, lungi dal creare una scuola più vicina ai giovani proletari e in grado di far loro recuperare gli "svantaggi culturali" che li escludono dai segmenti "forti" del mercato del lavoro, minerà la scolarizzazione di massa ancor più di quanto non sia avvenuto in questi anni (altro che elevamento dell'obbligo scolastico!) e, insieme a ciò, aumenterà l'efficienza dell'istituzione scolastica nello svolgere il ruolo assegnatole, cioè di essere un mezzo per riprodurre le disuguaglianze e il dominio di classe della borghesia.

Le solite Cassandre, ci obietterà qualcuno! E allora vediamo cosa succede negli USA, il paese che annuncia le tendenze che si attueranno in tutti i paesi imperialisti. Su questo punto è uscito su l’Unità dell’8 luglio un articolo di Robert Reich estremamente istruttivo.

Già il titolo è un forte richiamo a uscire dal mondo dei sogni: "Usa, la secessione dei ricchi". "I ricchi -rileva l’autore- hanno sempre vissuto e lavorato in determinati quartieri della città, ma negli ultimi anni si sono ritirati in città tutte loro dove tassandosi provvedono autonomamente alle scuole, alle strade, ai centri ricreativi. Alcuni si sono persino trasferiti in comunità e centri residenziali recintati, sorvegliati da polizie private e con organizzazioni private che si occupano della manutenzione e dei servizi. Lavorano in complessi di uffici o torri di vetro e acciaio che godono della medesima protezione. Siamo testimoni d'un abbandono di tutti gli spazi sociali comuni: non solo i parchi pubblici, i mezzi di trasporto pubblici, le biblioteche pubbliche, le scuole e università pubbliche, ma persino la stessa idea di aspirazioni comuni e comuni responsabilità".

Reich denuncia questa cruda realtà perchè a suo dire la "secessione dei ricchi" minaccia la "stabilità futura del paese": "non ci si può nascondere dalle conseguenze della paura e disperazione. Non esistono muri sufficientemente alti da contenerle". Egli non capisce come la "classe dirigente" americana possa non vedere questo rischio, e sia anzi così "cieca" da incentivare la polarizzazione in atto: "miliardi di tagli nel settore dei prestiti agli studenti, dei programmi studio-lavoro, della formazione e di tutti gli altri strumenti mediante i quali i cittadini provenienti dalla classe lavoratrice o da famiglie disagiate hanno ancora la possibilità di migliorare la loro condizione. Proprio nel momento in cui più urgente è la necessità d'individuare percorsi per contribuire a colmare il crescente divario di reddito che minaccia la prosperità e stabilità del paese, tale atteggiamento appare privo di senso".

Privo di senso, in realtà, può apparire solo a chi, come Reich, crede che l’economia capitalistica globalizzata possa permettere la crescita del benessere di tutte le classi come è accaduto tra il 1950 al 1978. Eppure è lui stesso a fornire gli elementi per comprendere perchè oggi non possa più accadere una cosa del genere. Le trasformazioni avvenute nel capitalismo mondiale e americano negli ultimi anni, spiega Reich, hanno prodotto la "rottura del tacito accordo tra imprese e dipendenti: profitti alle prime e sicurezza del posto di lavoro ai secondi". "In questa nuova economia" non tutti i posti di lavoro sono "buoni", come accadeva una volta, ma solo quella fetta in cui c’è da "individuare e risolvere problemi, manipolare e analizzare simboli, creare e gestire le informazioni. I laureati è quindi probabile -non certo, ma probabile- che finiscano per spartirsi la fetta più grossa della torta (s.n.)". E’ quindi difficile stabilire la provenienza sociale dei giovani "vincenti"?

E gli altri, quelli che Reich chiama i "perdenti"? "Viaggiando per l’America ascolto le loro paure e vedo la loro delusione. Alcuni sono prigionieri di isole metropolitane di desolazione e violenza che si allontanano ogni giorno di più dall’alveo principale dell’economia. Altri hanno un lavoro, ma si tratta di un lavoro senza futuro. (...) Per tutta questa gente l’agognato sogno americano non è altro che un cinica menzogna". E non potrebbe esser che così visto che il "nuovo" capitalismo globalizzato, lo stesso che carbura l’ascesa dei vincenti, riserva alla massa dei proletari la disoccupazione o, al meglio, un impiego-spazzatura sempre più precario (e domani -un domani già oggi!- quello "stabile" di carne da cannone).

E' allora così difficile comprendere come mai, ad esempio sul terreno dell'istruzione, i "ricchi" secessionano? E come mai l'unica "spesa sociale" che cresce è quella destinata al sistema carcerario e repressivo? (In California, "la prima -dice giustamente Reich- ad essere lanciata nel futuro", nel 1980 è stato speso il 2% del bilancio federale per il sistema carcerario e il 12% per l'istruzione superiore. Le due percentuali diventeranno rispettivamente pari al 10% e al 9.5% nel 1996 e al 18 e all'1% nel 2002! Evidentemente la disciplina impartita nella "scuola di massa" (l'unica cosa che venga realmente insegnata!) non è più sufficiente per inoculare nei proletari servilismo e obbedienza alle leggi borghesi...)

Ma il "nuovo ambiente economico" non è nato in contrapposizione a quello della "fase di boom". E' stato proprio il "successo globale del modello americano" del dopoguerra, quello che tanto piace a Reich, ad aver partorito la "nuova America"; è stato proprio il meccanismo del mercato, quello stesso che Reich considera come forma migliore dell'organizzazione della vita economica, ad aver messo "al posto dell'America che cresce insieme" "un'America che cresce divisa". E allora, chi è colpito da "una grave forma di cecità", la borghesia americana che fa quello che le dettano le esigenze del suo impersonale sistema sociale, o un Reich che si aggrappa al sogno di voler vivere nel capitalismo senza gli effetti e gli antagonismi suscitati dal capitalismo? E come definire chi, per tornare in Italia, dai rami dell'Ulivo, crede di creare la versione italiana del "sogno americano" con un meccanismo, l’autonomia scolastica che, introdotta negli anni '80 in Usa da Reagan (!), è stato uno dei mezzi che ha agevolato colà la "secessione dei ricchi"?

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