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SPALLEGGIATO DALL’OCCIDENTE,
ISRAELE SI AVVIA ALLA GUERRA TOTALE
CONTRO I PALESTINESI E LE MASSE ARABO-ISLAMICHE

Dopo le tanto attese elezioni, e per spinte che le elezioni ampiamente travalicano, Israele ha virato ulteriormente a destra.

Se anche al timone dello stato israeliano fosse rimasto Shimon Peres, il Nobel boia dell’eccidio di Cana, ben poco, comunque nulla di essenziale, sarebbe cambiato. Ma l’andata al potere della coalizione delle destre guidata da Netanyahu rende la situazione ancora più chiara. La politica del nuovo esecutivo è stata ben definita dallo stesso Arafat come una "dichiarazione di guerra" ai palestinesi (una guerra, peraltro, mai sospesa da decenni). Come altro definire il riavvio selvaggio della colonizzazione della Cisgiordania, la affermazione del "diritto biblico" degli ebrei a tutta la terra di "Israele", il no a qualsivoglia forma di stato palestinese ed a qualsiasi discussione intorno a Gerusalemme, eletta a "capitale eterna e indivisibile" dello stato ebraico?

Lasciamo ai sepolcri imbiancati di una "sinistra" nei fatti sempre più filo-sionista, in quanto sempre più aggressiva nel suo essere social-imperialista, di domandarsi amleticamente se si tratta oppure no di una messa in discussione degli accordi di Oslo. Per noi è stato chiaro dall’inizio che il blocco e il disarmo dell’Intifadah e la capitolazione dell’OLP (registrata in quegli accordi) non avrebbero potuto avere altro effetto che una nuova intensificazione dell’attacco anti-palestinese.

A questo stesso esito cospirano sia l’evoluzione della situazione di area che quella della situazione internazionale.

Provatevi un pò a guardare al Medio Oriente con gli occhi della borghesia israeliana. L’Egitto di Mubarak è percorso da una tale insofferenza verso Israele da far reclamare al moderatissimo imam di Al-Azhar: "Gerusalemme deve tornare araba, con una soluzione amichevole o altrimenti con la forza". Per la prima volta nella sua storia, il regime giordano è scosso da una rivolta anti-governativa con epicentro nelle zone ad ascendenza beduina (non palestinese) che ha messo così a malpartito il piccolo-grande equilibrista di Amman da ridurlo a criminalizzare l’ombra di Saddam. A traballare più ancora delle altre due è la terza gamba della pax israelo-americana, la direzione di Arafat, sempre più invisa alla massa palestinese radicale che gli si è sollevata contro denunciando gli sporchi metodi coloniali della sua polizia. In Libano, poi, la resistenza all’occupazione è così viva che il "grande Tsahal", onusto di vittorie sugli arabi, rifiuta di avventurarvici via terra. Né va meglio ad est e a sud. La Turchia, con cui Israele aveva da poco concluso un accordo globale in chiave anti-siriana/anti-iraniana, ha ora un nuovo governo con dentro l’islamico Refah, che difficilmente potrà "onorarlo" in pieno. In Arabia Saudita le "liberatrici" invincibili truppe a stelle e strisce sono attaccate, inopinatamente, a suon di bombe (e che bombe!) fin dentro il loro quartier generale, e un fragore non meno sinistro hanno, per Israele e i suoi padrini, certi sermoni anti-occidentali e anti-israeliani sentiti in bocca a ufficialissimi ulema de La Mecca fiduciari del re. Perfino dai potentati petroliferi minori (Qatar, Bahrein) arrivano spifferetti maligni.

Per quanto l’anti-imperialismo arabo ed islamico, non solo quello delle borghesie, ma anche quello delle masse sfruttate, sia ben lungi dal trovare un terreno ed un programma di reale unificazione nella lotta contro Israele e contro l’Occidente, c’è, per i dirigenti dello stato ebraico, da farsi venire gli incubi. Anche perché la società israeliana è attraversata da contraddizioni sociali (vedi l’ultimo sciopero generale), etniche, religiose e politiche crescenti che ne mettono a rischio la capacità di tenuta sullo stesso piano dell’efficienza bellica. Non è un caso se, per la prima volta dal 1948, si inizia a discutere della fattibilità e convenienza di un esercito professionale. Evidentemente, l’esercito "popolare" di leva non dà più garanzie sufficienti.

Per impedire che si faccia più stringente l’"assedio" (oggettivo) arabo-islamico, ed anche allo scopo di frenare attraverso la mobilitazione nazionalista i processi di polarizzazione e scomposizione della società, la borghesia israeliana non dispone che di una carta: rilanciare in grande stile la guerra anti-palestinese e anti-islamica, anche facendo ricorso a mezzi estremi quali l’uso di quelle armi atomiche che Israele possiede in gran copia. La insistenza ossessiva che da anni Israele ha per i programmi nucleari veri o presunti di Iraq o Iran tradisce appunto l'intento di riservare a sé l’esclusiva dell’arma totale nell’ipotesi, data per certa, di una nuova devastante guerra con i propri vicini.

A spingere in questa direzione Israele non è solo l’indomita resistenza palestinese; non è solo l’estendersi dell’influenza dell’"anti-imperialismo" islamico; è l’intero establishment imperialista, di cui Israele costituisce la componente più estremista in quanto oggettivamente (non è questione di razza, evidentemente, bensì di classe, di storia e di geo-politica) la più esposta a rischio. E’ infatti l'intero establishment imperialista che ha messo la guerra al "terrorismo islamico", alla sollevazione anti-imperialista delle masse islamiche al primo posto della propria agenda per il proprio ordine nel Terzo Mondo. Ne sono note sia le ragioni strutturali (approvvigionamenti energetici a prezzi di svendita nunc et semper) sia quelle politiche, delle quali parliamo qui a fianco. E il tempo di questa nuova generale offensiva anti-islamica, parte integrante dell'offensiva anti-proletaria scatenata dal capitalismo su scala mondiale, stringe proprio a misura che si sta facendo più problematica la pace sociale metropolitana. E a misura che si profila minacciosa, come cosa del presente e non solo del futuro, quella Islamic-Confucian connection, quel reciproco farsi sponda "anti-egemonista" tra paesi islamici e Cina, e tra questo esplosivo binomio e la Russia, che tanto inquieta i più lucidi strateghi dell’imperialismo statunitense alla Huntington. Del resto, non si sta preparando a ciò con sistematicità e da lunga pezza la "pubblica opinione" con la martellante equazione islamico=barbaro, arabo=terrorista, arabo-islamico=nemico? Tanto per dire: nell’ultimo spot di finta fantascienza, l’hollywoodiano Independence Day presentato al festival di Venezia, i marziani da respingere e schiacciare non hanno forse, come succede da anni ed anni in simili prodotti della propaganda bellicista, le sembianze di medio-orientali? e non è di pubblico dominio che nella "nostra" Aviano son già operative e pronte per il lancio le atomiche destinate a far strage di libici?

Se questa mostruosa escalation della guerra anti-araba e anti-islamica è davvero inevitabile, quale stato occidentale è più "legittimato" a scatenarla di Israele, "vittima dell'olocausto"? E’ questa la criminale clausola (implicita) che gli USA e l’intero campo occidentale, non dissenziente l’URSS di Stalin, apposero a quella soluzione imperialista della "questione ebraica" andata in atto con la sconfitta del nazi-fascismo. Nei prossimi tempi essa dovrà esser passata per intero all’incasso, e si vedrà fino in fondo quale boomerang costituirà per gli stessi ebrei.

Arafat, è quanto dire, si è sentito a tal punto minacciato dalla piega che la situazione ha preso, da giocare avventurosamente ed anche avventatamente la carta del rilancio della lotta anti-israeliana e da minacciare perfino una seconda Intifadah. E se con una tal impennata è riuscito a guadagnarsi l’ambìto incontro con l’autore della "dichiarazione di guerra" al suo popolo, non per questo s'è data alcuna inversione di tendenza.

Si va dunque verso nuove guerre di aggressione anti-araba ed anti-islamica con protagonista lo Stato di Israele e, dietro di esso, l’imperialismo statunitense (per lo meno). Se vi fosse in campo un movimento proletario comunista degno di questo nome, esso lavorerebbe ad unire il proletariato occidentale e le grandi masse sfruttate del Medio Orientenella prospettiva della trasformazione della guerra imperialista in guerra rivoluzionaria contro l’imperialismo e per il socialismo. E si appellerebbe anche all'elemento non sfruttatore ebreo perché entri in un fronte di lotta che ne vuole l'affrancamento anti-capitalista, e non certo l'oppressione. Disgraziatamente, questo movimento non c’è, e non esiste neppure un suo significativo embrione.

E’ perciò inevitabile che i due fronti non classisti che verranno a crearsi, inizialmente, siano: Israele-Occidente ("civiltà") contro mondo arabo-islamico o parti di esso ("barbarie"). I comunisti ed i proletari più coscienti non potranno che schierarsi, in modo militante e senza riserve, come nella guerra del Golfo, dalla parte dei "barbari", per la sconfitta di Israele e dell’imperialismo. Lo faranno con l’obiettivo internazionalista di spaccare dall’interno il fronte imperialista, staccando dai rispettivi stati la classe operaia metropolitana, per fare di questa il punto di riferimento delle legioni di sfruttati arabo-islamici che questi nuovi scontri richiameranno sui campi di battaglia. Per aiutare queste legioni a sbarazzarsi dei "propri" capi borghesi, laici o chierici, delle loro strategie bancarottiere e dei loro apparati di sfruttamento e di dominio.

Solo così, per entro esperienze di scontro più drammatiche di quanto oggi non si immagini, potrà riaprirsi l'unica strada che può portarci fuori dalla vera barbarie del capitalismo putrescente: la strada della rivoluzione comunista che affratellerà gli sfruttati di tutte le razze e i colori.

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