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13.12.2007
Quello che segue è il volantino distribuito alle fabbriche e in alcune iniziative contro gli omicidi sul lavoro.
La
strage che ogni giorno viene consumata sulle carni della classe
operaia è il diretto frutto della moderna
globalizzazione capitalistica. Sono le regole del mercato e della
concorrenza mondializzata, ad imporre che in fabbrica e nel cantiere
i ritmi si facciano sempre più forsennati, che venga eliminato
ogni tempo “morto”, che si debba lavorare sempre più in
fretta e sempre più a lungo per produrre ogni giorno di più
e a costi sempre minori. Che generano lavoro “nero”, sfruttamento
minorile e costringono lavoratori e lavoratrici a turni massacranti.
Che, in una parola, stanno facendo ripiombare anche in Occidente il
proletariato in una situazione di schiacciamento simile a quella
vissuta nel diciannovesimo secolo all’inizio del processo di
industrializzazione capitalistica.
Per tutelare la
propria salute e la propria vita la classe operaia è chiamata
a fare i conti con questa realtà.
Come? Innanzitutto
iniziando ad abbandonare l’idea di potersi realmente difendere
affidandosi alle leggi ed
alle istituzioni che sarebbero chiamate a farle rispettare. La storia
del movimento operaio infatti insegna che le leggi possono, a volte,
tradursi in una (transitoria!) tutela per i lavoratori solo ed
esclusivamente quando se ne impone una loro applicazione ed
interpretazione con la forza e la mobilitazione di piazza. Se
volgiamo lo sguardo all’indietro possiamo ben vedere come la tutela
della salute in fabbrica e nei luoghi di lavoro sia stata sempre proporzionale alla quantità
ed alla qualità della lotta che la classe operaia ha saputo
esprimere. A cavallo degli anni ’60 e ’70, ad esempio, fu
soltanto grazie alla capacità di mobilitazione espressa che si
riuscì a costringere il padronato ad accollarsi tutta
una serie di costi “aggiuntivi” finalizzati non solo a proteggere
la salute dei lavoratori, ma anche a tutelare l’ambiente (e le
persone) circostante agli stabilimenti industriali.
Bisogna quindi
attrezzarsi affinché i padroni e i loro governi paghino un
salato prezzo politico ed economico ogni qualvolta un
lavoratore rimane vittima di un “incidente”. Bisogna fermare la
produzione per davvero (e non solo per qualche
simbolica ora), scioperare, “recar danno” alle aziende e
all’intero sistema.
Bisogna iniziare a
coordinarsi dentro e fuori le strutture sindacali per cominciare a
costruire le condizioni affinché la lotta
per la tutela della salute non resti confinata e separata all’interno
di ogni singola impresa e ”solo là dove si
può” , ma assuma caratteristich generali. Tale
lotta impone che si contrappongano gli interessi operai a quelli
della competitività aziendale e nazionale. La
salvaguardia della salute dei lavoratori non è compatibile
con la salvaguardia dei profitti e dei dividendi di azionisti e
investitori. E proprio per questo essa richiede ci si contrapponga
apertamente al governo Prodi che sul rilancio
della competitività delle aziende e del “sistema Italia”
ha basato e sta basando tutta la sua azione.
Una simile battaglia chiama a combattere e ribaltare da cima a fondo la politica dei vertici sindacali che subordina e lega sempre più in modo illusorio e suicida la tutela degli interessi operai a quelli delle aziende.
Solo andando in questa direzione si potranno gettare le basi affinché nei luoghi di lavoro (anche quelli piccoli e “a nero”) si inizi a superare il fatalismo, la paura di “muoversi” e la rassegnazione ad essere carne da macello per il capitale.
Ed è per questa strada che potrà essere affrontato il fondamentale compito a cui la lotta contro lo schiacciasassi del capitalismo mondializzato chiama i lavoratori: iniziare a “guardare” oltre i confini nazionali. È infatti a scala mondiale che il capitalismo globalizzato genera, attizza ed utilizza una crescente concorrenza tra i lavoratori dei vari paesi e continenti per imporre una micidiale e paralizzante competizione al ribasso tra operai di diverse aziende e nazioni. È questa la più tremenda arma di ricatto con cui si impongono condizioni lavorative sempre più massacranti e pericolose.
Questa arma deve essere strappata dalle mani del padrone. Per poterlo fare è necessario che, quantomeno tra i lavoratori più attivi, ci si cominci a porre l’obiettivo di prendere contatti e stringere legami di lotta con gli operai degli altri paesi e ci si incammini verso la riconquista di un programma e di un’organizzazione di classe che, a partire da ogni lotta immediata, faccia vivere la necessità di una battaglia a fondo contro il capitalismo internazionale nella prospettiva di una società in cui il lavoro non sia finalizzato al profitto, ma al benessere e alla soddisfazione dei bisogni dell’intera umanità lavoratrice.
Nel volantino erano presenti le seguenti due schede
Lacrime da coccodrillo
Al momento dell’esplosione i lavoratori investiti dal fuoco alla Thyssen erano in fabbrica da ben oltre otto ore: di fatto obbligati agli straordinari. Un orario estremamente lungo e faticoso favorisce il verificarsi di simili tragedie. Questo è certo. Altrettanto certo è che su questo tema quelle che stanno versando i vertici sindacali e qualche “ministro di sinistra” sono pure lacrime da coccodrillo. È di appena “ieri” l’accordo sul welfare firmato da governo, Confindustria e direzioni sindacali che prevede, tra l’altro, la detassazione delle ore di straordinario: un’autentico incentivo per le imprese a prolungare l’orario a costi ridotti
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA
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