17 novembre 2023
Per dare forza alla mobilitazione contro l’offensiva del governo Meloni
Le misure governative che tagliano ulteriormente la sanità pubblica, penalizzano di nuovo le pensioni, precarizzano ancor di più il lavoro, danno il via libera agli appalti selvaggi, colpiscono la scuola pubblica e promuovono una fiscalità interamente a favore delle banche, delle imprese e dei ceti medi accumulatori ed evasori, sono misure che non puntano “soltanto” ad erodere i salari e a rimpinguare i profitti. Esse puntano anche a un obiettivo politico: dividere e frantumare in mille rivoli il mondo del lavoro salariato per indebolirne la capacità di organizzazione sindacale e di mobilitazione. Lo confermano le precettazioni di Salvini, il continuo e malcelato desiderio della maggioranza di reintrodurre le gabbie salariali e la riforma istituzionale in gestazione.
La grande finanza, la Confindustria e i ceti medi accumulatori e parassitari appoggiano pienamente questa azione del governo Meloni, che trova il suo decisivo punto di forza nel sostegno fornitogli a scala internazionale dagli Stati Uniti, in cambio dell’allineamento alle politiche predatrici e neo-coloniali di Washington in Ucraina e Palestina. I governi e il padronato dei vari Paesi occidentali possono essere tra loro concorrenti sul mercato mondiale, ma si rafforzano e si sostengono reciprocamente quando si tratta di attaccare i diritti e le condizioni dei lavoratori. Proprio per questo, per dotarsi della forza in grado di fronteggiare l’offensiva del governo Meloni, occorre che anche i lavoratori inizino ad alzare lo sguardo oltre i propri confini aziendali e nazionali.
Appena qualche mese fa i lavoratori del Regno Unito, britannici e immigrati, sono scesi in campo per difendere e potenziare la sanità pubblica. In Francia, la primavera scorsa, i lavoratori si sono mobilitati in massa contro la “riforma” del sistema pensionistico varata da Macron. Nelle scorse settimane, negli Usa gli operai della General Motors, della Ford e del gruppo Stellantis hanno scioperato per strappare forti aumenti salariali e contro la precarietà. Non sono esigenze simili a quelle per cui oggi scioperiamo qui in Italia?
Battersi per porre le basi affinché si possano iniziare a costruire veri (veri!) legami di discussione e di organizzazione con il mondo sindacale del resto dell’Occidente è una necessità sempre più imprescindibile.
Ma c’è anche un’altra fonte di forza per la nostra mobilitazione: quella delle masse lavoratrici e oppresse del Sud del mondo. Quella degli scioperi e delle agguerrite manifestazioni che le operaie tessili del Bangladesh stanno conducendo contro le paghe da fame e la repressione imposte dalle nostrane multinazionali e dal loro governo. Quella dell’eroica resistenza delle masse palestinesi a Gaza e in Cisgiordania, dove Israele (finanziato e armato dagli Usa e dall’Europa intera) vuole dare un terroristico colpo di grazia a un popolo che da oltre settant’anni non china la testa e si difende come può da una delle più brutali occupazioni che la storia ricordi.
Dietro e con Israele vi sono i poteri forti capitalistici occidentali, quegli stessi poteri che dettano quotidianamente l’agenda al governo Meloni. Anche per questo è interesse dei lavoratori d’Italia guardare con simpatia e sostenere praticamente la lotta (qualsiasi ne sia l’attuale guida politica e organizzativa) delle masse oppresse di Gaza e della Cisgiordania. Il governo, le istituzioni e il sistema delle imprese italiane sono corresponsabili dell’aggressione israeliana. Non ingannino le loro cosiddette “iniziative umanitarie” (come ad esempio la nave militare-ospedale spedita dal governo Meloni verso Gaza). Iniziative di tal genere (è anche la recente storia del Libano e dell’intero Medioriente a insegnarlo) servono solo per tentare di indebolire politicamente i movimenti resistenziali e predisporre nuove aggressioni: è il lupo che si traveste da pecora. Un vero aiuto a Gaza può venire dal propagandare nei luoghi di lavoro le sacrosante ragioni del popolo palestinese, dal denunciare il ruolo svolto dai governi occidentali e dal predisporre il terreno alla costruzione di una mobilitazione di massa che imponga lo stop dei finanziamenti e degli invii di armi verso lo Stato d’Israele. Una mobilitazione che rafforzerebbe nello stesso tempo anche la capacità di lotta contro il governo Meloni e le sue politiche anti-proletarie.
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA