08 ottobre 2022
Non aspettare il nuovo governo alla prova.
Gli assi del suo programma anti-proletario sono già chiari.
I risultati elettorali del 25 settembre sono il riflesso di quanto da anni sta accadendo nella società italiana: da un lato, la frammentazione, le difficoltà e la passivizzazione del mondo del lavoro salariato; dall’altro lato, la progressiva aggressivizzazione dei ceti borghesi accumulatori e parassitari, passati in massa dalla Lega e da Forza Italia a Fratelli d'Italia per vedere accresciuti i loro già ampi e putridi privilegi.
L’alta finanza e i vertici di Confindustria, resisi conto che al momento il centro-destra guidato da Meloni è il meglio di quanto passa per loro il convento della politica istituzionale, hanno deciso di puntare (almeno transitoriamente) su questo cavallo: benché non perfetto, lo ritengono utile per gestire secondo i loro interessi il PNRR delineato da Draghi e per continuare nell’opera pluridecennale di sgretolamento della capacità di difesa collettiva dei lavoratori.
Non c'è bisogno, quindi, di aspettare i provvedimenti del governo Meloni per prevedere che esso cercherà di andare incontro alle esigenze economiche e politiche anti-operaie del variegato e litigioso blocco sociale borghese che lo sta mettendo in sella. Non c'è bisogno di aspettare la prova provata anche perché quello che il centro-destra intende fare lo ha già esplicitato negli assi comuni ai programmi dei tre partiti.
Una riforma fiscale che (flat-tax o non flat-tax) riduca fortemente le tasse per aziende, commercianti, liberi professionisti e parassiti vari. Non è un caso che già si parli di “rottamazione” delle cartelle esattoriali. Una pacchia per imprenditori, ceto medio ed evasori; un altro colpo ai lavoratori ed alle loro famiglie, che vedranno la sanità pubblica ed i residui servizi sociali asfissiati dalla mancanza di fondi.
L’assicurazione che, in caso di un'eventuale ripresa della pandemia da covid-19 (ipotesi da non scartare), non ci saranno restrizioni al “normale proseguimento” della attività lavorative. Niente più “costose” misure protettive a favore dei lavoratori nelle aziende, niente più restrizioni cautelative verso il settore della “ristorazione e dello svago”. Via insomma le stentate e già ampiamente insufficienti misure prese dal governo Draghi. Padroni e padroncini liberi di ingrossare a piacere i loro conti; lavoratori, pensionati e povera gente liberi di ammalarsi e morire.
Una riforma istituzionale (presidenzialismo?) che concentri maggiormente i poteri dello stato per renderli più efficienti nelle loro funzioni filo-padronali ed anti-proletarie.
Una politica verso i lavoratori immigrati ancora più restrittiva di quella già in atto. Finalizzata a renderli ancora più ricattabili dai padroni, grandi e piccoli, che li sfruttano. Ma finalizzata anche a indebolire e dividere l’intero mondo del lavoro tramite la diffusione del veleno razzista e sciovinista, tramite la creazione di contrapposizioni tra proletari italiani ed immigrati.
Una cupa offensiva contro la donna e i suoi diritti. L’attacco (spalleggiato dal cardinal Ruini) contro la legge 194 e contro il “triste diritto” a non morire d'aborto dimostra che la leader di Fratelli d’Italia (primo capo del governo di sesso femminile in Italia) è portatrice di una visione familista che vuole la donna pronta a farsi passivamente sfruttare sui luoghi di lavoro e ridotta contemporaneamente a inconsapevole e subordinata “macchina sforna figli” per il mercato. Ecco cosa si cela dietro la retorica sulla “smart-mamma-attivista-politica”.
Una più incalzante (anche se a volte sottotraccia) azione contro le strutture organizzate (Cgil in testa) dei lavoratori. L’attacco verbale di Meloni a Catania contro “gli insegnanti iscritti alla Cgil” fa il paio con l’aggressione contro la sede di Corso Italia dello scorso anno e con quella tentata, sempre dodici mesi fa, contro la Camera del lavoro di Milano.
L'allentamento dei già blandi vincoli normativi volti alla protezione dell'ambiente dalla sfrenata corsa al profitto, con la giustificazione che l'emergenza energetica richiede rigassificatori, rilancio delle trivelle, installazione di invasivi parchi solari ed eolici e le centrali nucleari 4.0...
La politica del nuovo governo si profila infine pericolosissima anche sul decisivo versante della politica estera. Meloni ha ribadito la sua fedeltà alla Nato e il suo totale sostegno all’Ucraina di Zelenski: intende quindi portare avanti la politica guerrafondaia di Draghi-Biden, che mira, alla fin fine, a saccheggiare le ricchezze naturali e la forza lavoro della Russia, e a fare della Russia un'altra base per lanciare l'aggressione al popolo e ai lavoratori cinesi. A tal proposito i distinguo di Salvini e Berlusconi non esprimono la volontà di una vera pace: dietro questi “mal di pancia” vi è solo la pretesa di alcuni settori del padronato italiano di continuare a godere della “protezione” della Nato e, nello stesso tempo, di continuare tranquillamente a far affari con la Russia e a saccheggiarne “in pace” e a costi ridottissimi il gas e il petrolio.
Insomma, riesca o no ad applicare il PNRR così come delineato da Draghi e dalla Ue, il nuovo governo di centrodestra si farà interprete di una politica a tutto tondo contro i lavoratori. Nonostante le grandissime difficoltà che affliggono la capacità di lotta dei lavoratori, questa politica può e deve essere ostacolata e combattuta. Nessuna sponda e nessun aiuto potrà arrivare in tal senso né dall'Unione Europea né dalle forze dell’opposizione parlamentare. A dimostrarlo è anche la recente esperienza: aver subito (o, peggio, aver ammiccato) passivamente il governo Draghi e il suo programma euro-atlantista ha di fatto predisposto il terreno al governo Meloni.
Certo, all’oggi non sarà facile vedere una massiccia entrata in campo dei lavoratori contro il governo Meloni e il suo programma. Ma non è affatto irrealistico porsi sin da subito nell’ottica di arare il terreno per tale obiettivo. È questo il compito che attende quanti, tra lavoratori e giovani, intendono porre un reale argine alla slavina che si prepara. Il “lavoro salariato” può essere “ascoltato” solo ed unicamente costruendo diversi rapporti di forza nelle piazze e nella società.
A tal fine, non è solo necessario iniziare a riflettere e far riflettere nei luoghi di lavoro su quanto è indispensabile prepararsi per imporre in piazza interventi salariali che tutelino dall’inflazione, dal caro bollette e che scarichino sul padronato almeno una parte del prezzo della “crisi energetica”, ma bisogna battersi affinché queste esigenze vengano collegate ad una battaglia anti-razzista e per la difesa dei diritti della donna.
Questa campagna va inoltre accompagnata dalla lotta contro l'invio delle armi al governo teleguidato dalla Nato di Zelenski e contro la politica anti-russa e anti-cinese dell'imperialismo statunitense ed europeo.
È naturale e giusto che i lavoratori del Donbass e della Russia cerchino di difendersi da questo tritacarne occidentale. Se oggi questa sacrosanta volontà di resistenza si appoggia a un programma politico, quello borghese di Putin, che, alla lunga, non può tutelarne gli interessi (perché tra l’altro mina l’affratellamento con i proletari ucraini di cui la lotta contro la dittatura dell’Occidente avrebbe bisogno), se oggi accade questo, ciò è solo il frutto della debolezza politica della classe operaia internazionale e dell’indifferenza dei lavoratori europei verso i colpi che gli Stati Uniti e la Ue stanno tentando di assestare ai lavoratori della Russia (e anche ai lavoratori ucraini, benché questi ultimi, al momento, non se rendano conto).
È inevitabile che questa resistenza popolare, anche con la sua attuale direzione borghese, conduca all’aumento dei prezzi delle materie prime. Ammesso e non concesso che la politica atlantista riesca, anche mediante il meccanismo del price cap fortemente voluto da Meloni-Draghi, a conquistare temporaneamente gas e petrolio “a buon mercato”, alla lunga essa richiederà ai lavoratori d’Occidente uno spaventoso prezzo di sangue, perché i popoli della Russia e dell’Asia non si lasceranno sottomettere. Che siano i padroni e i finanzieri occidentali a pagare, con la riduzione dei loro profitti, l’aumento del prezzo degli idrocarburi causato, in parte, dalla legittima volontà dei lavoratori dei paesi emergenti di conquistare un futuro da esseri umani!
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA
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