27 giugno 2022
E i prezzi vanno su:
come difendere il potere di acquisto di salari e pensioni?
Nell’ultimo anno il costo della vita è cresciuto in media del 7%. Per la benzina e gli alimenti l’aumento è stato maggiore. Nello stesso periodo i salari sono rimasti sostanzialmente fermi e quindi il loro potere di acquisto è diminuito. Questa netta discesa si aggiunge, in Italia, alla strisciante riduzione dei salari reali in corso da oltre vent’anni.
Di fronte alle timide dichiarazioni di Landini, segretario della Cgil, e di altri esponenti sindacali a favore di un aumento dei salari da ottenere nei prossimi rinnovi contrattuali e con un intervento fiscale del governo, i padroni e la Confindustria hanno opposto un netto rifiuto.
1) La Confindustria ha dichiarato che, nell’attuale situazione economica, non si può prevedere alcun sostanziale aumento dei salari nei prossimi rinnovi contrattuali del settore privato, perché questo aumento amputerebbe la competitività delle aziende.
2) Gli industriali hanno poi aggiunto che essi sarebbero disponibili a un taglio delle tasse oggi applicate sui salari, PURCHÉ questo sgravio fiscale non venga finanziato con un prelievo fiscale straordinario sulle imprese e PURCHÉ sia accompagnato dalla razionalizzazione della spesa pubblica, cioè dal taglio della spesa statale destinata alla sanità e agli altri servizi sociali.
3) Per chi non avesse ancora compreso la musica dei capitalisti, sono arrivate poi le loro dichiarazioni sulle proposte di salario minimo: di salario minimo non si parli neanche, hanno detto i padroni, A MENO CHE questa misura non sia accompagnata dall’alleggerimento dei (già erosi) contratti collettivi di lavoro. In questo modo, il salario minimo sarebbe per i lavoratori un cavallo di Troia con cui i padroni otterrebbero (foss’anche in presenza di un leggero aumento delle paghe per alcuni strati di lavoratori) un abbassamento del salario generale medio e la perdita dei diritti sui posti di lavoro previsti, almeno formalmente, dai contratti.
È inutile farsi illusioni: i padroni non intendono concedere alcun aumento salariale sostanziale e generale. D’altra parte come potrebbero accettare di collaborare con i lavoratori per affrontare le conseguenze dell’inflazione, come chiedono i vertici sindacali, se l’aumento dei prezzi è causato dal meccanismo economico che essi dirigono e dalle loro stesse scelte aziendali? L’inflazione non è, infatti, un fenomeno naturale, non è la pioggia: a scatenarla sono stati fenomeni economici dipendenti dai meccanismi del mercato capitalistico e dalle scelte compiute negli ultimi anni dai governi e dalle banche centrali occidentali, tra le quali spiccano quella di regalare una montagna di soldi ai capitalisti per indennizzarli della riduzione dei profitti causata dall’emergenza covid-19 e quella di scaricare sui salari il costo dei deficit pubblici causati da questi “sostegni” attraverso un aumento inizialmente strisciante dei prezzi indotto dalla crescita della massa monetaria in circolazione.
È vero che l’aumento dei prezzi ha conosciuto un balzo in Italia, dal marzo 2022, per effetto della guerra in Ucraina. Ma anche in questo caso, se si considera quello che davvero sta accadendo, si giunge alla conclusione che gli interessi dei capitalisti e dei lavoratori non sono affatto convergenti.
All’origine della crisi ucraina vi è l’aggressione economica, politica e militare che gli Stati Uniti e, in forma diversa, l’Unione Europea stanno da tempo conducendo contro la Russia e le popolazioni russofone del Donbass e della Crimea. Questa aggressione mira: 1) a saccheggiare le risorse minerarie e umane dell’Europa orientale, anche quelle ucraine che a parole si promette di voler tutelare; 2) a far inginocchiare la Russia ai diktat occidentali; 3) a preparare la crociata che gli Stati Uniti stanno ordendo contro la Cina al fine di sottomettere al dominio statunitense le risorse e i proletari della Cina e del Sud-Est asiatico.
È naturale e giusto che i lavoratori del Donbass e della Russia cerchino di difendersi da questo tritacarne occidentale. Se oggi questa sacrosanta volontà di resistenza si appoggia a un programma politico - quello borghese di Putin - che, alla lunga, non può tutelarne gli interessi, perché tra l’altro mina l’affratellamento con i proletari ucraini di cui la lotta contro la dittatura dell’Occidente avrebbe bisogno, se accade questo, ciò è solo il frutto della debolezza politica della classe operaia internazionale e dell’indifferenza dei lavoratori europei verso i colpi che gli Stati Uniti e la Ue stanno tentando di assestare ai lavoratori della Russia (e agli stessi lavoratori ucraini, anche se questi ultimi al momento non se ne rendono conto).
È inevitabile che questa resistenza popolare, anche con la sua attuale direzione borghese, conduca all’aumento dei prezzi delle materie prime. E questo soprattutto se l’Occidente reagisce, come sta facendo, con la riduzione delle importazioni di gas e petrolio dalla Russia e con l’invio di armi ai suoi burattini in Ucraina, il governo Zelensky e i gruppi ucraini razzisti e suprematisti.
I lavoratori d’Occidente non hanno alcun interesse a sostenere questa politica che punta a piegare il popolo russo (oggi) e quello cinese (domani). Ammesso e non concesso che questa politica riesca temporaneamente a conquistare gas e petrolio “a buon mercato”, alla lunga essa richiederà ai lavoratori d’Occidente uno spaventoso prezzo di sangue perché i popoli della Russia e dell’Asia non si lasceranno sottomettere. Che siano i padroni e i finanzieri occidentali a pagare, con la riduzione dei loro profitti, l’aumento del prezzo degli idrocarburi causato anche dalla legittima volontà dei lavoratori dei paesi emergenti di conquistare un futuro da esseri umani!
Per imporre ai padroni un aumento generale dei salari e delle pensioni che recuperi anche solo una parte del potere d’acquisto perduto non si può contare sul governo Draghi o sulla Commissione di Bruxelles. Bastano tre fatti per convincersene.
1) Il governo italiano è tra coloro che hanno deciso di regalare alle imprese la montagna di soldi che esse hanno ricevuto nel 2020-2021.
2) I piani di spesa previsti dal Pnrr prevedono spiccioli per un reale consolidamento della sanità, della scuola e del trasporto pubblico, e prevedono invece montagne di soldi per una digitalizzazione e automatizzazione dei servizi e delle industrie che porteranno all’appesantimento globale dell’esistenza proletaria e all’acutizzazione dei contrasti con i popoli del Sud e dell’Est del mondo.
3) Sulla crisi ucraina il governo italiano sostiene la politica atlantista di Biden. Le misure introdotte dal governo per calmierare il prezzo della benzina e di altre merci sono solo un contentino per comprare l’appoggio dei lavoratori a questa politica di oppressione e saccheggio.
Per recuperare il potere d’acquisto delle loro retribuzioni, i lavoratori e i pensionati possono contare solo sulla propria mobilitazione e organizzazione. Fu con questi mezzi che nei primi anni ’70, in Italia, si riuscì ad imporre alla Confindustria un meccanismo, la cosiddetta “scala mobile”, con cui i salari aumentavano automaticamente ogni 3 mesi in risposta al tasso di inflazione registrato. Nei vent'anni successivi, i governi e la Confindustria riuscirono a eliminare questo meccanismo. L’attuale debolezza politica della classe lavoratrice in Italia e a livello internazionale non permette adesso di conquistare in un batter d’occhio un simile meccanismo. Sin da oggi è però necessario e possibile iniziare a discutere del fatto che solo con un movimento di lotta generale si potrà portare a casa anche solo un parziale recupero del potere d’acquisto salariale, al di là delle misure con cui ciò si realizzerà.
Lo sviluppo di un simile movimento di lotta richiede che sin nelle primissime iniziative, anche settoriali e locali, con cui esso si potrà manifestare ci si preoccupi di farsi carico di due temi apparentemente lontani dal problema salariale.
1) Vanno denunciate e combattute le catene che costringono i lavoratori immigrati ad accettare salari stracciati, come ad esempio la mannaia della concessione e del rinnovo condizionato dei permessi di soggiorno.
2) Va fermata, come indica la stessa vicenda ucraina, la politica estera del “nostro” governo, va fermato il suo tentativo di scaricare sui lavoratori d’Italia l’aumento dei prezzi internazionali degli idrocarburi, qualunque ne sia la causa, e, nello stesso tempo, va sostenuta con una fraterna solidarietà di classe la resistenza con cui i lavoratori della Russia e dei paesi emergenti stanno cercando di rintuzzare il tentativo dell’imperialismo occidentale di risottometterli al dominio da cui essi si sono parzialmente sottratti al prezzo di lotte decennali.
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA
27 giugno 2022