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Che fare n.76 Giugno - Ottobre  2012

Crisi in Italia, crisi in Europa

Il governo Monti e i lavoratori immigrati

I provvedimenti che il governo Monti ha varato non riguardano solo i lavoratori italiani ma anche i lavoratori immigrati. La propaganda governativa sostiene che con le nuove norme si volta pagina rispetto alla politica razzista del governo Berlusconi-Bossi.   È davvero così?

  L’azione del governo Monti

 Al momento della sua costituzione, il governo Monti ha introdotto un nuovo ministero: il ministero per la cooperazione internazionale e l’integrazione. Vi ha messo a capo il fondatore della comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, con un accordo bipartisan fra i partiti che sostengono il governo. La propaganda del governo e dei partiti dell’attuale maggioranza vuole far credere ai lavoratori immigrati che nei loro confronti è iniziata una politica più accogliente, soprattutto verso i lavoratori qualificati. Nello stesso tempo, a dar manforte a questa promessa, il presidente della repubblica Napolitano ha ribadito l’invito al governo e al parlamento a introdurre il diritto di cittadinanza per i figli degli immigrati nati in Italia.

Cosa c’è dietro queste promesse?

C’è lo sviluppo della politica già parzialmente abbozzata da Fini di cui abbiamo parlato nel n. 73 del che fare.

I vertici del potere economico e politico si rendono conto che l’economia italiana ha bisogno del lavoro super-sfruttato degli immigrati e che, nello stesso tempo, la presenza di oltre quattro milioni di immigrati in Italia favorisce lo sviluppo della capacità dei lavoratori immigrati di far valere i loro diritti e la loro volontà di vivere una vita da esseri umani. Per evitare questa, per loro negativa, conseguenza, i capitalisti e il governo italiani intendono prospettare al lavoratore immigrato una via di parziale integrazione che non lo faccia sentire come un estraneo e un semplice oggetto di sfruttamento. Il messaggio è: stai buono, rispetta le regole, lavora duro, e qualche diritto ti verrà concesso. Questa esca ha anche la funzione di conquistare il consenso o, quanto meno, l’indifferenza dei lavoratori immigrati all’aggressione che l’Italia sta portando avanti insieme ai suoi alleati contro i continenti da cui i lavoratori immigrati provengono.

I lavoratori immigrati possono trarre qualche vantaggio da questa politica? Vediamo.

Dal 10 marzo è in vigore “l’accordo di integrazione” fra i singoli immigrati e lo stato e il permesso a punti che tale accordo prevede. Il permesso a punti non risolve l’endemico ricatto cui è soggetto il lavoratore immigrato. Lo alleggerisce per una fascia di lavoratori immigrati, a condizione che si tengano alla larga dalle iniziative di lotta e di auto-organizzazione. L’effetto politico è, quindi, quello di dividere gli immigrati e di suscitare un’opposizione al loro stesso interno verso la messa in campo dell’unica arma con cui i lavoratori immigrati hanno potuto strappare e potranno strappare qualche miglioramento: quello della lotta di massa auto-organizzata.

Oltre al varo dell’accordo di integrazione, il governo Monti ha deciso di sostituire il permesso di soggiorno cartaceo con un documento elettronico chiamato Pse. Questo documento, che funziona con tecnologia a radiofrequenza già sperimentata per gli immigrati negli Usa, renderà più rapidi, costanti e capillari i controlli sui lavoratori immigrati.

Non bastasse ciò, la politica razzista del governo Monti e delle forze dell’ordine è accompagnata dalla politica e dalle azioni razziste dei gruppi di destra e di gente comune con continui pestaggi e vessazioni di lavoratori immigrati, con aggressioni a donne con il velo, a stupri o a ricatti sessuali sulle immigrate. 

Per un’organizzazione di lotta comune! 

Di fronte a questa aggressione concentrica e nonostante i ricatti derivanti dalla accresciuta disoccupazione, dall’aumento degli affitti (i lavoratori immigrati sono il 72% degli affittuari) e dalla paura di finire, nella crisi economica, nei gironi infernali dell’emarginazione, i lavoratori immigrati anche nei mesi scorsi hanno dato vita ad alcune iniziative di lotta che, pur locali e isolate, meritano di essere segnalate.

Il 14 dicembre un migliaio di lavoratori immigrati di varie cooperative e fabbriche lombarde hanno manifestato davanti alla Esselunga di Pioltello in solidarietà con alcuni lavoratori licenziati in rappresaglia degli scioperi organizzati contro le pessime condizioni di lavoro, le discriminazioni e la militaresca e scientifica disciplina imposta nei magazzini dalla direzione aziendale (il manifesto del 15 dicembre 2012 e che fare n. 75). Il 17 gennaio si è tenuta a Firenze una partecipata manifestazione in risposta all’assassinio dei due senegalesi Modou Samb e Mor Diop compiuto da un simpatizzante di Casa Pound. Il 27 aprile la voce dei lavoratori immigrati si è sentita, soprattutto nelle regioni meridionali, in occasione dello sciopero generale dei braccianti indetto da Cgil-Cisl-Uil contro l’estensione dei voucher in agricoltura stabilita dai provvedimento del governo Monti.

I lavoratori italiani hanno interesse a sostenere queste iniziative di lotta e a contrastare l’idea che i lavoratori immigrati siano dei nemici da cui guardarsi. Certo, la loro presenza in Italia e in Europa offre (involontariamente) un’arma ai padroni e alle classi dirigenti europee per ricattare i lavoratori italiani ed europei. Solo i pensatori che sguazzano nei salotti della sinistra bon ton possono negare che la presenza di oltre quattro milioni di lavoratori immigrati non ha inciso e non incide negativamente sulla forza e sulla condizione dei lavoratori italiani. Ma questa presenza non può essere esorcizzata. I lavoratori immigrati non possono essere rispediti a casa. Né possono smettere di voler cercare qui un futuro migliore di quello a cui sono destinati nel loro paese. È il vortice del capitale mondializzato a costringere i lavoratori immigrati a tentare il viaggio della speranza e ad attrarli nelle metropoli imperialiste. Se ne può uscire solo insieme, lavoratori immigrati e lavoratori italiani. Organizzando una battaglia per il permesso di soggiorno senza condizioni e per la parità dei diritti tra immigrati e italiani, ma anche per l’organizzazione comune sindacale e politica. S’incrinerà così l’arma della concorrenza in mano al padronato non solo in Italia e in Europa ma potenzialmente in tutto il pianeta, giacché i lavoratori immigrati sono un ponte con le lotte e l’organizzazione dell’immenso esercito di proletari dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina che la propaganda ufficiale presenta come i concorrenti da battere.

Che fare n.76 Giugno - Ottobre  2012

    ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA


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