Dal Che Fare n.° 73 dicembre 2010 febbraio 2011
La crisi del sistema monetario internazionale (serie di articoli sul n.73)
La guerra delle monete è appena agli inizi, e porterà con sé conflitti di ogni genere
È in corso da qualche tempo una strisciante guerra monetaria a scala internazionale. Coinvolge tutte le monete, ma il contenzioso principale è quello tra dollaro e yuan. Gli Stati Uniti pretendono una fortissima rivalutazione (dal 20 al 40%) dello yuan. La Cina la rifiuta categoricamente, e a sua volta contrattacca proponendo di sostituire il dollaro, come moneta mondiale, con un paniere di monete.
Sebbene il recente vertice di Seul si sia chiuso con un nulla di fatto, non sono da escludere dei provvisori compromessi. Ma, avvengano o no, si può prevedere che le tensioni monetarie si acuiranno, con sviluppi commerciali, socio-politici, militari della massima importanza. Perché il dollaro non è più in grado di essere la moneta globale che è stato per decenni e perché il vecchio ordine capitalistico a stelle e strisce è ormai finito.
Per quanto complicati siano, questi sono temi che i lavoratori non possono lasciare agli “specialisti” e ai “tecnici”: ne va della loro pelle. È il lavoro, il comando sul lavoro, infatti, il contenuto e il potere delle monete. È questa la posta in gioco delle guerre monetarie e non solo monetarie in incubazione. Occhio, dunque. È del nostro futuro che si tratta!
Il primato del dollaro…
Come in ogni economia mercantile è indispensabile la moneta in quanto equivalente generale, la merce che può essere scambiata con tutte le altre merci e rende le merci scambiabili tra loro, allo stesso modo per l’economia mondiale capitalistica è indispensabile una moneta mondiale. Una moneta che serva da mezzo generale di pagamento e di acquisto negli scambi internazionali, da unità di conto e da fondo di riserva. Tale funzione è stata svolta per secoli dall’oro e dall’argento, poi per buona parte del secolo diciannovesimo e uno spicchio del ventesimo dalla sterlina, e infine da alcuni decenni dal dollaro. Ma il primato del dollaro è ora scosso dalle fondamenta da un insieme di fattori che lo stanno riducendo al rango di inflazionata moneta nazionale (benché, certo, di una supernazione).
Ne ricostruiamo qui, in breve, l’ascesa e il declino per discutere quindi delle prospettive tempestose che questo declino apre e domandarci dove debbono collocarsi i lavoratori nelle guerre monetarie, e non solo monetarie, che si stanno fucinando nel grande disordine del presente.
L'ascesa ...
Il dollaro è diventato la moneta globale nel 1944, in mezzo a una feroce orgia di sangue, con i celebri accordi di Bretton Woods. Si trattò di una incoronazione scontata: gli Stati Uniti detenevano il quasi-monopolio della produzione manifatturiera mondiale ed erano pressoché autosufficienti in campo energetico; erano la fonte prima dei prestiti internazionali; il dollaro era già da un paio di decenni la moneta di riferimento degli scambi internazionali; infine, non per ultimo, l’imperialismo yankee era il reale vincitore delle due guerre mondiali. Dopo la fase più sconvolgente dell’intera storia del capitalismo, la superpotenza statunitense appariva ed era l’unico potere in grado di rilanciare e stabilizzare l’accumulazione capitalistica a livello internazionale, e la sua moneta appariva ed era realmente l’unica moneta in grado di oliare e “regolare” a dovere i relativi meccanismi
Il dollaro fu ancorato formalmente all’oro (la sua conversione in oro poteva avvenire al prezzo di 35 dollari l’oncia) nel contesto del gold exchange standard e di cambi fissi tra il dollaro e tutte le altre monete ad esso subordinate che già prefigurava il successivo, “naturale” slittamento al dollar standard con la riduzione dell’oro ad appendice, o mero ornamento, del biglietto verde.
Il primato del dollaro assicurò agli Usa formidabili privilegi, permettendo loro di “vendere caro e di acquistare a buon mercato oro, prodotti di base, attività e forza-lavoro altrui”, e alle corporations statunitensi di acquisire con relativa facilità imprese all’estero finanziandosi a credito Si trattava di un enorme vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti europei, e di un’arma affilata contro l’America Latina e i paesi che il duo Pentagono-Wall Street si trovò ad ereditare in Medio Oriente, Africa e Asiadallo sfascio dei vecchi imperi coloniali europei e giapponese. Ma l’intero Occidente (capitalistico) accettò di buon grado questo primato perché, davanti al “blocco sovietico”, costituiva una fondamentale garanzia economica, politica e militare, di “sviluppo” e di “pace” (anche sociale). E i fatti hanno dimostrato che, soprattutto per i capitalisti dei paesi sconfitti, a cominciare da quelli italiani (gli Agnelli in testa), si trattò di un ottimo investimento.
Tuttavia, a differenza della pax monetaria britannica che era durata un secolo, la pax monetaria a stelle e strisce si è esaurita nell’arco di soli venticinque anni. Già nel 1968, infatti, è iniziato un periodo di instabilità monetaria sfociato nell’agosto 1971 nella dichiarazione di inconvertibilità del dollaro in oro. Venne allora per la prima volta allo scoperto che il dollaro era sopravvalutato, lo era invero fin dall’inizio del regime di Bretton Woods, e che a seguito di una creazione incontrollata di biglietti verdi, aveva perso ogni reale ancoraggio al “metallo maledetto”. Fu questa una prima crisi del dollaro in cui emersero insieme le prime difficoltà degli Stati Uniti a dominare la politica mondiale e le prime difficoltà del dollaro ad agire in modo efficiente da moneta mondiale.
… e il suo lento, irregolare declino
Pretendendo oro in cambio di dollari, la Francia del generale De Gaulle evidenziò questa doppia difficoltà. Grazie alla legge dello sviluppo diseguale, l’Europa sconfitta e messa sotto tutela dallo strapotere yankee si era risollevata dalla sudditanza post-bellica, e non poteva più continuare a subire la signoria del dollaro senza fiatare. Ma sebbene inquieti per i primi effetti economicamente penalizzanti del dominio statunitense, gli alleati europei (fratelli nemici/nemici fratelli degli Stati Uniti) riconfermarono la loro fedeltà a Washington, consapevoli che nella loro veste di poliziotti del mondo (in Corea, in Vietnam e dovunque) e di agenzia mondiale di svalutazione dei salari operai (con le loro politiche inflazionistiche) gli Usa difendevano comunque gli interessi comuni a tutto l’Occidente. Non era saggio, perciò, destabilizzarne la forza, specie in presenza di conflitti sociali accesi in quasi tutti i paesi occidentali e a fronte della minacciosa ascesa delle ex-colonie.
Dopo il 1971 il dollaro restò dunque la indiscussa moneta globale per intesa unanime dei paesi occidentali (e non solo: il 1972, ricordiamolo, è l’anno della reciproca apertura tra la Cina di Mao e di Chou En-lai e gli Stati Uniti), senza però poter più governare il mondo da monarca assoluto. Da un lato l’ascesa giapponese, dall’altro i pur tortuosi e lenti passi avanti dell’unione economica europea, cominciarono ad insidiarne dalla lontana il primato incontrastato. Lo yen e il marco, nucleo duro del futuro euro, in quanto espressioni monetarie di paesi e zone in forte ascesa, si affacciavano sul mercato mondiale come monete di riserva “alternative” al dollaro. Davanti a questi rischi, gli Stati Uniti presero le loro contromisure, che sono state particolarmente efficaci sul versante giapponese. L’accordo del Plaza (1985) e la fortissima rivalutazione dello yen che ne seguì (nel 1985 ci volevano 238 yen per un dollaro, nel 1995 ne bastavano 94, molto meno della metà) provocarono una catena di bolle speculative, un decennale ristagno della economia giapponese e un debito pubblico astronomico, pari a quasi il 200% del prodotto interno lordo nipponico. Il Giappone era, così, sistemato per un bel pezzo (secondo i governanti cinesi i circoli statunitensi più oltranzisti avrebbero appunto in mente di bissare un’operazione del genere con la Cina, ma non certo su base pattizia perché la Cina non cederà come cedette il Giappone).
Quanto all’euro, l’ostruzionismo anglo-americano è riuscito a ritardarne la nascita fino al 1999, e questo ritardo (la moneta unica europea doveva nascere già nei primi anni ’70) è servito di sicuro a far prendere belle boccate di ossigeno a un dollaro affetto da ripetute crisi d’asma. Ma per Wall Street la vera e propria manna dal cielo è stato il tracollo dell’Urss e dei paesi “socialisti” dell’Est Europa che ha spalancato d’un sol colpo al dollaro le porte (semi)blindate della Russia e della sua area d’influenza, lasciando per più di un decennio Washington padrona della politica mondiale.
Questo complesso di circostanze favorevoli ha frenato, almeno in superficie, il declino del dollaro iniziato a fine anni ‘60. Come accadde per la sterlina rispetto all’economia britannica, esso è rimasto a lungo, ed è tuttora, in quanto risponde ad una necessità oggettiva di fluidità degli scambi mondiali, più forte dell’economia reale statunitense. Sebbene questa perda da anni ed anni un primato dopo l’altro, infatti, ancora al 2008 l’86% delle transazioni quotidiane sui mercati dei cambi avveniva in dollari; i 2/3 delle riserve delle banche centrali, incluse quelle della Cina e del Giappone, erano in dollari (e solo 1/4 in euro); il commercio internazionale, a cominciare da quello delle materie prime, era quasi tutto in dollari. E i pochissimi capi di stato che avevano osato peccare contro lo spirito santo facendo timide mosse di sganciamento dal dollaro, erano già stati ammansiti a dovere (il “primo” Gheddafi) o passati per le armi (l’“ultimo” Saddam).
Tutto o.k., allora, per il dollaro? ha appena i secoli contati? Niente affatto.
Sotto la superficie l’erosione della sua funzione-“guida” è proseguita e si è in modo sussultorio accelerata, come è risultato palese negli ultimi due anni fino al punto che in molti lavorano oggi apertamente alla sua sostituzione con una nuova forma di moneta globale, e le proposte della Cina che vanno in questa direzione stanno conquistando sempre maggiori consensi. Gli anni 2008-2010 non sono la riedizione del 1971, sono – per il dollaro e per gli Stati Uniti – un passaggio enormemente più dirompente. Cosa mai è successo negli ultimi quaranta, cinquanta anni?
Segue articolo "le forze che hanno terremotato il primato del dollaro"
Dal Che Fare n.° 73 dicembre 2010 febbraio 2011
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