Io Alì, faccia da turco

Segnaliamo ai compagni e ai lettori la pubblicazione della traduzione italiana di "Ganz Unten", col titolo "Faccia da turco" (Ed, Pironti). Questo libro è frutto di una coraggiosa esperienza del giornalista tedesco Gunter Wallraff che, cambiandosi letteralmente i connotati così da passare per il turco Leyent (Ali) Sigirlioglu, si è calato come lavoratore immigrato nel ventre della "civile" e "progredita" società tedesca.

Bracciante in una fattoria della Sassonia, manovale nei cantieri edili, operaio alle acciaierie Thyssen, sguattero nei fast-food Me Donald's e finanche cavia (per duemila marchi) nei laboratori farmaceutici, Wallraff ha provato sulla propria pelle quale tipo di vita è riservato a questi uomini strappati ai loro paesi dalla fame, dalla miseria, da feroci dittature e obbligati a "cercare fortuna" nelle metropoli europee.

Da questa esperienza è venuto fuori un vero documento di controinformazione, crudo e ricco di... sorprese.

Sorprendente è apprendere che nella Germania iper-sviluppata e con un piede nel decantato postindustriale, esistono lavoratori il cui orario di lavoro mensile, è regolarmente, di 300-350 ore (ossia: 10- 12 ore al giorno, compresi i sabati e le domeniche). Così è, per es., alla Remmert, un'impresa a cui la multinazionale Thyssen appalta i lavori di pulitura ed i cui operai sono in gran parte immigrati, torchiati fino all'osso. Annota Wallraff: "Ti fanno andare a casa perché all'azienda conviene di più che siano loro a pagarsi da dormire".

Sorprendente (o agghiacciante) è vedere con quanto entusiasmo un "caporale", procacciatore abituale di lavoratori turchi, si mette all'opera per trovare un pugno di sventurati da sbattere nel condotto di una centrale atomica dopo una fuga radioattiva.

Sorprendente è scoprire che uno dei trafficanti di uomini, un tale Adler, "uno delle migliaia di esecutori materiali e di profittatori in questo sistema", è regolarmente iscritto al "partito dei lavoratori", che in Germania è la socialdemocrazia...

Sorprese sconvolgenti, certo, ma solo per chi ha creduto ormai passati definitivamente i tempi dello sfruttamento capitalistico selvaggio, per lo meno nei paesi più "progrediti". Una illusione, questa, che, dopo decenni di sviluppo e i assoluta egemonia riformista nel proletariato, si è radicata fortemente nella stessa classe operaia metropolitana.

Fino a che punto sia arrivato tale processo in strati certamente minoritari della classe, Wallraff lo testimonia raccontando delle numerose scritte sui muri, nelle mense e nei cessi dell'acciaieria Thyssen che si scagliano contro i lavoratori* stranieri ("Fuori i turchi dalla Germania", ed anche peggio).

"Taccia da turco" è, insomma, un rapporto vivo e dal vivo sulla durissima condizione di supersfruttamento e di discriminazione subita in Germania da milioni di "Gastarbeiter".

Germania. Ma in Italia la condizione dei lavoratori immigrati non è di certo migliore. Anche qui, come in ogni altro paese capitalistico evoluto, vige per la massa dei lavoratori immigrati un vero e proprio sistema di apartheid appena mascherato.

I giornali borghesi riescono a trovare, di tanto in tanto, il tempo per commiserare questi, "sfortunati", generalmente quando si verificano delle "disgrazie" che li coinvolgono. Come nel caso degli immigrati clandestini trovati morti nei containers del porto di Livorno oppure di quelli travolti dal treno nella galleria del Frejus mentre cercavano di attraversarla a piedi per entrare in Francia.

Più spesso sono i blitz o i rastrellamenti della polizia a portare alla luce (per un istante) il dramma dei proletari immigrati in Italia. Così è avvenuto di recente per 141 lavoratori africani, supersfruttati nell’edilizia e nei campi in condizioni che la stessa stampa ha definito di "semi-schiavitù ", nella zona di Villa Literno, vicino Napoli. Fermati dalla polizia, almeno un terzo di loro è stato espulso perché senza documenti...

Del resto, la legge-base che regola i rapporti tra i lavoratori immigrati in Italia e le istituzioni è il testo unico delle leggi sulla pubblica sicurezza del 1931. E non si tratta di pura sopravvivenza del passato, se è vero che il famigerato progetto-Scalfaro peggiora addirittura alcune delle disposizioni oggi in vigore.

I lavoratori immigrati in Italia vivono in una condizione anche più dura e disumana di quelli che "soggiornano" in Germania o in Francia, perché ancora non sono riusciti a darsi alcuna forma di organizzazione, di difesa collettiva e di lotta. Abbandonati a sé stessi dai sindacati, ignorati o tutt'al più tollerati dal PCI, essi sono in completa balia dei trafficanti di uomini nostrani, potendo nel migliore dei casi affidarsi alla carità dei preti... purché siano mansueti come gli agnelli.

Davanti a questa situazione, i comunisti degni di questo nome non possono stare a guardare. La questione del lavoro di solidarietà e di organizzazione verso gli immigrati in Italia è tanto fondamentale quanto lo è il lavoro di propaganda e di agitazione tra i lavoratori italiani. Dobbiamo fare in direzione del proletariato di casa nostra un lavoro di contro-educazione rispetto all'indottrinamento infame del riformismo sulla "difesa dell'economia nazionale", vera e propria base ideologica del disinteresse, se non di un razzismo di fatto verso i nostri fratelli di classe immigrati. Dobbiamo appoggiare totalmente l'organizzazione e la lotta dei lavoratori immigrati per garantirsi un salario, delle condizioni di lavoro, una casa, un trattamento pari a quello dei lavoratori italiani, per liberarsi dal caporalato e dai mercanti di braccia, per ottenere senza condizioni la possibilità di restare in Italia se lo vogliono. E questo non per un astratto imperativo morale, ma per la ragione materiale che solo la liberazione delle "facce da turco" sarà anche la nostra liberazione dalla galera del lavoro salariato in cui tutti, "colorati" e visi pallidi, siamo prigionieri. Fuori da questa unità d'azione, fuori da questa prospettiva di lotta internazionalista ci sono solo le chiacchiere, la demagogia, l'inganno della democrazia e del riformismo imperialista. E, poco più in là, l'hitlerismo.

Ancora due note su Wallraff e il suo libro. Se ne sono vendute, sinora, in Germania, 4 milioni di copie, il che fa di "Ganz Unten", alla lettera "Assolutamente in basso", il best-seller nella storia dell'editoria tedesca. 4 milioni di copie in meno di 4 mesi... La cosa ha allarmato un po' di gente "in alto". Sociologi e inchiestologi sono stati sguinzagliati dai loro superiori a far domande, a riempire questionari, a ficcare il naso nelle librerie per pervenire alla seguente fotografia (da La Repubblica, del 2 agosto 1986):

"I librai nei mesi del boom di questo libro hanno visto entrare nei loro negozi centinaia di clienti; non solo barbuti estremisti di sinistra, non solo verdi ed ecologisti, ma anche tanti operai, apprendisti, pensionati, gente a cui interessa la faccia nascosta della prosperità tedesca, l'altro volto di quella società da cui si sentono sfruttati, forse ad un livello meno brutale dei turchi ma comunque sfruttati.

"E’ questo il pubblico che ha portato la tiratura alle stelle. La crisi economica degli ultimi anni... ha lasciato evidentemente una paura latente, la disoccupazione che continua a viaggiare parallelamente alla crescita economica fanno, scoprire una verità amara: se le cose dovessero andar male ancora una volta, la sorte di Ali potrebbe toccare anche a noi, cittadini tedeschi di serie A".

Qualcuno si sarà grattato la pera. Non era scomparso questo pubblico di sfruttati, rimasto solo a popolare le "allucinazioni tardomarxiste?" Esilarante per davvero questa sua trovata di... ricomparire in libreria. E quanto mai promettente.

Wallraff doveva pagare. Pedinato, con il telefono sotto controllo, continuamente sorvegliato, isolato - come egli stesso ha dichiarato - dai sospetti della società bianca tedesca e degli intellettuali, si è visto costretto a lasciare la Germania per stabilirsi in Olanda. Non c'è nulla da aggiungere.