Riflessioni sulla Jugoslavia

LE RAGIONI DELLA RESISTENZA ANTI-OCCIDENTALE
DELLE POPOLAZIONI BALCANICHE S'ACCUMULANO.
LE ARMI POLITICHE DI CUI HA BISOGNO.


Articoli collegati:

 


E così, finalmente, il "mostro" Milosevic è stato mandato a casa, per il momento a Belgrado, poi si vedrà: l'Aja o Cuba o qualche altro lido per "criminali" in pensione...
Mandato a casa attraverso un "normale processo democratico", che poi è il massimo che ci si possa augurare. E, come titolava
Liberazione, "Belgrado ride", oppure, secondo gli esperti in giochi di parole, e non solo, del manifesto, "Bel grado" (sì, un bel grado di imbecillità affittata al capitalismo imperialista!). Ridano, dunque, i pagliacci, ma non dimentichino che a ridere e brindare per primi sono coloro che hanno divisa e devastata la Jugoslavia per i loro sporchi interessi ed oggi, con Kostunica, si apprestano ad incassare gli utili dei propri investimenti umanitari"...
Non ci vuoi molto a capire che noi non ridiamo affatto e consideriamo quest'ultimo successo della "democrazia" come un successo ulteriore dell'imperialismo. Forse perché rimpiangiamo Milosevic? Niente affatto: di fronte ad un disastro, qual è quello presente in Jugoslavia, non meritano alcun rimpianto gli "organizzatori di sconfitte", ma si deve, in primo luogo, distinguere tra le vittime ed i carnefici, e si deve poi ristabilire i cardini su cui una determinata resistenza allo schiacciamento imperialista, ineluttabile per le popolazioni balcaniche, possa arrivare a presentarsi non pregiudizialmente sconfitta ai prossimi appuntamenti.


EI FU... E NE TIRIAMO UN BILANCIO

Quanto al primo punto: nessuna, sacrosanta, presa di distanza a 360 gradi da Milosevic può servire a mettere sullo stesso piano quest'ultimo coi veri carnefici della Jugoslavia, non più di quanto, in passato, come altre volte sottolineato, non si potesse mettere sullo stesso piano un Menelik ed un Mussolini, l'aggredito e l'aggressore, il colonizzando ed il colonizzatore. Qualche fesso, purtroppo vicino a casa nostra, ha osato giustificare un tale allineamento con l'argomento che si tratta sempre, in fondo, di capitalisti e, per sovrappiù, che Milosevic era stato a suo tempo sponsorizzato dallo stesso Occidente che oggi se n'è voluto disfare. Ebbene? Menelik non era neppure un capitalista, ma un barbaro despota tribale che faceva pesare sul suo popolo il doppio giogo dell'arretratezza precapitalista e della soggezione al giogo esterno del capitalismo e, come tale, anche lui sponsorizzato da determinate forze capitalistiche pro domo loro prima, durante e dopo l'aggressione fascista. Ma il problema di fondo non sta nel valutare la caratura dei presunti "dittatori barbari", ma quella degli aggressori "civilizzati". Né Menelik né Milosevic erano o sono anime candide da prender sotto protezione, ma non sono neppure il Lupo mangia agnelli. Lupo è l'aggressore d'Occidente: la vittima sacrificale designata è nei popoli controllati o dominati che simili campioni "rappresentano".

A questi popoli, a queste classi sfruttate noi dobbiamo guardare per armarle, per insegnare ad esse ad emanciparsi sul serio da sé rompendo coi propri inetti, belanti, "rappresentanti", e a questa stregua si può capire come e perché noi non stiamo dalla parte dei Menelik e dei Milosevic; ma giocare sull'impresentabilità del padrone del gregge per giustificare lo sgozzatore fa veramente schifo, perché qui, chiaramente, non ad esso, ma al gregge inerme si mira. I signorini alla manifesto sono esperti di ciò: Milosevic era un "soggetto impresentabile", e quindi... Già, ma impresentabile per chi?; per il proletariato jugoslavo o per i suoi becchini? Per entrambi, di sicuro, diciamo noi, ma, se ci permettete, per qualche "piccolo" diverso motivo, e quindi non è indifferente che egli sia stato sotterrato dai secondi e non dai primi.

Stando alla classica favola di La Fontaine, si può dire che le parole del Lupo che guata da monte la sua preda ("Tu mi intorbidi l'acqua"... a valle) sono dirette ai popoli ed alle classi oppresse, non ai latitanti o pavidi guardiani della mandria; possiamo anche dire che, in ciò, esso si giova dei difetti di questi ultimi; quello che non possiamo dire è che lupo e mandriano spogliato siano "1a stessa cosa" perché i rapporti di interessi e di forza tra essi collidono. Sempre, se si vuole, sulla pelle dei poveri agnelli, almeno sin quando questi non sapranno emanciparsi da sé, con le proprie forze e per i propri interessi facendo da sé e per sé a meno dei "propri" improvvidi pastori per battere sul serio il signor Ezechiele.

Milosevic out? Attente, pecorelle, a non ritornare all'ovile "liberato"!

Fa un po' ridere (amaro) che qualcuno -all'estrema sinistra, come si conviene- discetti sulla scarsa consistenza dell'anti-imperialismo e del presunto "socialismo" di Milosevic per smarrire queste linee di distinzione. Si dice (vedi il signor Ferrando): Milosevic è stato il "primo responsabile" della svendita dell'unità jugoslava e del suo sistema "socialista" (!) a suon di privatizzazioni "concordate" col Fmi. Non è così.

L'unità jugoslava e i suoi residui di "proprietà sociale" giuridica erano stati il frutto di una lotta di classe a protagonismo popolare che è stato il sistema capitalista mondiale a mettere in causa giocando sulla debolezza del sistema titoista stesso. L'imperialismo non ha "concordato" né "spartito" nulla coi Milosevic, ma ha dettato ad esso le sue regole. Milosevic - pallida caricatura del Tito nazional-borghese eroico - vi si è dovuto piegare, non senza illusorie contropartite iniziali per questa genuflessione, ma senza poter, al tempo stesso, rinunciare sino in fondo alla rappresentanza di certi fondamentali interessi popolari - sia pur ristretti entro i confini Serbia – Montenegro - collidenti coi diktat occidentali, pena la stessa delegittimazione del proprio potere. Tutto in arretrato rispetto a Tito, lo ripetiamo, per non parlare del socialismo autentico, mai passatogli per la testa, ma qui sta la sostanza dello scontro con le pretese dell'Occidente.

Anche quando si mette sullo stesso piano le responsabilità di Milosevic con quelle dei Kucan, dei Tudjman e degli Izetbegovic quanto alla dissoluzione della Jugoslavia si commette un arbitrio: si può credere che Milosevic fosse a favore del mantenimento dell'unità jugoslava sotto direzione serba (tipica posizione capitalista-borghese, che non c'indigna, di per sé, più di quanto non c'indignasse l'egemonia risorgimentale piemontese su un'Italia "unita" combinata e diseguale), salvo che questa soluzione -niente a che fare col nostro unitarismo, va da sé! - non aveva alcuna chanche da giocare una volta piegate Slovenia, Croazia e Bosnia al soverchiante gioco imperialista internazionale. Per risolvere in positivo la questione unitarista non serviva nulla di meno che il richiamo ad una lotta di classe multinazionale contro l'imperialismo e le sue appendici economico-sociali e politiche interne, e qui sta il punto: come avrebbe potuto mai farlo un regime "serbo" sviluppatosi entro questo quadro vincolante e senza mettere con ciò in causa i fondamenti del suo stesso potere "interno"?

Di qui la primitiva rinuncia all'unita jugoslava e, di seguito, il suo traccheggiare con l'imperialismo nell'illusione di preservarsi almeno un Il proprio Il ristretto spazio "nazionale". Di qui i disastri ulteriori, l'accumulazione esponenziale dei fattori di sconfitta anche a questa ristretta scala, ma, nondimeno, la messa in atto di, sia pur fragili alla distanza, mezzi di resistenza contro l'estrema offesa imperialista nel ristretto della "nuova Jugoslavia" determinatasi con la cosiddetta "implosione" jugoslava.

Da qui si poteva risalire, si può e si dovrà risalire, solo rimettendo in causa i fattori scatenanti di un disastro non locale, ma internazionale, col recupero di un orientamento di classe socialista in grado di parlare una stessa lingua non solo a tutti i proletari balcanici, ma a quelli del mondo intero. Non abbiamo mai pensato di chiederlo a Milosevic così come non imputiamo a esso in prima persona il disastro intercorso: l'imputazione va molto più in là, a Tiro stesso ed a Stalin, agli artefici di impossibili e devastanti "socialismi in un paese solo", all'inerzia del proletariato dell'Occidente sviluppato, all'impresa del capitalismo imperialista di cui tutto ciò è stato un prodotto ed un efficace agente a proprio favore.

La magnifica risposta che, in un primo tempo, il proletariato microjugoslavo è stato in grado di offrire all'aggressione imperialista poteva, teoricamente, aprire la strada a tale recupero classista, internazionalista, a patto che dal suo interno si manifestasse una avanguardia comunista e, soprattutto, che questa ricevesse il necessario ossigeno qui nelle metropoli. Quest'ipotesi non si è realizzata. Il proletariato jugoslavo, preventivamente disarmato da decenni di assuefazione passiva al sistema titoista, si è trovato a doverne bere sino in fondo le amare conseguenze, tragicamente solo di fronte alla passività del proletariato metropolitano, affogato dapprima nello champagne stalinista per poi esserlo in quello della soporifera affluent society imperialista. Nondimeno, quella resistenza non è stata una parentesi cancellata, perché tutte le ragioni di essa sono destinate a venir potenziate dagli sviluppi interni successivi, sempre a patto che vi sia un coerente ritorno in armi dell'avanguardia comunista là e qui - cosa per noi indubitabile, al di là dei tempi e delle modalità -.