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Nella pagina pubblichiamo stralci di due articoli, e i titoli originali, apparsi su il programma comunista nel 1959, immediatamente a ridosso della "riconquista" del Tibet da parte dei cinesi. La loro attualità è evidente.
Indice
Poche settimane orsono il Budda vivente ha onorato lItalia di una sua
graziosissima visita. Platee di teatri (rigorosamente paganti in volgarissimo denaro) e
pubblico televisivo di ogni canale hanno potuto saziare la fame del proprio
"spirito" con il suo alto insegnamento. Perchè tanto interesse per una
personalità che rappresenta non tanto e non solo una religione, quanto la giustificazione
storico-ideologica dellassetto sociale -feudale e schiavistico- che il Tibet aveva
prima di essere "annesso" alla Cina "comunista"? I governi, i media e
gli intellettuali dOccidente non mettono, certo, la stessa passione difensiva e
tutelatrice verso qualunque altro rappresentante di religioni ugualmente antiche. Anzi, i
paesi "avanzati" e la loro religione ufficiale, il cristianesimo, si fanno vanto
di aver cancellato un gran numero di "religioni antiche" per proiettare i loro
fedeli nella "civiltà" moderna, non importa se sterminandone milioni e
convertendo i rimanenti con la forza delle lame e delle pallottole, o, come è emerso
durante il viaggio del papa in India, con i fondi del Fmi regalati ai cristiani per
sovvenzionare le loro "caritatevoli" istituzioni, scuole, asili, ospedali
(qualche organizzazione indù ha sintetizzato felicemente rivolgendo al papa una sola
parola: bandito!). Linteresse non è, evidentemente "spirituale", ma è esclusivamente materiale, di quella materia che va sotto il nome di imperialismo: il sostegno alla rivendicazione dellindipendenza del Tibet dalla Cina nellambito della politica atta a forzare la resistenza che la Cina fa tuttora allinvasione del capitale occidentale, cui, pur aprendo le frontiere, continua a porre vincoli che preservino il proprio interesse a uno sviluppo economico e sociale "autonomo". In piena continuità con la storia di strappare alla Cina intere zone in cui insediare i propri distaccamenti per conquistarne il mercato delle merci, prima fra tutte la merce-uomo, la forza-lavoro. Nella pagina pubblichiamo stralci di due articoli, e i titoli originali, apparsi su il programma comunista nel 1959, immediatamente a ridosso della "riconquista" del Tibet da parte dei cinesi. La loro attualità è evidente. Non solo perchè inquadrano dal punto di vista storico il problema-Tibet, ma soprattutto perchè inquadrano dal punto di vista teorico e politico la questione che viene divenendo esplosiva, in Tibet, in Cina, in tutto il mondo prima "coloniale", poi "decolonizzato": il ruolo e la funzione della rivoluzione anti-imperialista. È tema di decisivo interesse per loggi, allorchè vengono al pettine tutti i nodi delle contraddizioni capitalistiche, e anche tutti quelli lasciati intricati dal corso delle rivoluzioni precedenti, ivi comprese quelle anti-coloniali (che rivoluzioni lo furono davvero, a scorno degli "indifferentisti" di ieri) e delle rivoluzioni anti-imperialiste a venire, che rientrano perfettamente nel corso della rivoluzione proletaria mondiale, a scorno degli "indifferentisti" di oggi, cui sono applicabili, pari pari, le parole di fuoco di Bordiga, mutuate, con perfetta aderenza, dalle classiche soluzioni di Marx e di Lenin. Nella pagina vi sono anche degli stralci di un articolo (Workers World, 26.8.99) di Sara Flounders, dellInternational Action Center di New York, che danno qualche lume sui veri motivi dellamore che si raccoglie in Occidente attorno al Dalai Lama (amando il quale i nostrani "sinistri" dimostrano solo di amare perdutamente... Washington, come capitale dellimperialismo mondiale), e dimostrano come anche quelle ridotte trasformazioni realizzate da una rivoluzione inconseguente (sotto la spinta delle masse tibetane!) abbiano reso di già impossibile il semplice ritorno ai tempi che furono (quale tibetano accetterebbe che torni, ora, la schiavitù? Quello sicuro di conservare, e rinforzare con la schiavitù altrui, la propria libertà, ovvero i monaci). Impossibile il ritorno al mitico "idilliaco" passato, ma possibile che limperialismo riesca a rimestare nelle difficoltà esistenti per giocarle contro lintera Cina e risottometterla tutta al suo completo dominio. Non sarà inevitabile, e neppure facile. E della cosa noi gioiamo, perchè da essa sicuramente trarrà immensi benefici la ripresa della lotta e dellantagonismo del proletariato occidentale. |
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Mentre scriviamo, la rivolta del Tibet appare domata. Il Dalai Lama, che agli occhi della stampa atlantica è assurto a nuovo simbolo della lotta contro il "materialismo ateo", ha raggiunto il territorio indiano. Il Budda vivente, il Grande Oceano incarnato, è salvo! I conformisti di tutto il mondo, resisi improvvisamente consci della importanza che riveste il lamaismo nella lotta per i "diritti dellanima", hanno tratto un sospiro di sollievo. Di che meravigliarsi? La borghesia occidentale, pur di servirsi della influenza della chiesa cattolica, ha rinnegato tutte le tradizioni di pensiero anti-ecclesiastico che, bene o male, permisero lo sviluppo di potenti strumenti intellettuali, come quelli forgiati dalla rivoluzione scientifica del darwinismo, e nella ricerca affannosa di argini da opporre alla marea proletaria si è buttata in ginocchio davanti ai Papi cattolici. Ma ora nemmeno il cattolicesimo basta più: ed eccola prosternarsi al papa dei tibetani!
La malafede della stampa occidentale è provata a sazietà dal comportamento, del tutto opposto, che osserva nei confronti delle rivolte dei "popoli di colore" oppressi dal colonialismo bianco. La spedizione nellal di là di qualche migliaio di monaci tibetani, abituati come i religiosi di tutte le latitudini a vivere alle spalle del popolo, ha avuto il magico effetto di accendere passioni umane nei cuori di granito che assistono impassibili al massacro del popolo algerino e alle repressioni della polizia colonialista nel Camerun, nel Congo, nel Nyassa. La "barriera di colore" è improvvisamente caduta. Il razzismo degli illustri prostituti intellettuali che scrivono nel "Popolo", nel "Corriere della Sera", nel "Tempo", nel "Secolo", ha dalloggi al domani concesso un esonero allaristocrazia feudale tibetana. Coloro i quali predicono che "LAfrica, abbandonata dai civilizzatori, ricadrebbe ineluttabilmente nelle tenebre della barbarie, e forse nel cannibalismo", scoprono "il diritto delle popolazioni del Tibet a svolgere il proprio tipo di civiltà!" ( )
Che cosera il Tibet quando le armate di Mao-Tse Dun vi misero piedi (n.)? Per saperlo, leggiamo un brano dellarticolo "Tibet: società feudale immutata nei secoli", apparso ne "LUnità" del 31-3-59 (...):
"Ancora oggi, dopo laccordo del 1951, questo paese (il Tibet) che si estende per circa un milione di chilometri quadrati sul più elevato altopiano del mondo, è retto autocraticamente dai monaci buddisti. È una società feudale, organizzata rigidamente a piramide, al vertice della quale è il Dalai Lama e alla cui base sono i servi della gleba. Tutto il potere emana dai monaci dei tre grandi monasteri di Drebung, Sera e Ganden, ed è tra essi che vengono scelti sia i membri del Casiag, il governo responsabile verso il Dalai Lama, che i funzionari Lama La suprema autorità è, come si è detto, il Dalai Lama, il "Grande Oceano", che, per i credenti lamaisti è lincarnazione di Cerenzi, il signore della Misericordia, dio patrono del Tibet Esiste tuttavia, unaltra somma incarnazione, quella di Opame, il Budda della Luce smisurata, ed è il Pancen Lama, o comunemente chiamato anche il Figlio, rispetto al Padre che è il Dalai Lama, e divide col Dalai lautorità spirituale e temporale, quando non è diviso da esso da insanabili contrasti, come è accaduto in più di una occasione nella secolare storia del Tibet".
Dopo averci erudito circa la struttura politica del "misterioso" paese e il fatto che la chiesa lamaica accentra nelle sue mani il potere spirituale e temporale, il governo delle anime e dei corpi, l"Unità" passa a descrivere le condizioni sociali del paese. Potremmo ricavarle da qualsiasi testo di geografia, ma preferiamo che sia l"Unità" ad informarcene: "Monaci e proprietari fondiari posseggono tutta la ricchezza del Tibet, se di ricchezza si può parlare, in una società di tribù nomadi ed in perenne guerriglia tra di loro. Una parte dei proventi di allevamento (del bestiame) debbono essere versati ai monasteri, e al governo centrale, e i lamasteri e i notabili sono stati fino a qualche anno fa la sola fonte di credito, dato a tassi di interesse esorbitanti, per i contadini e i pastori Il contadino tibetano è pressa poco al livello di tredici secoli fa, quando il contatto con la Cina della dinastia Tang gli insegnò ad usare i primi strumenti agricoli. Il suo aratro è ancora quello, rudimentale, di legno a chiodo, così leggero da poter essere portato a spalla".
(...) Le condizioni in cui si trovavano i paesi europei invasi dalle armate napoleoniche allinizio del secolo scorso, erano più avanzate di quelle tuttora esistenti nel Tibet. Ma la conquista francese, benché non immune da tendenze nazionaliste, condusse energicamente la sua missione di diffondere la rivoluzione democratica nellostile mondo feudale che attorniava la Francia. Perciò, i comunisti non hanno mai nascosto lammirazione per le imprese napoleoniche (n.): lo stesso Marx, come è noto, definì Napoleone I° "eroe della rivoluzione". ( )
La rivoluzione non ha "patti" da rispettare, che non siano quelli che ha stretto, sul terreno della dottrina e della azione, nei riguardi della classe rivoluzionaria. La legalità borghese, di cui il diritto internazionale è un aspetto, pensino a difenderla i servi della borghesia dominante. La rivoluzione proletaria non esiterà, se necessario, a passare in armi i "sacri confini" nazionali, propagando lincendio sociale (n.). La campagna militare contro la Polonia reazionaria, scatenata nel 1920, dalla Russia leninista resta per noi unesperienza valida. Allepoca appoggiammo con entusiasmo lazione dellArmata Rossa e da allora nessun dubbio ci ha sfiorati. Dal punto di vista della lotta di classe, il comunismo aveva tutte le ragioni di portare lattacco militare alla Polonia, sostenuta ed aizzata dallimperialismo occidentale. Il bolscevismo russo e lInternazionale agivano in perfetta coerenza coi principi marxisti e gli interessi della classe operaia sforzandosi di portare la rivoluzione fuori dai confini che i rapporti di forza assegnavano alla Russia rivoluzionaria. Allora, non si predicava certo la "coesistenza pacifica" col capitalismo e apertamente si dichiarava che la "dominazione mondiale" del comunismo - già dominazione mondiale del proletariato sulla borghesia mondiale - era la finalità suprema dellazione rivoluzionaria comunista. ( )
("il programma comunista" n. 7/1959)
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( ) Che il paese "più alto" del mondo sia anche, dal punto di vista della evoluzione storica, "il più basso", si è incaricata la stampa politica di ricordarlo ai distratti. La dominazione di una ristretta aristocrazia fondiaria, che vive alle spalle delle tribù disseminate negli immensi altopiani; la servitù della gleba che ancora perpetua condizioni presenti in Europa nellalto Medioevo; la concentrazione dei mezzi di produzione, principalmente della terra, nelle mani dellaristocrazia e del clero lamaista; loligarchia monastico-aristocratica, che si regge sulla simbiosi tra il potere locale dei capi-tribù e i monasteri lamaisti, organi politici e economici oltre che religiosi; il potere assoluto del Dalai Lama, il dio-re, che accentra il potere temporale e "spirituale"; sono elementi essenziali della organizzazione sociale tibetana, di cui ogni giornale ha dato erudite descrizioni. ( )
I nostri estremisti infantili, si sa, professano indifferenza verso le rivoluzioni nazionali afro-asiatiche. Anzi, negano che si tratti di trasformazioni rivoluzionarie echeggiando stranamente i pregiudizi razzisti dei nostri peggiori reazionari, i quali affermano che lAsia, lAfrica, lAmerica Latina sono condannate a restare in eterno nelle condizioni in cui si trovano. Noi, invece, pensiamo che nulla autorizzi a ritenere che la teoria marxista sulla questione nazionale e coloniale sia stata superata dagli eventi (n.). Crediamo, in particolare che nei continenti una volta soggiogati dal colonialismo bianco sia in atto un rivolgimento di portata rivoluzionaria, e in quanto tale merita di essere appoggiato dai comunisti rivoluzionari.
(...) Vedremo che cosa architetteranno i nostri sinistrissimi, quando scenderanno dal loro piedestallo di indifferenza e si degneranno di dirci che pensano delle "cose del Tibet". Intanto, le posizioni che abbiamo prontamente prese dimostrano ampiamente come sia possibile seguire una giusta linea marxista senza precipitare nei burroni, ugualmente pseudomarxista e dellultra-sinistrismo. Abbiamo dimostrato, in particolare come lappoggio al movimento rivoluzionario antifeudale non comporti che le posizioni del partito comunista rivoluzionario si confondano con quelle dei partiti che del comunismo rappresentano la degenerazione opportunista. Esiste una reale politica di intervento nella organizzazione sociale di un paese feudale, nel nostro caso il Tibet, che non può definirsi marxista anche se applicata da un partito che al marxismo pretende di rifarsi. Ed è quella seguita dal partito comunista cinese, il quale, per soddisfare certe esigenze di politica estera, accondiscende a "coesistere" col feudalesimo tibetano. Esiste, invece, una politica, purtroppo solo virtuale, che, se applicata, riscuoterebbe il nostro appoggio. Quale? Labbiamo detto nellarticolo precedente: la guerra rivoluzionaria, cioè la conquista militare portatrice di rivoluzione. Ciò significa che se le armate di Mao Tse Dun, entrate nel 1950 nel Tibet, avessero abbattuto il potere temporale della Chiesa lamaista, spodestata laristocrazia tribale-feudale e liberati i servi della gleba, noi avremmo appoggiato, sia pure dalle colonne di questo foglio, tale impresa? Esattamente. Avremmo plaudito alle armate di Mao Tse Dun, come plaudiremmo, se la storia potesse ripetersi, alle truppe della Convenzione Giacobina. Ma ciò sarebbe bastato a farci considerare il partito comunista cinese come un partito marxista ortodosso? No di certo. È storicamente provato che un partito proletario comunista può capeggiare, nellepoca dellimperalismo, una rivoluzione antifeudale. Ma non è vero il contrario: cioè che chiunque porti avanti una rivoluzione antifeudale si debba considerare marxista (n.). ( )
Laltra geniale obiezione dei nostri estremo-sinistri da asilo infantile è che noi, appoggiando le rivoluzioni afro-asiatiche (magari avessimo tanta forza da appoggiarle sul serio, con le armi in pugno!) aiutiamo la borghesia indigena a costruire lo Stato nazionale. Altra accusa idiota. ( )
Noi, con Lenin e le tradizioni della Terza Internazionale, siamo per la liberazione delle nazionalità oppresse, perché la rottura dei vincoli coloniali e paracoloniali è condizione indispensabile della liquidazione di forme produttive arretrate. Cioè, i marxisti appoggiano la formazione dello Stato nazionale, in ambiente storico precapitalista, perché esso rappresenta lo strumento indispensabile, nellassenza della rivoluzione proletaria, per abbattere rapporti sociali e politici antiquati. Quel che conta, in sostanza, è appunto la messa in moto dei profondi fattori economici che il colonialismo e il paracolonialismo tenevano immobilizzati (n.). Per tal ragione, come avremmo salutato con soddisfazione una rivolta antifeudale delle classi inferiori tibetane, così avremmo appoggiato, per quel che possiamo, una guerra rivoluzionaria della Cina contro laristocrazia feudale del Tibet, una guerra di tipo napoleonico che unisse la conquista militare del territorio allo spodestamento delle vecchie strutture politiche.
(...) Senza la rivoluzione antifeudale, non è possibile la rivoluzione proletaria. Senza labolizione della servitù della gleba e della clericocrazia (ci si perdoni il termine), non è possibile la nascita di un proletariato tibetano, destinato ad impugnare, presto o tardi, la bandiera rossa della rivoluzione comunista. Qui il punto. Ma i nostri estremisti infantili non lo comprendono, chiusi come sono nel lamasterio dellindifferentismo.
("il programma comunista" n.8/1959)
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