Oggi che i super-aerei di guerra della NATO non disturbano più coi loro decolli i sensibili padiglioni auricolari delle popolazioni di Aviano e dintorni; oggi che il Mare Nostro è tornato tranquillo salvo qualche relitto da recuperare e residui alluranio che, per fortuna, nessuno vede o sente, salvo i pesci che poi arrivano sulle nostre mense; oggi che TV e giornali di stato, cioè tutti o quasi, non hanno scene di guerra da esibire, ma solo toccanti scene di "ricostruzione dei Balcani", anche quel poco di opposizione, monca e informe, che si era manifestata mentre il conflitto era in atto, sembra cadere totalmente in letargo. Ci si occupa, semmai, del grado di "efficienza" dei "nostri" cosiddetti "aiuti umanitari", dei container lasciati inutilizzati o a deperire oppure consegnati improvvidamente alle mafie albanesi. E neppure si fa lo sforzo di comprendere e denunziare come questi "aiuti" abbiano egregiamente assolto allo scopo per cui erano stati programmati -la mobilitazione probellica della gente comune sotto la bandiera dell"umanitarismo"!- o siano, altrettanto egregiamente, andati a finire nelle male mani di coloro cui erano sin dapprincipio destinati.
Nel numero speciale precedente del nostro giornale abbiamo segnalato con forza, e speriamo con la dovuta chiarezza, esattamente questo pericolo: che la fine del conflitto aperto venisse a celare precisamente il fatto che la guerra imperialista continua nei Balcani e si fa anche più atroce allorché si riveste della pelle dellagnello. La "pace" imperialista altro non è che la prosecuzione della guerra, così come questa lo è della politica, sotto altre forme, se cè concesso parafrasare von Clausewitz.
La "pace" imperialista significa da anni per lIraq una somma di devastazioni infinitamente maggiori di quel che ha fruttato la guerra dispiegata. La stessa regola vale per i Balcani. Su questo dovrebbero far chiarezza e mobilitarsi i vari "pacifisti" oggi zitti e buoni a dimostrazione del carattere smidollato della "opposizione alla guerra" di cui si sono mostrati capaci quando le armi tuonavano.
Questo non avviene. Ne prendiamo atto, e già "ce lo sapevamo" e lo abbiamo denunziato a suo tempo, non per "separarci" da quel poco di mobilitazione che allora ci fu, ma per renderla sul serio affilata e tagliente. E se oggi anche le "massette" di ieri laltro vengono a mancare, richiamiamo i singoli militanti seri, quelli col sangue nelle vene prima ancora che con tutte le rotelline intellettuali a posto, a comprendere quel che è stato, è e sarà per disporsi su un coerente fronte di battaglia per gli appuntamenti futuri che le convulsioni imperialiste ci costringeranno -noi comunisti e le masse- ad affrontare.
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Falsa pace, peggiore della guerra
Se parliamo di falsa pace non è solo o soprattutto perché sotto gli occhi di tutti sono le violenze cui è quotidianamente esposta la popolazione serba, rom o di altre nazionalità jugoslave, in Kosovo sotto lattenta supervisione criminale delle forze dellONU. Questa è appena la faccia più evidente del problema, non quella principale.
Parliamo di pace falsa e guerra vera che continua perché limperialismo occidentale prosegue a tenaglia lopera di soffocamento dei fortilizi di difesa contro di esso presenti non unicamente in Jugoslavia, ma, in maniera crescente, in tutti i Balcani. È guerra contro quel che rimane della Jugoslavia e lo spirito jugoslavista in qualche misura rinascente in tutti i territori della "ex". È guerra con dei fortilizi di difesa contro di esso presenti non unicamente in Jugoslavia, ma, in maniera crescente, in tutti i Balcani. È guerra contro quel che rimane della Jugoslavia e lo spirito jugoslavista in qualche misura rinascente in tutti i territori della "ex". Sono, per la Jugoslavia, peggio delle bombe i vari Djindjic (già "profugo" durante il conflitto presso le centrali imperialiste europee per suggerire i mezzi migliori per farla finita presto e bene con Milosevic) o il capo-clan del Montenegro coperti di danaro con cui comprare i propri clientes a pro degli interessi imperialisti. È guerra la spinta data in Jugoslavia a qualsiasi nazionalità o anche semplicemente "realtà locale" per metterle in contrasto con Belgrado per arrivare a unulteriore e più spinta frammentazione del paese. È guerra il rinfocolamento degli irredentismi grande-albanesi nellarea per destabilizzarla ulteriormente e metterla al definitivo guinzaglio dellOccidente, con quali risultati di indipendenza e benessere effettivi si vede superlativamente nella stessa "libera" Albania, oggi sede distaccata della Fiera del Mediterraneo barese. Guerra contro la stessa popolazione albanese, giova rilevarlo, chiamata ad azzannare le spoglie della Jugoslavia unicamente per suicidare se stessa come soggetto nazionale autonomo. Tutto il resto fa da contorno attivo, a cominciare, come più volte sè detto, dai famosi "aiuti umanitari" appaltati a laici e cristianissimi servi dellimperialismo.
E, con il dominio dellarea balcanica esercitato nei più cinici dei modi, continua e si proietta in avanti la guerra in fase dincubazione dellimperialismo occidentale contro Russia e Cina. La pur tiepida presenza della prima tra le truppe di pace è apertamente boicottata, per non dire schiacciata, a ogni passo dal padrone di fatto. Quanto alla seconda, si riconosce più o meno ufficialmente, oggi, che il bombardamento della sua ambasciata a Belgrado non fu errore, ma deliberato piano strategico di "dissuasione", apertamente rivendicato in quanto tale. Tanto per dire che limperialismo occidentale si appresta a fare i conti, alloccorrenza, anche con Mosca e Pechino. Ché, tanto, dei poveri "kosovari" cui venire solidaristicamente in soccorso non mancheranno mai quando si tratterà di passare alle vie di fatto, dai "martiri ceceni" a quelli tibetani in saio buddista o di qualsiasi altro soggetto utile allo scopo, magari qualche succursale di setta religiosa "oppressa" con sede di riferimento a Washington.
La destabilizzazione dei Balcani non ha prodotto, dunque, sin qui, soltanto la
frantumazione di quel che era la vecchia Jugoslavia in una miriade di poteri locali sempre
più dipendenti e oppressi, con la messa sul lastrico anche delle entità, sulla carta, in
partenza più favorite -vedi la Slovenia, oggi presa per la gola per lentrata in
Europa-; non solo ha esteso larco di crisi ai paesi vicini dellEst e, a sud,
alla Grecia; proietta, al contrario, lombra dello scontro sempre più lontano e in
alto, sino a toccare direttamente Russia e Cina.
Chi questo non vede o è vero cieco, o è uno di quei falsi ciechi che sindustriano
a elemosinare più proficuamente con gli occhi bene aperti sotto le lenti scure dei propri
occhiali.
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Chi potrà rovesciare la tendenza?
Abbiamo parlato in prima istanza di coloro che stanno qui, nelle metropoli imperialiste,
perché a essi spetta il compito primario di alzare la voce contro gli insanguinati veleni
dellimperialismo. Senza di ciò ogni reazione allattacco imperialista nei
paesi sotto dominio o controllo resta inevitabilmente esposta al pericolo del ripiegamento
sulla linea di resistenza "più facile, più immediata", come può essere, in
Jugoslavia, quella di stringersi attorno alla fortezza-Milosevic nellillusoria
rivendicazione di un "orgoglio serbo" condannato, nel suo isolamento, alla
disfatta (ed è un altro, non secondario, frutto avvelenato prodotto
dallimperialismo e dallo smidollamento delle sinistre, magari "estreme",
di qui).
Ma parliamo anche, direttamente, del proletariato balcanico, che, se non può da solo e
per sé solo, surrogare lapporto necessario del suo fratello "pulcino
spaiato" dOccidente, può dare a esso lopportuno segnale perché si muova
a tempo e sul serio.
Il proletariato balcanico -da quello croato, nelle sue punte avanzate, tanto per dire!, a
quello greco, per non parlare di quello serbo che ha su di sé direttamente le piaghe
infertegli dallaggressione imperialista- ha realizzato che questa aggressione tutti
riguarda in quanto frazioni distinte di ununica classe. È unacquisizione
che non può essere lasciata passare invano.
Lavorare su queste scintille di coscienza sprigionate da un attacco brutale, che tutto mostra non destinato a fermarsi, è il compito dei comunisti. Lotta alla "pace" attuale, oggi, non meno che, ieri, contro la guerra. Lotta senza quartiere contro il "nemico principale" al nostro interno, escludendo categoricamente ogni e qualsiasi forma di "aggiustamento delle cose" a "sinistra", magari con la scusa delle "nuove occasioni offerte dalla pace" e dalla "ricostruzione" che gli assassini di ieri dovrebbero saper "cogliere" (e colgono, in effetti!, proseguendo e intensificando la guerra). Uno sforzo allo spasimo per intrecciare collegamenti coi proletari balcanici, a partire dai loro immigrati qui nelle metropoli, e mostrare così, nel concreto, a essi che Jugoslavia è il mondo, un mondo di oppressione da cui potremo uscire solo impugnando le nostre armi, indipendenti e antagoniste rispetto a quelle di qualsiasi Milosevic o consorte.
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Il sostegno incondizionato alla resistenza anti-imperialista
è lunica condizione per farle assumere una direzione coerente.
A questultimo proposito va solo ricordato, una volta di più, che se una parte del proletariato jugoslavo -e non la meno avanzata in coscienza e determinazione- fa quadrato attorno a Milosevic è perchè vi è, in qualche modo, costretta.
Data la propria debolezza e quella internazionale del movimento di classe, esso non può, al momento, esprimere la sua alternativa a Milosevic, dando battaglia allimperialismo sul suo proprio terreno di classe. Daltra parte, è costretto a prendere atto che l"opposizione" interna, protetta dal munifico ombrello della Nato, rappresenta -come bene si è espressa la Markovic- la longa manus da tagliare dellimperialismo. Di conseguenza, invece di appoggiarla, sente, piuttosto, di doversi assumere lonere(-onore!) dellamputazione.
Da ciò non deriva che noi rilasciamo una qualche cauzione a Milosevic -detto e ripetuto mille volte! La demarcazione da esso potrà, però, avvenire solo su questo terreno di mobilitazione. Perciò noi non chiederemo ai proletari serbi, come fanno certi "sinistrissimi", di staccarsi preliminarmente da Milosevic, disertando, allo stesso tempo, il campo della mobilitazione anti-imperialista. E ciò, magari, per aver "diritto" a qualche lira di elemosina, a qualche "adozione a distanza" (vomitevole ultimo ritrovato della "carità cristiana" di certi "sinistri umanitari"!).
A un rappresentante di costoro, che chiedeva agli operai della Zastava: "Ma
perché mai permettete che governi Milosevic?", uno di essi rispose a tono: "Ma
perché mai voi permettete che governi DAlema, e ci bombardi?". Noi la giriamo
così: solo se noi sapremo qui spezzare le grinfie dellimperialismo potremo
aspettarci -non "pretendere"- che i proletari jugoslavi sentano che la loro
sacrosanta lotta di difesa contro limperialismo non è sola e possano fare a meno
dellingombrante tutela di un Milosevic o chi per esso. Fino a tanto che ciò non si
darà, essi sentiranno solo di dover far fronte come "popolo" alloffesa, e
di doverlo farlo con gli strumenti disponibili, governo Milosevic compreso.
Che sia una strada senza vie duscita lo capiamo benissimo, ma altrettanto bene
dobbiamo intendere che questa resta nondimeno una lotta legittima e la sola
attraverso la quale una diversa strada può e deve essere imboccata.
Quando limperialismo italiano di Mussolini attaccò lImpero Etiopico anticipò, nella propaganda, le attuali menzogne sanguinarie della Nato: andiamo a liberare le masse etiopiche, schiavizzate dal Negus feudale, in nome della "civiltà", "posto al sole" imperialistico a parte. Qualche deficiente smidollato "rivoluzionario" chiese a Trotzkij: "Ma possiamo noi difendere il Negus?". Risposta bruciante del grande Leone: "Noi difendiamo la causa del proletariato internazionale appoggiando sino in fondo, incondizionatamente, la lotta di resistenza anti-imperialista delle masse "arretrate" etiopiche; facendo questo, e solo facendo questo, le aiuteremo a sbarazzarsi anche del Negus nel fuoco della lotta". Fatte salve le debite differenze storiche, il criterio resta tuttora valido per quel che riguarda i Balcani: nel fuoco della lotta di resistenza anti-imperialista lì e nelle metropoli si forgerà il partito mondiale della rivoluzione.
Il Negus di Belgrado, con la sua ingombrante presenza, non serva da alibi per disertare da tale lotta, dal sostegno incondizionato a chi è costretto, da solo e nellostilità generale, a portarla avanti. Anche, inizialmente, sotto le bandiere del Negus? Ma, pezzi di imbecilli!, siamo noi qui a tenerlo in piedi col nostro nullismo; e se solo diamo unocchiata alle "alternative" che limperialismo propone ai vari Milosevic o Saddam (addestrando in casa propria i Djindjic o riunendo presso le sedi della CIA gli "oppositori iracheni") e che "persino" certi "ultrasinistri" sottoscrivono, seppur con qualche suggerimento emendativo, ci sarebbe da dire: "Per fortuna!".