CRONACA (
e buone notizie)
DAL CENTRO DELLIMPERO
Il 5 giugno si è tenuta a Washington, davanti al Pentagono, una giornata di lotta nazionale del movimento pacifista statunitense. Alla manifestazione, cui hanno partecipato 10.000 dimostranti, è intervenuta una nostra delegazione, che ha diffuso un volantino ed altro materiale di propaganda ai manifestanti e, di ritorno, ha redatto per il Che fare il reportage che pubblichiamo. |
Il raduno della manifestazione è previsto presso il Memoriale della guerra in Vietnam. La polizia della contea ha vietato il percorso richiesto dagli organizzatori -dal Memoriale al Pentagono-, ma questi hanno riconfermato sia la scadenza di lotta che il percorso. Lantefatto dimostra la ben diversa predisposizione del governo americano verso i pacifisti di casa propria (e viceversa) rispetto agli occhiolini dintesa dellamico Minniti agli organizzatori dellultima manifestazione ad Aviano (con treni gratuiti acclusi). Il giorno precedente anche i giornali statunitensi hanno rilanciato la notizia di "accordi di pace" imminenti e questo fa temere una ritirata delle truppe "pacifiste". Raggiungiamo il luogo del raduno percorrendo gli squallidi quartieri dove, ai margini della città, vengono confinate le minoranze nere e che circondano gli asettici edifici istituzionali, simbolo dellimperialismo statunitense. Oltre la Casa Bianca, nel parco adiacente al Memoriale, incontriamo i primi drappelli di manifestanti. Sono serbi, di quella comunità che in occasione del 50° anniversario della NATO ha mobilitato 20.000 persone contro laggressione alla Jugoslavia. Sul petto portano un distintivo con la scritta "Sono orgoglioso dessere serbo", facendo mostra di quel nazionalismo che fa arricciare il naso a puristi e filo-imperialisti di casa nostra e che turba piani e progetti del governo statunitense. Si tratta della stessa comunità che la CIA ha cercato di utilizzare, non più di qualche anno fa, per destabilizzare la Jugoslavia attraverso lingloriosa sortita del "serbo"-amerikano Panic e che oggi riporta dentro casa le contraddizioni di unaggressione che ha bisogno di ben altri mezzi per salvaguardare gli interessi imperialisti nei Balcani e nel mondo.
In compagnia dei serbi, raggiungiamo la spianata dove ha luogo il concentramento. Si montano i primi banchetti di propaganda. Piccoli gruppi "trotzkisti" (che Trotzkij schiaffeggiò in anticipo circa 60 anni fa schiaffeggiando i loro democratici predecessori nel movimento per la IV Internazionale) si distinguono per accompagnare la propaganda contro laggressione alla Jugoslavia con le dissociazioni di prammatica dal "mostro" Milosevic. Ma non tira aria dequidistanza tra aggressori e aggrediti e nemmeno i più sfegatati supporters della "lotta a tutti i nazionalismi" (ovvero a tutti tranne che al proprio ) osano evidenziare troppo le proprie tendenze. Siamo, comunque, costretti ad allontanare uno sfortunato attivista che cerca di propinarci un giornale che commemora in prima pagina le "gloriose giornate di Tien An Men" e del nazionalismo a stelle e strisce degli studenti cinesi. Poco distante qualcuno, un po meno "trotzkista", ha montato su un pannello le fotografie più recenti delle manifestazioni cinesi contro il bombardamento dellambasciata a Belgrado.
I primi a giungere al concentramento sono proprio rappresentanti delle comunità asiatiche. In particolare della comunità coreana. Presenza significativa di una comunità tra le più integrate nella gerarchia con cui limperialismo statunitense ha finora tenuto diviso, nel mondo e in casa propria, il proletariato delle diverse nazioni. Il suo rappresentante dirà dal palco: "Ricordate Panama, la Somalia, lIraq? La guerra in Jugoslavia mi ricorda i crimini compiuti contro la Corea mezzo secolo fa". Ci permettiamo di salutare con gioia questa presenza senza tema dessere collocati, dagli immancabili cretini di turno, tra i sostenitori dei commercianti e dei ristoratori coreani del Bronx.
Sul prato sono ammonticchiati centinaia di cartelli dellInternational Action Center (IAC), lorganismo che ha promosso la marcia. Li leggiamo e ci rendiamo conto che le notizie dell"accordo di pace" non hanno disorientato i promotori: "No alloccupazione della Jugoslavia da parte delle truppe NATO", "Giù le mani dalla Jugoslavia", "Le truppe a casa, subito". Nessuna apologia di una pace che viene, anzi, identificata come un atto di prosecuzione della guerra e dellespansionismo imperialista statunitense. Nel corso della manifestazione verrà distribuito un volantino dello IAC in cui si indice un nuovo giorno di protesta per il 26 giugno "Contro loccupazione USA-NATO della Jugoslavia"; in esso si denuncia che "loccupazione del paese da parte di truppe straniere è fatta in nome del capitale straniero. Ciò non produce uno scenario di pace. Anzi incoraggia gli appetiti USA per la dominazione dellEuropa, della Russia e dellAsia".
Man mano che affluiscono i partecipanti, si percepisce sempre più decisamente che questo movimento pacifista non si limita a una protesta contro la contingenza di questo intervento militare, e, soprattutto, e qui cè una nostra sorpresa, che esso sa legare strettamente laggressione imperialista esterna ai temi dellaggressione quotidiana interna. Questo legame si realizza in modo quasi naturale per due ordini di motivi. Il primo è che dal centro dellImpero appare del tutto impossibile schierarsi contro laggressione in Jugoslavia senza fare i conti con un intervento costante e sempre più militare in ogni angolo della terra (Iraq, Centro e Sud America, Sud-est asiatico). Il secondo è che le vittime di queste aggressioni (i proletari e gli sfruttati di tutto il mondo) sono fisicamente presenti in loco, con una presenza organizzata quali sfruttati protagonisti della ripresa della lotta sindacale e politica. Non è un caso che tra i primi interventi degli oratori dal palco si è distinto per forza e chiarezza quello di una rappresentante della comunità chicana, che alla denuncia allaggressione degli Usa ha legato ciò che accade in Messico e ai lavoratori messicani sfruttati negli States. Il colpo docchio conferma questo dato, non tanto per la quantità e consistenza dei partecipanti, quanto per la fisica commistione di bandiere serbe, coreane, cubane, greche, portoricane, per gli slogans contro il taglio alle spese sociali e contro la repressione degli sfruttati neri. Un esempio di quanto la protesta antimperialista sia legata alla condizione di sfruttamento del proletariato internazionale presente negli USA ci viene dato da un semplice ed efficace cartello di una donna nera che dice "Milosevic non mi ha mai chiamato negra". Certo, "manca" la bandiera rossa, presente formalmente solo con noi dellOCI, ma chi sa pensare in modo dialettico comprende come quella "fisica commistione" di tante bandiere che non si respingono a vicenda, ma si avvicinano tra loro nella lotta al potere imperialistico supremo, prepara il salto storico e politico che ci consentirà, finalmente, di riconquistare davvero, per tutti gli sfruttati del mondo, la comune bandiera del comunismo. Noi siamo qui per questo scopo.
La determinazione del movimento pacifista statunitense (tra laltro, quasi ognuno porta un suo cartello) è il riflesso di uno sfruttamento che si intensifica anche contro il proletariato bianco e che lo spinge oggettivamente a unirsi alla lotta dei lavoratori colorati. Significativo, a tal proposito, è il volantino distribuito nel corso della manifestazione dagli attivisti della CLR (Campagna per i diritti dei Lavoratori) che si batte contro gli sweatshop (letteralmente: i laboratori del sudore, ovvero le fabbriche semiclandestine dove in regime di totale sfruttamento e senza alcuna garanzia vengono inchiodati i lavoratori latino-americani e non solo), entrati a far parte a pieno titolo del panorama produttivo mondiale come sistema co-essenziale allorganizzazione del lavoro "post-industriale" (!?), e che ormai il capitale ha introdotto con gli stessi sistemi gangsteristici, di divisione e super sfruttamento dei lavoratori, anche in casa propria. Contro di essi è in atto una risposta di lotta internazionale che negli ultimi tempi ha visto sorgere negli USA veri e propri sindacati nazionali, come lo UNITE delle lavoratrici tessili o il SEIU dei lavoratori dei servizi. Nel volantino della CLR vengono brillantemente messi in relazione la politica di bombardamenti, lobiettivo di distruggere la Jugoslavia per creare un esercito di mano dopera a basso costo, e la battaglia interna e internazionale contro gli sweatshop: "la miglior cosa che possiamo fare è opporci allintervento militare USA, che viene propagandato come un intervento per tutelare i diritti umani proprio laddove gli abusi sui diritti umani (dei lavoratori) abbondano".
Lo schieramento dei manifestanti è arricchito dalla presenza dei veterani del Vietnam, dai militanti delle chiese di base, e dai molti giovani studenti che hanno sostenuto lorganizzazione della marcia. Una presenza eterogenea, un minestrone demo-pacifista, direbbe il "purista" disposto a dar battaglia solo in un movimento che si presenti fin dal suo nascere rigorosamente "comunista". Peccato che l"orrido miscuglio" trovi motivazioni e modi per tenere insieme e organizzare oppressi di tutte le nazionalità col sostegno di forze interne alla centrale imperialista dello sfruttamento mondiale del proletariato. E ciò trova riscontro (a scorno degli squallidi cacciatori di bandiere serbe e jugoslave che si affiancano alla NATO nella pulizia etnica anti-serba e anti-jugoslava nei cortei italici), proprio, nella forza e vivacità dei lavoratori serbi, vera anima della manifestazione che, a tutto dispetto delle insegne nazionali, o addirittura monarchiche, innalzate contro le mura del Pentagono (dietro cui certamente non potranno trovare il loro riscatto, né la loro vittoria), sono coloro che hanno chiamato sul campo queste forze. Evocando, con ciò, non un fronte interclassista o di nazioni sfruttate contro limperialismo, ma lintreccio tra la difesa dallaggressione imperialista e le contraddizioni metropolitane da cui soltanto potrà nascere la reazione e la direzione internazionale di classe proletaria della lotta allimperialismo, vera e insostituibile soluzione al problema posto oggettivamente sul tappeto a Washington.
Nellafa della capitale, rullano i tamburi coreani e la massa dei partecipanti si organizza improvvisamente in un serrato serpente fitto di cartelli che sibila slogan contro gli edifici bianchi e neoclassici dei Dipartimenti del Governo americano presidiati da polizia a cavallo. A passo di marcia il corteo arriva su uno dei ponti sul Potomac attraverso il quale si raggiunge il Pentagono. La polizia si ritira e il corteo si allarga nelle strade fiancheggiate dai prati depurandoli dalla presenza delle facce da jogging dei burocrati ministeriali. Sotto le mura del Pentagono è già montato il palco che ospiterà gli interventi finali e il corteo conquista lo spazio antistante la costruzione. La gente segue attenta, partecipando con fischi e approvazioni agli interventi finali.
Dopo aver completato la nostra propaganda (non siamo qui solo ad osservare, anche se ci è servito molto osservare), ormai a sera, prendiamo gli ultimi contatti e accompagnamo il vivace deflusso della manifestazione verso la città. Discutendo con alcuni manifestanti, proviamo a riflettere sul perché questo movimento, allapparenza fragile di fronte allarroganza imperialista, abbia suscitato tanta preoccupazione nel governo statunitense. In fondo, anche oggi si è potuto rilevare quanto sia stata scarsa la partecipazione operaia, e le stesse Unions o il Labor Party non si sono espressi sulla guerra in Jugoslavia. Assenti erano anche le organizzazioni nere, che pure in questi ultimi mesi hanno dato vita a imponenti manifestazioni a New York contro la repressione di Giuliani e lassassinio da parte della polizia dellimmigrato Diallo. Tutti elementi che, pur nel risveglio dellattività sindacale e politica del proletariato bianco e di colore, attestano tuttora uno stato di debolezza e divisione del fronte proletario. Ma, probabilmente, il governo statunitense si rende conto, "come" noi sul lato opposto della barricata, che questi elementi di debolezza possono essere superati proprio dalla convergenza del potenziale antistatale e di lotta presente negli Stati Uniti, un potenziale che viene acuito dalla politica di attacco interno ed esterno che limperialismo statunitense è costretto a portare ogni giorno di più contro tutte le componenti del proletariato.
Si è fatto un gran paragonare questo movimento con quello pacifista del Vietnam per
mostrarne i limiti e lapoliticità. A questo ha forse risposto con più senso della
realtà degli interessati analisti borghesi o dei soliti ultra-sinistri, il leader
dello IAC, Ramsey Clark (ministro della giustizia di Kennedy, dimissionatosi per la guerra
in Vietnam), quando ha fatto notare che per mettere su le prime manifestazioni contro la
guerra in Vietnam ci sono voluti cinque anni di guerra e molti morti americani, mentre
oggi le piazze si sono riempite ancor prima di perdere un solo uomo.
Ottimo lavoro, diciamo noi, e buona base di partenza e verifica della potenzialità
anticapitalistica di questi nuovi e "apolitici" movimenti, che fanno, se ne
rendano conto o no, più politica contro loppressione di classe internazionale di
certi affabulatori (al modo di Chiambretti) della rivoluzione mondiale.
Noi abbiamo parlato a questa piazza americana nella nostra vibrante lingua
internazionalista e di classe, non del tutto ignota, vedete quantè grande la forza
dei fatti e della tradizione comunista (pur nel momento in cui appare
"sepolta"), a quel manifestante veterano del Vietnam che su una copia della
Bibbia ha incollato la scritta Kosovo=Vietnam. E così sia.
BEN DETTO.
AL LAVORO PER FARLO!
Per documentare ai nostri
lettori i temi e lo spirito con cui è stata preparata
la manifestazione di Washington, riportiamo qui da Workers
World / Mundo Obrero del 10
giugno (vol. 41, No. 23) le dichiarazioni di alcuni
degli organizzatori.
Afferma Brian
Becker: "Questa è
una guerra contro la classe operaia della Jugoslavia. E sarà
pagata con un massiccio incremento del cosiddetto
bilancio della difesa - che
è in realtà un bilancio di guerra. Pagheranno
il conto del Pentagono (a favore di corporations tipo Lockheed,
Boeing, General Electric e
Raytheon) i lavoratori degli Stati Uniti,
che soffrono peri bassi salari ed il razzismo. Il nostro
nemico non sono i lavoratori della Jugoslavia, sono
le corporations e i politici che vorrebbero mandare i
nostri giovani nei Balcani ad uccidere ed essere uccisi “.
John Parker, un
organizzatore di Los Angeles, sottolinea anch'egli
la connessione tra guerra e razzismo:
"È interessante che, dal momento in cui questa guerra è
cominciata, c'è stata qui a Los Angeles una epidemia
di assassinii nella comunità nera da parte della
polizia. Questo fatto dimostra come il governo
degli Stati Uniti usa le sue guerre contro il popolo
lavoratore di altri paesi per affilare le sue armi di
morte e di disinformazione con cui devasta qui la vita del popolo americano.
"Anche qui il governo
degli Stati Uniti commette dei crimini di guerra.
Quando esso storna denaro dai programmi di spesa
sociale, c'è più gente, specie neri e latinos, che
muore per lo stato di abbandono in cui
si trova e per malnutrizione. Miliardi di dollari sono
andati dai programmi federali per la casa e per la sicurezza sociale e i sussidi
alimentari direttamente in bombe e
aerei da usare in Jugoslavia. Questo grazie
a Clinton e al Congresso.
"Ma
come il popolo serbo sta combattendo lì contro i poliziotti degli
Stati Uniti e della NATO, così noi stiamo combattendo qui contro i
poliziotti e il governo razzista, antioperaio
e corrotto. "
Infine, le considerazioni di Gloria La Riva, una videofotografa esponente di spicco dell'International Action Center: "Noi dobbiamo innalzare il livello della lotta contro la guerra, e questo comporta l'allargamento di tutto il movimento contro questa guerra imperialista. Dobbiamo realizzare delle azioni militanti e creative. Ogni volta che un rappresentante del governo o un generale viene da queste parti, noi dobbiamo garantirgli che si troverà di fronte la forza della resistenza popolare. " Al contempo questa organizzatrice sottolinea l'importanza dell'educazione politica: "Come durante la guerra del Vietnam, è necessario per la gioventù che guida la lotta imparare qual 'è la reale natura dell'imperialismo. Questo è importante affinché gli attivisti non siano deviati dalla incessante propaganda di guerra degli USA. "