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Guerra ed elezioni
CHI SEMINA VENTO…

Il 13 (giugno) ha portato sfortuna alle "sinistre" europee ed ha, invece, premiato vecchie e nuove forze di destra, spesso molto diverse e addirittura in competizione tra loro, ma tutte accomunate da un poco rassicurante ceffo di classe antiproletario al 100%, da Pasqua agli antieuropeisti britannici, dagli ultranazionalisti austriaci alla lista che, in quanto al disgusto che ci provoca, supera ogni altra, vale a dire quella nostrana della Albright-Bonino. I segnali in controtendenza sono sparuti e, per lo più, assai dubbi: è vero, ad esempio, che il blocco LO-LCR in Francia ha ottenuto un "apprezzabile risultato", ma l’ha ottenuto adottando più che mai una linea strettamente nazionalista (tipo "La Francia ai francesi" del fu-PCF alla Thorez) e addirittura accodandosi alla campagna bellicista anti-jugoslava del "proprio" paese con la scusa che prima occorrerà far fuori Milosevic, e poi si vedrà, se del caso, di riprendere la "lotta anti-imperialista" (oggi ingiustificata, visto che il compito prioritario sarebbe quello di far fuori i "criminali serbi"!); e, sempre in Francia, ci vuole un bel coraggio per arruolare nelle file dell’"alternativa di sinistra" il bandito verde a stelle e strisce Cohen Bendit.

La jella, evidentemente, non c’entra. Ci devono essere ben più solide ragioni di fondo per spiegare quanto è accaduto, e, stavolta, per mostrare quanto siamo aperti e "democratici", facciamo addirittura a meno di usare parole nostre per svelare l’arcano. Ci basta quanto ha scritto su Liberazione del 15 giugno Nichi Vendola, un personaggio verso il quale non si può dire che nutriamo eccessive simpatie:

"La sinistra governante, nelle sue piroette (diciamo noi: nella sua ferma linea reazionaria, n.) liberiste e militariste, spiana il terreno all’assalto delle destre, in Italia e in Europa. Noi restiamo stritolati dentro l’onda di riflusso e di smarrimento. La perdita di identità e di credibilità e di fascino della sinistra moderata trascina anche noi nel gorgo della sconfitta. Giocare sul terreno della destra –cavalcando gli animali spiriti della globalizzazione economica, emulando i riflessi d’ordine della cultura avversaria, dissipando legami di classe e radicamento sociale: tutto questo, al contrario di quanto si pensi, non toglie fiato alla destra, non la confonde, non la smarrisce. Anzi: la nutre, la allena, la ingrassa di riferimenti ideologici e di risorse egemomiche… Se tra D’Alema e Berlusconi si svolge il duello su chi fa meglio la guerra o le privatizzazioni, su chi è più flessibile o su chi finanzia meglio il sistema d’impresa o la scuola privata: se è così non c’è neanche il duello, non c’è partita."

Senza volerlo o saperlo, Vendola ripete qui, sia pure con linguaggio slavato e confuso, quanto Lenin, Trotzkij, Bordiga hanno sostenuto da sempre: la "sinistra" del capitale imperialista è una "organizzatrice di sconfitte" che possono andare a toccare anch’essa, ma, in primo luogo ed in ogni caso, vanno a colpire il proletariato. Chi ha aperto in passato le porte al militarismo imperialista della prima e seconda guerra mondiale, chi ha spianato la via al fascismo se non la socialdemocrazia? E, oggi e in futuro, nulla di diverso, se non in peggio, può essere immaginato, considerata l’inarrestabile ed irreversibile integrazione della "sinistra", neppur più socialdemocratica in senso stretto, nell’ambito di un capitalismo imperialista sempre più criminale e distruttivo a scala sociale internazionale (ed anche interna ai singoli stati).

Ma quale mai potrà essere la cura proposta a questo male da un "alternativismo" tipo quello rifondarolo? Esattamente quella contraria alla diagnosi qui sopra accennata. Se anche "noi" abbiamo perso, se anche "noi" siamo rimasti stritolati nel gioco "suicida" della "sinistra ufficiale", la via d’uscita non potrà consistere, secondo la logica riformistoide del PRC, che nel "legarci" più "intelligentemente", e senza eccessi di "estremismo", al senso comune di questa stessa "sinistra", usare "linguaggi" e "tattiche" acconce a ridurre le distanze da essa, "tallonandola" cossuttianamente, oppure (o contestualmente) andando alla ricerca di altre sponde "alternative" (e se le son già tentate tutte in questo campo: dal riferimento ai "compagni" militaristi verdi a quello alla feccia dei "centri sociali", sino, all’occorrenza, e su temi istituzionali "specifici", a fu-retini, PPI etc. etc.). D’altra parte, anche in queste elezioni, il PRC si è ben intruppato nelle coalizioni di centrodestra"sinistra" svilendo nel blocco con i bombaroli del capitalismo imperialista patrio quel poco di azione antibellicista che aveva saputo produrre, perché, in fondo, la pecora, anche se ribelle, non può mai abbandonare il gregge, a meno di esserne fieramente cacciata a pedate. L’orizzonte "alternativo" del PCR, e molti altri con esso, non sa neppure immaginarsi un terreno di sfida politica e sociale che esuli dall’alfa ed omega elettorale-istituzionale. E chi sta in questo gregge merita di subirne la sorte comune, lo stritolamento.

Ci fa specie che, all’interno del PRC, esistano ancora molte (relativamente) generose forze giovani epidermicamente attaccate alla prospettiva comunista capaci persino di denunziare il gigionismo riformista inconcludente di Bertinotti e la sua opera di svendita di ogni e qualsiasi accenno antagonista (innanzitutto sul tema bruciante della guerra in corso contro la Jugoslavia), ma per poi attorcigliarsi attorno ai soliti refrain tatticisti. Così, ad esempio, il gruppo Falcemartello che, "tatticamente", sostiene al congresso la sinistra interna dei Ferrando-Grisolia, per meglio tallonare chi tallona Bertinotti che tallona D’Alema, e propone, come sua "discriminante" tattica, la "desistenza" elettorale anche unilaterale verso i DS purché… "liberi" dalla presenza dei partiti borghesi (degli altri partiti borghesi). Di fronte a temi e scontri di classe vivi in grado di spaccare i vecchi schemi istituzional-unitaristi in seno alla "sinistra", in seno alla classe, si rinunzia ad una propria inequivoca posizione capace di partire e riferirsi ai principi fondamentali di questa battaglia, per "manovrare" elettoralisticamente all’interno di un "blocco" dato come irrinunciabile e definitivo. Ma questo significa soltanto che si è costituzionalmente dentro quel recinto, che non esiste alcuna fiducia in una reale prospettiva antagonista di classe, in una reale funzione indipendente ed antagonista del partito rivoluzionario in relazione alle contraddizioni esponenzialmente crescenti (e pur platonicamente affermate) del capitalismo.

Noi procediamo per tutt’altra strada. La presenza della nostra organizzazione indipendente ed antagonista in questa fase cruciale non ci porta immediatamente ad un riscontro elettorale (visto anche che noi ce ne teniamo rigorosamente fuori), ma ha segnato un solco, ha permesso a molti nostri interlocutori, compagni e non –immediatisticamente-, di individuare un punto di riferimento inequivoco sui temi di fondo dello scontro internazionale di classe in atto, e questo, e solo questo, può preparare il futuro di una dislocazione delle masse verso il programma e l’organizzazione rivoluzionarie. Non saremo affatto noi a negare le questioni di tattica, ma una vera tattica può essere marxisticamente usata solo da chi sa parlare da sé e per sé il proprio inequivoco linguaggio per sfondare le linee di sbarramento verso le masse opposteci dalle direzioni nemiche e non giocando a rimpiattino con esse o solleticandole con zuccherini "transitori". Se qualcuno, giovane decrepito anzitempo, pensa, ad esempio, di aggirare l’ostacolo al "fronte unico" costituito dalla "diversa collocazione delle forze di sinistra" assunta sul tema della guerra imperialista contro la Jugoslavia scantonando il solco fondamentale e definitivo che essa ha scavato e inventandosi "altri terreni" unitaristi, si è già fondamentalmente e definitivamente separato dal terreno rivoluzionario. Bertinotti, come Cossutta (e quest’ultimo con un’impudenza che non conosce limiti), recrimina sul voto "comunista" penalizzato dalla guerra. Sembra di sentire Gastone, l’homme fatal petroliniano: "A me mi ha rovinato la guèra"… La guerra ha lacerato la sinistra italiana, si dice, dimenticando ogni altro suo effetto collaterale; ora bisogna risanare quelle ferite, bisogna "ricostruire i ponti che uniscono la sinistra". Bisogna, spiega Vendola, rivedere "la lingua che parliamo" e "i temi su cui ci caratterizziamo". Il resto lo sapete già, tanto di Bertinotti che dei suoi contestatori interni estremi: lasciamo da parte l’accessorio che ci divide e troviamo quel che di fondamentale ci unisce. Vale a dire: la stessa melma borghese in diverse salse.

Sì, la lotta contro la guerra imperialista, nelle condizioni presenti e in forza di tutto l’accumulo delle scorie del passato in seno al movimento proletario, non poteva e non può portare all’incasso immediato nella nostra direzione. Ma ha scavato il famoso solco visibile di cui sopra, ha delineato i fronti antitetici in campo, ha sin d’ora chiamato a schierarsi un insieme di forze reali (non solo italiane e non da scheda di voto). Chi ha avuto il merito di far sentire una sua voce fuori dal coro, a ciò deve riferirsi. Chi, però, l’ha fatto solo a metà, dividendo i propri strali tra Milosevic e Clinton indifferentemente, nascondendo in buona misura il ruolo del "proprio" paese, del "proprio" governo, della "propria" sinistra di appartenenza; chi, "finita la guerra", lavora a ricoprire quel solco (quasi si trattasse di un incidente di percorso e non già della pallida anticipazione dei conflitti a venire!) per riprendere i giochi interrotti nell’ambito "riformista", si preclude non solo un futuro rivoluzionario, ma gli stessi miserabili risultati elettorali. "Nutre, allena, ingrassa" la destra: Vendola dixit. E chi semina vento merita di perire sotto la tempesta.

La riscossa proletaria contro il vento di destra si darà a due semplici condizioni: quella, indubitabile, determinata dallo sviluppo delle contraddizioni capitaliste col suo peso crescente di oppressione e di sangue, e quella, cui necessita un lavoro soggettivo senza tentennamenti, della ricostruzione di un programma e di una organizzazione marxisti rivoluzionari. Non ci spaventano le inaggettivabili Bonino che conquistano dei seggi a suon di "trucchi mass-mediatici" perché, quando l’ora suonerà, un movimento di classe non mass-mediatico, ma reale le metterà à la lanterne senza troppe difficoltà; ci spaventano i troppi che bonineggiano tra di noi disertando e diffamando il terreno di classe.

Quello che, parlando di elezioni, nessuno dice è che la partita giocatasi nell’urna sempre meno trova riferimento nella realtà della vita sociale e politica del paese. Quel 90% o quasi di bellicisti eletti, di destra o "sinistra" che siano, sono potuti passare all’incasso solo perché ancora si può giocare truffaldinamente sui caratteri "umanitari" di una guerra che qui tuttora fa sentire scarsamente i suoi morsi, ma in nessun caso corrisponde ad una capacità di mobilitazione imperialistica di massa. Dove mai c’è stata una sola manifestazione che sia una a favore dell’impegno bellico del paese? Su questo la parola è passata ad altri, agli oppositori della guerra, e non è risultato da poco, solo che se ne volesse tener conto per quel che significa soprattutto in prospettiva. Inoltre, il bottino elettorale sempre più si conteggia tra una massa in calo di elettori. Chi rappresenta chi oggi in Italia (o, per riferirci al caso più clamoroso in tema di assenteismo elettorale, in Inghilterra)? E davvero, domani, quando tutti i nodi verranno al pettine, il collante tra vertici della politica ufficiale e masse potrà passare solo attraverso consultazioni elettorali disertate dalla massa con la messa in campo di squallidi figuri di individuale cartapesta al di fuori della presenza delle masse stesse con suoi programmi e sue organizzazioni? Siamo di fronte non a competizioni reali, con vincitori e sconfitti veri, ma ad una rappresentazione teatrale destinata a chiudersi, ad una sorta di miraggio cui possono correr dietro solo i fessi (soprattutto quelli "alternativistici").

A noi, OCI, la guerra non ci ha rovinato, non ci hanno rovinato le elezioni: al contrario, la lotta, quella vera, ci ha dato e più ci darà ossigeno. Un primissimo round? Sì, ma, intanto, lo abbiamo vinto ed i prossimi non ci spaventano.

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