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Guerra all’Iraq, 1999

Le sanzioni, arma da guerra yankee

Prendiamo da Notizie Internazionali, n. 57 (settembre 1998):

"Dalla fine della seconda guerra mondiale gli Stati Uniti hanno fatto ricorso alle sanzioni per 104 volte, di cui 61 volte da quando Clinton è alla Casa Bianca. Oggi, circa 75 paesi, cioè più della metà della popolazione mondiale, subiscono le sanzioni americane o ne sono minacciate. Se si risale alla fine della prima guerra mondiale, si hanno 115 casi di sanzioni, di cui più della metà sono state imposte negli ultimi quattro anni... L’attuale Congresso sta considerando sanzioni contro 10 paesi: Cina, Russia, Vietnam, Azerbaijan, Siria, Messico, Croazia, Jugoslavia, Nigeria e Sudan... (inoltre) ha in esame altre 11 proposte di cosiddette ‘sanzioni generiche’, per motivi molto vari. Ad esempio, un provvedimento richiede sanzioni su qualsiasi paese che non combatta la corruzione (!) o si dimostri ‘ostile agli interessi americani’". Un altro caso in esame colpirebbe "tutti i paesi che all’ONU non si schierano con gli USA almeno il 50% delle volte", il che basta a dar l’idea dei fondamenti democratici reali su cui poggia l’ONU.

Questa corsa al sanzionismo, diventata parossistica col "progressista" Clinton, dimostra sino a qual punto l’intollerabile rapacità dell’iper-imperialismo USA metta nel conto del "libero scambio" e della "libera concorrenza" la pistola puntata alla nuca dei propri partner sul mercato; ma dimostra anche come tale gangsterismo susciti sempre più, accanto agli inevitabili episodi di resa da parte di singoli stati deboli, un odio e una ribellione crescenti a scala planetaria. Vogliamo proprio vedere Russia, Cina ed India, magari domani, a genuflettersi ai diktat USA! Noi non ci contiamo affatto, e sarebbe bene che anche Washington ci facesse un pensierino più serio.

Di qui a non molto i sanzionatori saranno sanzionati e come si conviene. Dalla risposta internazionalista delle classi oppresse, fraterne nella loro comune lotta, come noi ci sforziamo di lavorare perché così avvenga, o da un blocco economico e militare di stati borghesi stanchi di sopportare il rullo compressore USA (quelli che Mussolini definiva come "stati proletari" rispetto alle centrali plutocratiche). Anche in questo secondo malaugurato caso, che non potrebbe affermarsi che attraverso un macello proletario internazionale e sarebbe foriero di macelli ulteriori, noi godremmo dell’affossamento degli USA in quanto eliminazione, non facilmente rimpiazzabile, della funzione di gendarme imperialista mondiale e, perciò, terreno più favorevole all’insorgere delle classi sfruttate di tutto il mondo.

I demo-resistenzialisti di casa nostra si misero, nel corso della 2ª guerra mondiale, a servizio degli USA e li salutarono, nel ’45, come "liberatori". Da allora essi non hanno fatto che continuare ed estendere la guerra (a freddo e a caldo) per i propri forzieri. Ciò che, in controtendenza, dicevano allora i pochi veri comunisti attivi è divenuta oggi una parola d’ordine sempre più attuale e pressante: dobbiamo liberarci dai "liberatori"!

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