[che fare 46]  [fine pagina] 

Dossier Sud

Contratto d’area e dintorni…

Già da qualche anno, al Sud in particolare, il padronato aveva iniziato la lenta e costante erosione dei contratti nazionali di lavoro.

Richiamandosi alle particolari "difficoltà" strutturali che il Meridione sconta dentro gli scenari della globalizzazione dei mercati, la Confindustria aveva chiesto da anni ai vari governi succedutisi e alle organizzazioni sindacali di concludere accordi e/o patti che servissero ad aggirare e poi demolire le già limitate regole normative e salariali che "disciplinano" il mercato del lavoro.

Sul finire del ’95, con i contratti di tessili e braccianti i vertici sindacali avevano già fatto pesanti concessioni al padronato, ponendo, di fatto, le premesse su cui poi si sono realizzati alcuni "esperimenti pilota" a Brindisi, Enna e Gioia Tauro. Da allora si è scatenata una tragica concorrenza al ribasso tra le diverse provincie, le quali, al carro di variegate forze e personaggi che animano il dibattito sul "federalismo in salsa meridionale", si autocandidano a ospitare investimenti offrendo una serie di vantaggi al padronato (infrastrutture, snellimenti burocratici, cambiamenti di destinazione d’uso dei suoli, contratti di sicurezza d’intesa con le prefetture, e chi più ne ha, più ne metta).

Ad inizio del marzo scorso, dopo circa un anno dalla delibera del Cipe che ufficializzava il nuovo istituto, sono stati firmati i primi contratti d’area a Crotone e Manfredonia.

La riduzione del costo del lavoro in questi contratti non avviene direttamente, ma estendendo la validità temporale dei contratti più vantaggiosi per gli imprenditori e l’utilizzo dello straordinario. Il patto per Crotone prevede che i contratti di formazione-lavoro possano durare 36 mesi, 12 in più della norma. A un del 20% del totale dei lavoratori si può poi applicare il contratto a "tempo determinato", "per consentire una migliore organizzazione del lavoro e per rispondere alle esigenze della produzione". Per l’orario di lavoro si prevedono condizioni iperflessibili distribuendo l’attività lavorativa su base annua e plurisettimanale anziché su base settimanale o giornaliera, aumentando il ricorso a un utilizzo discrezionale dello straordinario in misura enormemente maggiore rispetto ai tetti previsti per i singoli contratti. Inoltre, per i contratti di apprendistato, il salario può essere il 60% del minimo contrattuale.

A questi veri e propri regali offerti al padronato, il contratto d’area aggiunge una serie di servizi/servigi offerti da una authority ad hoc per semplificare e snellire procedure e modalità di insediamento.

Se a grandi linee sono queste le direttrici lungo le quali si concretizzeranno i contratti d’area di Crotone e Manfredonia (…non dimentichiamo che si tratterà, per entrambe le aree, di appena 650 assunzioni quando tutto sarà a pieno regime, a fronte delle decine di migliaia di posti di lavoro persi nei precedenti cicli di ristrutturazioni…), nell’area campana, e precisamente nella zona torrese-stabiese, il terzo contratto d’area prevede elementi ulteriormente peggiorativi.

Questi, in sintesi, i punti centrali dell’accordo: assunzioni a tempo determinato anche part-time, inquadramento due livelli sotto quello corrispondente alla mansione svolta, deroghe su più aspetti ai contratti nazionali, contratti d’inserimento, introduzione del telelavoro, distribuzione dell’orario su base annua, moratorie contrattuali per gli ampliamenti di stabilimenti già esistenti.

Come si evince è bastato il lasso di tempo di qualche settimana e già rispetto ai miserabili standard di Crotone e Manfredonia si è assistito ad un ulteriore arretramento… Immaginiamo cosa accadrà in quelle zone dove non esiste neanche quel minimo di pressione sociale che, nel corso degli ultimi tempi, si è manifestata anche con forme di lotta radicali, come nell’area torrese e stabiese!

Un dato che va registrato, a proposito dell’avvento concreto dei contratti/patti d’area, è il mutato atteggiamento della Cgil.

Questo sindacato, a differenza di Cisl e Uil che da subito avevano capitolato di fronte alle richieste padronali, aveva espresso un rifiuto delle "gabbie salariali", comunque mascherate. Con l’avvento del "governo amico" di Prodi e con l’affermarsi sul proscenio politico del "partito dei sindaci", la stessa Cgil è stata attraversata da una serie di spinte/derive che hanno ipotecato pesantemente la possibilità di delineare un movimento unitario e generale di difesa delle condizioni di vita e di lavoro contro l’attuale corso dell’offensiva borghese. Lo stesso Cofferati, che non brilla in materia di difesa dei lavoratori, non riesce più a contenere e "sistematizzare" le varie "linee di fuga" che provengono dalla base del suo sindacato.

Condizionata, in generale, più dalla linea di difesa delle compatibilità capitalistiche, impegnata a pieno titolo nell’opera di risanamento e rilancio dell’economia nazionalem al Sud e al Nord, la Cgil è percorsa ormai dalle pulsioni incontrollate e caotiche che vengono dai vari ridotti territoriali e che vanno ad alimentare la spirale del tutti contro tutti, . Questo pressing (a far vincere il nemico di classe) sta facendo implodere qualsiasi trincea entro cui attestarsi in una unitaria tenuta delle stesse precedenti posizioni.

Dai no poco convinti, ai ni sempre più si, fino agli esiti di questo ultimo periodo nel quale, nelle diverse zone del Sud, i dirigenti della Cgil si accapigliano vergognosamente tra loro nella scomposta corsa a tentare di accaparrarsi uno straccio di contratto d’area.

Allo stesso modo, appaiono francamente patetiche, se non apertamente "coccodrillesche", le grida di scandalo -davanti a un simile "spettacolo"- di certi esponenti del Prc o della cosiddetta "area dei comunisti della Cgil". Questi, dimenticando il sostegno del loro partito al governo Prodi, dimenticando il loro voto a favore del "pacchetto Treu" e la conseguente favola sui 100.000 posti di lavoro al Sud con elemosina a scadenza annuale, dimenticando le varie illusioni create all’epoca della "marcia per il lavoro" sulle miracolose virtù del "terzo settore" e del "cooperativismo alternativo", si agitano soli e sconsolati contro le stipule dei vari contratti d’area (sempre, però, in una dimensione "sindacalista", ovvero attenti alle "quote", agli "equilibri", alle "alleanze"…), contro l’avvento dei quali non hanno realmente mosso neanche un dito.

Alla luce di una situazione sociale oggettivamente difficile, nella quale anche tra i settori operai e proletari la logica della precarietà viene introiettata come il male minore, dove in molte zone la destra e molti aggregati populistici ed interclassisti sono alla testa del malcontento popolare, l’atteggiamento politico del Pre è totalmente consono allo sbracamento programmatico e politico di tale formazione.

Appellarsi alla magistratura del lavoro o ai "giuristi democratici" per impedire la realizzazione dei contratti/patti, come pietosamente propone Russo Spena, responsabile meridionale del Prc, è la registrazione fedele (su questo piano) di come questa esperienza politica sia ormai giunta al capolinea nel corpo della società, al di là della sua scomparsa formale. Del resto, ed è il caso della provincia di Napoli, non si può essere assessori alla programmazione economica, auspicare l’arrivo dei capitali nazionali e non, predisporre i vari team operativi per preparare le aree d’insediamento dei contratti/patti, sollecitare, magari anche nel corpo del partito, aspettative, e infine "opporsi" alle inevitabili conseguenze anti-proletarie di tutto ciò, "a babbo morto"!

Questo copione, anche mal recitato quando l’attore principale non è la star (sulla via del tramonto) Bertinotti, non può essere rappresentato all’infinito. Non è possibile ricordarsi una tantum delle esigenze proletarie senza che nella classe si accentuino quei processi di lacerazione, di fuga verso le varie insegne federaliste, territorialistiche o apertamente reazionarie…

Al Sud -e non solo- la politica riformista, da più di 20 anni senza più riforme, e i suoi variegati sottoprodotti (di cui fa parte il Prc), stanno facendo completa bancarotta. A quando una reazione proletaria che riprenda a salire la china, evitandosi, sulla base delle esperienze in via di consumazione, di approdare di nuovo alla vetta riformista?

[che fare 46]  [inizio pagina]