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Dossier Sud

Le lotte al Sud chiamano tutto il proletariato
a una mobilitazione unitaria

L’attenzione all’emergenza occupazionale nel Sud è stata rafforzata dal risalto dato dai media alle lotte sviluppatesi in alcune grandi città meridionali. La crescente disoccupazione, il restringersi degli ammortizzatori sociali e una povertà sempre più estesa sono il retroterra della esplosione di rabbia di migliaia di disoccupati e precari dell’area di Napoli e di Palermo. Momenti di lotta significativi ma ancora, purtroppo, separati e al fuori dal resto della classe, nella quale sembra prevalere una accettazione passiva del corso generale della politica borghese.

Il permanere dell’attacco occupazionale ai poli industriali ancora presenti sul territorio, l’arretramento progressivo del movimento operaio, la totale sottomissione del sindacato e dei partiti riformisti agli interessi della economia nazionale, contribuiscono ad accrescere tra i lavoratori un atteggiamento di rassegnazione di fronte a un attacco considerato inevitabile o, al più, a chiudersi in una difesa in chiave localistica. L’illusione è che sia possibile conservare i posti di lavoro, o addirittura accrescerli, concedendo ai padroni ulteriori arretramenti sulle proprie condizioni di lavoro in diretta concorrenza e contrapposizione con gli altri stabilimenti e ricercando alleati nelle istituzioni locali.

Nel n° 44 di questo giornale ricordavamo il caso dell’Ansaldo i cui lavoratori, pur in mobilitazione, di fronte alla ristrutturazione dello stabilimento di Napoli, riscoprivano una vocazione municipale della produzione (commesse del Comune di Napoli per lo stabilimento di Napoli) come mezzo di difesa dalla concorrenza degli stabilimenti del nord. Segnali non meno pericolosi sembrano leggersi, in nuce, tra i lavoratori della Fiat di Pomigliano di fronte al trasferimento di produzioni ad altri stabilimenti.

L’isolamento in cui si sono trovate alcune esperienze generose di lotta (Alenia di Napoli, Crotone, Fiat di Termoli) dimostra quanto sia andata avanti disgraziatamente la frantumazione della forza e dell’unità della classe operaia sotto i colpi di un padronato sempre più famelico (e sotto la guida di una direzione sindacale sempre più prona agli interessi del capitale).

Le misure del pacchetto Treu, con la giungla di condizioni materiali diversificate, stanno rafforzando questo processo. La logica delle "specificità locali", impulsata dalle istituzioni locali, ha aperto tra aree geografiche del Sud una tale concorrenza al ribasso delle condizioni salariali e di lavoro che persino Melfi, testa d’ariete del padronato per smantellare le rigidità operaie, finisce per sembrare un "isola di garanzie".

Per le istituzioni locali il rischio di rivolte sociali diventa l’elemento di sponda oggettiva per rafforzare le loro istanze federaliste e nel contempo per eliminare qualsiasi ostacolo alla flessibilizzatà e all’uso indiscriminato della forza lavoro. La richiesta di maggiore intervento statale nella propria area insieme alla gara ad accaparrarsi investimenti attraverso l’offerta ai padroni di condizioni più vantaggiose, vengono agitate tra i proletari e utilizzate per deviare la protesta e incanalarla nel più tranquillo calderone interclassista della rivendicazione locale. In mancanza di un punto di riferimento di classe, la promessa di Bassolino di portare in pochi anni il tasso di disoccupazione di Napoli al di sotto del 10% rischia di diventare l’ultima illusione cui aggrapparsi in un generale "speriamo che me la cavo". E, infatti, non ne sono immuni, pur con i distinguo che faremo, le realtà che hanno dato vita alle lotte di quest’ultimo periodo, in particolare a Palermo e Napoli.

Protagonisti delle mobilitazioni sono stati soprattutto i lavoratori impegnati nei Lavori socialmente utili (Lsu). Si tratta di lavoratori in mobilità o in cassa integrazione a zero ore che vengono utilizzati da parte degli enti pubblici in attività di pubblica utilità per un salario di 800.000 lire mensili. Sono 160.000 in tutta Italia, concentrati prevalentemente al Sud, circa 25.000 nella sola Campania. Benché peggiorato nel tempo, questo ammortizzatore sociale ha contribuito in questi anni a rendere meno traumatico l’impatto con la disoccupazione e/o il lavoro nero per migliaia di lavoratori espulsi dal processo produttivo. Con il decreto 469 emanato dal governo a dicembre dello scorso anno si sancisce la definitiva scomparsa e la collocazione sul mercato del lavoro di questo enorme serbatoio di forza lavoro cui attingeranno, in primis, le costituende società miste e le agenzie per il lavoro che andranno a gestire i servizi pubblici privatizzati. Va da sé che lo sfruttamento di questi lavoratori, sostanzialmente via appalto o in affitto, avverrà con le regole contrattuali vigenti nel mercato locale (un primo assaggio lo si è avuto già con il contratto dell’area Torre-Stabiese) e soprattutto passando attraverso la divisione e la contrapposizione tra questi lavoratori e tra essi e altri settori del proletariato. L’illusoria speranza della definitiva soluzione occupazionale, ben seminata dai fautori del decreto, sindacato e "sinistra" compresi, sta già nei fatti mettendo in moto una concorrenza per garantirsi l’assunzione nelle società miste, o per rientrare in quel 30% di posti riservati nelle piante organiche degli enti pubblici. Una concorrenza che non risparmia i lavoratori del pubblico impiego ai quali, anche con questo decreto, si porta l’ulteriore affondo in direzione di quella maggiore flessibilità e precarietà già avviata con la privatizzazione del contratto di lavoro e la riforma Bassanini.

A Palermo la "rivolta" di marzo è stata scatenata dal mancato rinnovo dei progetti di pubblica utilità (i 6.000 precari soci di 224 cooperative) e la fine dei finanziamenti per i 32.000 precari dell’articolo 23, da ben nove anni in attesa di uno sbocco occupazionale. La protesta ha ottenuto la firma del decreto, promesso da tempo, per la proroga di sei mesi dei fondi per l’articolo 23 e l’avvio a lavoro stabile di circa 10.000 di questi precari; altri 7.500 riceveranno "borse di formazione per l’auto-impiego" (40 milioni ciascuna) per avviare imprese. Per i lavoratori socialmente utili, in perfetto allineamento con il decreto, il consiglio comunale ha garantito la proroga solo per un altro mese e mezzo. Da qui la decisione, per questi precari, di indire il 24 aprile una manifestazione a Roma per rivendicare il riconoscimento delle loro cooperative nell’ambito dell’attuazione del decreto e l’ampliamento dei fondi e dei posti a riserva negli enti pubblici. Pur in presenza di mobilitazioni di altri settori del proletariato, come il caso della lotta in difesa del posto di lavoro ai Cantieri navali e alla Keller, manca totalmente il tentativo di un percorso di lotta e di obiettivi unitari prevalendo, al contrario, la difesa per sé contro tutti, credendo di ottenere per questa via risultati certi ed immediati.

Non diversa la causa che anche a Napoli ha moltiplicato le lotte di precari e disoccupati.

La scadenza a febbraio di numerosi progetti Lsu ha scatenato veri e propri assedi di massa a uffici pubblici e sedi istituzionali. La preoccupazione di una estensione e generalizzazione della lotta oltre i lavoratori Lsu ha costretto comune di Napoli, governo e parti sociali a prorogare fino alla fine del ’99 tutte le scadenze dei progetti socialmente utili della sola area napoletana. Una "boccata di ossigeno" per dare tempo al comune di attrezzarsi, sul piano della strumentazione politica e tecnica, alla dismissione dell’intervento statale e alla gestione nel senso di marcia (privatizzazione) previsto dal decreto; tanto più necessaria in considerazione non solo del numero di lavoratori interessati, ma soprattutto dei segnali di riorganizzazione dei disoccupati e la contemporanea scesa in campo di spezzoni di classe operaia in difesa del posto di lavoro (Ansaldo, Mecfond, Magnaghi).

Riproducendo un "copione" ormai acquisito dalle migliaia di lavoratori interessati (...alla scadenza periodica c’è sempre, in extremis, l’intervento dello stato...) si è puntato a sgombrare la piazza dal grosso dei Lsu. Obiettivo quanto mai facile dal momento che questi lavoratori non hanno mai raggiunto una autonoma e unitaria organizzazione di lotta, non solo per la oggettiva divisione e frantumazione sul territorio, quanto soprattutto per l’incessante opera del sindacato che, ben attento a tenere separate le varie "categorie" di Lsu e con una impostazione semi clientelare dei progetti, ne ha favorito la più totale passivizzazione.

A "tenere la piazza" sono stati i "corsisti organizzati" di Napoli e di Acerra, inseriti nel calderone degli lavori socialmente utili dopo un periodo di formazione, e il Coordinamento di lotta per il lavoro. Quest’ultimo, nonostante veda una presenza maggioritaria di disoccupati di tutta l’area napoletana, si muove in direzione dell’unità con tutti i settori proletari puntando alla costituzione di un unico movimento di lotta.

Altra presenza, ed è questa una novità di rilievo, è quella delle liste e dei comitati di disoccupati sponsorizzati dalla destra. In significativi quartieri popolari, suoi bacini elettorali, Alleanza Nazionale si è candidata a rappresentare il malessere sociale accogliendo demagogicamente le istanze di ampi settori proletari. Una delle liste più significative è l’Udn (Unione disoccupati napoletani) nata sotto l’ala protettrice dell’assessore Florino. Più che come una "lista di lotta", si propone come soggetto costituente di società miste e, quindi, imprenditoriale. Gli aderenti, più che disoccupati in lotta, sono "soci virtuali" (anche se non tanto virtuali, visto che pagano un’iscrizione e una quota mensile). La loro mobilitazione mira a vedersi riconosciuto il diritto, proprio in virtù di questo status, alla spartizione del lavoro che verrà. Ma anche per fare demagogia ci vogliono "le sfere"! L’impossibilità, da parte degli organizzatori, di poter incidere più di tanto su un processo che poco ha a che fare col clientelismo di Tizio o di Caio e molto, invece, con gli interessi del capitale e con regole di gestione sempre più rigide degli stessi fondi statali, e la conseguente mancanza dei risultati immediati promessi, ha scatenato in molte occasioni le ire dei proletari contro le sedi di Alleanza Nazionale. Parte di questi disoccupati ha, infine, ricercato l’unità con altri spezzoni di proletari organizzati, purtroppo, da non meno loschi figuri di "sinistra" e su rivendicazioni non meno particolaristiche.

Non sembra, insomma, che la destra (Fiamma rautiana compresa) possa, al momento, rappresentare le eventuali rivolte che vanno incubando. Meno che mai vi si candida Rifondazione che, al di là dell’attivazione parolaia di comitati e marce di lavoro fantasma o di mera parata, rimane, in quanto partito, fuori dalle esistenti organizzazioni di lotta.

Ciò non vuol dire, ovviamente, che se la situazione dovesse farsi incandescente, il movimento resterebbe senza interlocutori politici nuovi o riciclati. Per intanto ciò che l’avversario di classe vuole maggiormente impedire è che possa trovare l’unità e individuare il suo vero interlocutore: la classe operaia. Per cui mentre da una parte si agita la carota occupazione, fomentando la concorrenza per il suo accaparramento, dall’altra si usa il bastone della repressione e la criminalizzazione per intimidire e dividere. Il rischio che questa politica riesca a far fare ulteriori passi avanti al processo di divisione proletaria in atto è quanto mai reale. L’emergere di spinte particolaristiche e localistiche nelle stesse mobilitazioni di Napoli e Palermo, rendono evidenti i "campanelli di allarme" politici che da tempo lanciamo. Di fronte a questo scenario si tratta di riaffermare la necessità di indirizzare la giusta e inevitabile ribellione del proletariato del Sud in un movimento unitario di tutto il proletariato contro l’offensiva capitalistica.

Ma la disperazione del meridione potrà trovare questa giusta collocazione nella misura in cui la classe operaia del Sud e del Nord maturerà la consapevolezza di dover rompere con la logica delle compatibilità ritrovando l’unità necessaria per contrastare la politica complessiva della borghesia.

Nel nostro piccolo appoggiamo ed appoggeremo qualsiasi moto di insorgenza proletaria anche se dovesse presentarsi in forme "spurie" rispetto al passato ribadendo il nostro autonomo punto di vista rivoluzionario nella direzione di contrastare le crescenti derive leghiste, aziendaliste e populiste e di favorire il percorso verso il fronte unico di classe.

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