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USA

LA MARCIA DELLE DONNE AFROAMERICANE RINFORZA
IL PERCORSO DI RIPRESA DELLA LOTTA DI TUTTI I NERI

Indice

 

Le donne afro-americane non hanno marciato contro i loro compagni che le avevano escluse dal loro corteo del ’95. Esse si sono mobilitate innanzitutto per riconquistare la loro dignità e identità, di sesso e di razza. E’ questa la base su cui possono costruire con i maschi neri quell’unità di lotta necessaria ad affrontare il comune nemico, quel sistema sociale e produttivo che fonda la sua stabilità sociale e politica sullo sfruttamento e l’oppressione loro e di tutta la loro razza.

A due anni dalla Million Men March di Farrakhan che chiamò a raccolta i neri americani, a Filadelfia si sono mobilitate in massa, il 25 ottobre, le donne afro-americane.

Quasi tutta la stampa ha cercato di far passare la marcia di Filadelfia come la "risposta" delle donne di colore alla Million Men March del ’95, leggendovi una contrapposizione intrarazziale tra i sessi con quella manifestazione che anche la stampa più "illuminata" e di "sinistra", in prima fila il manifesto, appuntò come "razzista, antisemita e antifemminista", dando sfogo, con ciò, al proprio sciovinismo e al proprio terrore sul risveglio della lotta dei neri d’America. L’oscurantismo dei neri americani si evinceva -per questi pennivendoli dell’imperialismo- dalla loro fede islamica: cosi "poco illuminata, laica e tollerante" e dalla programmatica esclusione delle donne dalla loro marcia.

All’epoca fummo i soli a prevedere che l’iniziale riscatto -attraverso l’organizzazione e la militanza- degli uomini neri dalla loro condizione di disgregazione sociale e morale, sarebbe potuta diventare una potente leva per rimettere in moto l’intera comunità nera e in prima linea le donne, in quanto principali vittime della passività e del degrado dei ghetti. Non ci stupisce quindi che i maschi neri che avevano partecipato alla marcia del ’95 abbiano ora fatto "appello a tutti gli uomini neri di donare almeno un dollaro per sostenere la One Million Women March".

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Una risposta femminile a Farrakhan o continuità della lotta del movimento dei neri?

Da parte sua la marcia di Filadelfia non si è affatto contrapposta a quella di Farrakhan, nonostante le dichiarazioni di alcune sue promotrici, ma ha oggettivamente teso ad acquisirne e potenziarne gli obiettivi e il fronte di lotta.

E’ inevitabile che il risveglio delle donne nere avvenga attraverso la scelta di organizzarsi autonomamente. Il loro separatismo, come per i loro compagni maschi, rappresenta la condizione per riconquistare -nella mobilitazione e nella lotta- la loro identità in quanto soggette alla triplice oppressione come nere, come proletarie e come donne.
Un percorso, dunque, necessario alla presa di coscienza delle donne nere della loro specifica oppressione.

Dall’appello delle organizzatrici della One Million Women March ai loro compagni:

"Vi chiediamo di fare ogni cosa per rendere questo evento positivo e sicuro per le sorelle e per i loro bambini. Prendetevi cura dei vostri figli. Cucinate per loro e nutriteli, aiutateli a fare i compiti, leggete loro qualcosa e fateli divertire. Questo è il momento giusto per pulire l’appartamento. Per favore, rendete accogliente l’ambiente per quando le sorelle torneranno a casa. Cucinate per le sorelle che stanno per affrontare un lungo viaggio. Ricordatevi come vi sentivate dopo la One Million Men March. Le sorelle torneranno con un particolare stato d’animo. Siate pronti ad accoglierle. Noi abbiamo bisogno gli uni delle altre.Questo è il nostro tempo e ci dobbiamo sostenere".

Fino a quando il movimento proletario occidentale bianco non sarà in grado di esprimere la propria autonomia di classe e il proprio sostegno alla lotta antimperialista, le mobilitazioni separatiste dei neri sono una strada obbligata della ripresa della lotta di classe e al contempo un potenziale e oggettivo strumento per mettere in discussione quegli assetti imperialisti attraverso i quali si tengono separati e in lotta tra loro i vari comparti del movimento proletario statunitense e internazionale. Il contributo dei comunisti alla indispensabile ricostruzione soggettiva degli strumenti politico-teorici del movimento operaio non può prescindere, quindi, dal sostegno incondizionato a queste mobilitazioni indicando, allo stesso tempo, al proletariato bianco la strada della sua indipendenza di classe.

Il separatismo delle donne nere di Filadelfia, espresso nel rivendicare la discendenza africana, nella foggia dei vestiti, nell’acconciatura dei capelli, negli slogans e canti, entrava in perfetta sintonia con quello espresso dai loro compagni maschi. Un separatismo da e contro l’imperialismo, innanzitutto, un separatismo dal bianco in quanto oppressore del nero, dalla sua cultura, dai suoi valori. "Le donne nere hanno gli stessi problemi dei loro compagni (...) anche noi abbiamo bisogno di più unità e di più stima in noi stesse" ha dichiarato una delle organizzatrici della marcia.

Filadelfia ha rappresentato anche questo: uscite dall’isolamento e dalla solitudine dei ghetti, le donne nere si sono ritrovate, si sono contate e hanno ricominciato ad acquisire fiducia nelle proprie forze. Se si considerano gli scarsi mezzi e il modo "artigianale" con cui è stata organizzata la marcia (il "passa-parola" nei quartieri; il "tam-tam" nei ghetti; la propaganda verbale per le strade, tutt’al più supportata da quella virtuale su Internet) la manifestazione è riuscita al di là d’ogni aspettativa, denotando, soprattutto, una grande attivizzazione spontanea.

Anche questo è un segnale di come le contraddizioni sociali -incubate dal sistema capitalista- sempre più tendano a improvvise e spontanee esplosioni.

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Contro lo Stato spacciatore

La riattivizzazione delle donne afro-americane non può che partire dalla necessità più generale di ricostruzione sociale e morale della comunità nera. Una battaglia da affrontare in prima persona, da non delegare neanche ai "fratelli", ma semmai da sferrare insieme con questi.

"Ci siamo riunite per lanciare un chiaro messaggio al paese: difronte ai gravissimi problemi che affliggono le nostre comunità e che nessuno sembra voler risolvere, saremo noi donne afro-americane, con la nostra forza a cambiare la situazione" ha dichiarato Phile Chionesu, una delle organizzatrici. E uno degli slogan della manifestazione era "La soluzione deve partire da noi. Adesso è il momento, il tempo è adesso".

E’, poi, significativo che mentre il "femminismo" (bianco) di casa nostra, costruito con i mattoni della "cultura" e la calce della "scienza laica", invoca lo Stato a tutore della sua incolumità chiedendogli leggi sempre più repressive contro la violenza sessuale, le nere non solo abbiano intuito, con chiaro istinto di classe, chi arma la violenza matricida dei loro fratelli, ma lucidamente accusino le più importanti istituzioni dello Stato americano di diffondere con "metodo" la droga nei quartieri urbani neri, per sfibrarne il tessuto sociale e morale.

Tra i punti della piattaforma di Filadelfia vi è, infatti, l’appoggio alla proposta di Maxine Waters di incriminare la Cia "per aver cospirato con i trafficanti di droga, introducendo crak e cocaina nei ghetti". Se occorre reagire all’abbrutimento e all’abbandono delle comunità, bisogna anche individuare chi è il responsabile di questo degrado, chi lo alimenta, contro chi va indirizzata la lotta. E lo Stato americano non ha mai lesinato mezzi per dividere e disgregare le organizzazioni militanti nere (v. riquadro).

La scarsa attitudine "legalitaria" e "garantista" delle donne nere di Filadelfia è stata attestata anche dalle oratrici presenti: indicativa e quanto mai "simbolica" la diserzione di Coretta King, la vedova di Martin Luther King, e applauditissimo l’intervento di Winnie Mandela, il cui radicalismo è assai popolare tra i diseredati del ghetto di Soweto e molto meno nel nuovo corso dell’Anc sudafricano.

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Potere alle donne nere: un necessario rifiuto della società borghese bianca.

"Dare potere alle donne di discendenza africana per il prossimo millennio" era questo lo slogan centrale della marcia. La rivendicazione della discendenza africana ha, come l’Islam per i maschi neri, la funzione di riconquistare una propria identità di razza e di nazione, e nasce dalla presa di coscienza di essere sfruttati proprio in quanto neri, appartenenti alla razza nera. Costituisce, perciò, il primo gradino su cui fondare la lotta per la propria emancipazione.

Quanto al potere le donne nere ne esercitano in un ambito, quello familiare, sottoposto a una crisi perenne. Per i neri americani la famiglia è una istituzione conosciuta solo nelle parole e nell’esempio dei bianchi, ma di cui hanno esperienza diretta ridotta e problematica. Nei tempi della schiavitù ne sentivano parlare come un obbligo sociale, morale, religioso, ma i rapporti sociali di sfruttamento gli vietavano di realizzarla. Il ruolo del maschio era quello di lavorare, tuttalpiù -se appariva idoneo a procreare una prole robusta- veniva usato per fecondare una donna ugualmente "idonea". I figli non appartenevano né a lui né alla donna, che, oltre ad allattarli, poteva curarli ben poco essendo impiegata, come i maschi, nell’intenso lavoro dei campi o al servizio dei padroni. Quanto al sesso, ai maschi era quasi impedito, e le donne erano usate per soddisfare i pruriti dei padroni.

Affrancati dalla schiavitù i neri non sono riusciti mai a costituire famiglie molto stabili. I maschi non avevano alcuna abitudine alla responsabilità familiare, e l’abbandono del tetto coniugale è sempre stato molto elevato tra di loro anche perchè opportunamente coltivato dalle politiche di sostegno sociale alle famiglie con la sola madre (per cui i neri, in maggioranza disoccupati o con lavori scarsamente retribuiti, preferivano lasciare le famiglie per fargli ricevere i sussidi, generalmente superiori ai loro salari). La donna nera si è trovata, dunque, a gestire la propria famiglia, per lo più numerosa, con l’ingombrante "sostegno" degli assistenti sociali, tra i quali era, peraltro, diffuso il razzismo.

Le donne nere hanno fatto sforzi immani per sostenere le proprie famiglie, tra difficoltà economiche, prole numerosa, assenza dei maschi, intrusioni dello Stato che le facevano sentire, oltre che povere, incapaci "per razza" di educare i figli. Queste difficoltà si sono moltiplicate con l’affermarsi dei ghetti e con l’ulteriore degredazione economica e sociale che questi hanno portato con sé.

Allo stesso tempo tra le nere è stato sempre molto diffuso il lavoro domestico presso le famiglie dei bianchi, sia come lavoratrici che come mammy.

Esse possono, dunque, in pieno diritto sostenere di essere state, finora, il tassello più sfruttato della società, ma anche quello più importante: senza di loro non sarebbe esistita la famiglia nera, la famiglia della razza più infima della società americana, quella più bistrattata e malpagata, la cui esistenza ha consentito a tutte le altre razze e a tutte le altri classi di migliorare le loro condizioni di partenza. Ma possono, con uguale diritto, sostenere che anche la famiglia dei bianchi è esistita grazie a loro. E la famiglia è l’istituzione-base di questa società, il suo nucleo sociale fondamentale.

Tutta l’impalcatura sociale della società americana si regge sulle spalle delle donne afro-americane, e la struttura economica mette a frutto, in definitiva, il loro triplice sfruttamento.

Con la manifestazione di Filadelfia le donne nere hanno dimostrato di aver acquisito a livello di massa la coscienza del loro ruolo, la coscienza del loro sfruttamento, la coscienza del loro potenziale "potere". Un potere che può avere per loro senso a condizione che si metta al servizio della loro lotta per emancipare sé stesse in quanto donne e nere, assieme a tutti i neri americani in uno scontro senza mediazioni con il potere che le domina e le sfrutta in quanto razza.

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Contro cosa si sono mobilitate le donne nere

Le donne afro-americane hanno subito gli effetti più devastanti del neo-liberismo e della riforma del welfare americano. Nei primi anni ’80 la percentuale dei neri disoccupati era del 25% e del 50% tra i giovani e le donne nere, oggi è arrivata a punte dell’80 e 90%.

Le donne di colore rappresentano la stragrande maggioranza delle capo-famiglia monoreddito (e Clinton ha falcidiato i programmi di assistenza per le famiglie e le ragazze madri) e hanno le occupazioni più precarie e sottopagate; le loro famiglie sono le più povere tra le povere. Oggi, negli Usa, 2 bambini su 8 soffrono la fame, e 1 su 4 nasce povero, il livello più alto dei paesi industrializzati. Dal 1970 al 1990, il tasso di povertà infantile tra i bambini neri è aumentato del 44,8%. E la fame uccide. L’America nera ha un tasso di mortalità infantile più alto della Nigeria.

Ma le donne nere sono anche le prime vittime della violenza, del degrado e della disperazione dei ghetti. Soprattutto le più povere, hanno il 40% di probabilità in più, rispetto alle donne bianche, d’essere violentate, aggredite, rapinate o uccise. I bambini neri, fra 1 e 4 anni, hanno tassi di mortalità per omicidio 4 volte più alti di quelli dei bambini bianchi, gli arresti dei bambini neri per i più gravi reati di violenza sono (secondo il Children’s Defense Fund) 7 volte più numerosi degli arresti dei bambini bianchi. E drammatica è anche la violenza domestica "Behind the wall" (dietro il muro), come la definì una bella canzone della cantante Tracy Chapman: ogni giorno decine e decine di donne nere subiscono maltrattamenti e soprusi tra le mura domestiche.

Esse stesse, inoltre, non sono immuni dal degrado sociale delle loro comunità. Un numero crescente di giovani donne afro-americane resta prigioniero della droga e del crimine. Il tasso di carcerazione delle donne nere è cresciuto tra il 1960 ed il 1974 quattro volte di più di quello dei maschi.

Impedire che i neri si organizzino

Che l’accusa lanciata contro la Cia dalle donne afro-americane di Filadelfia non sia "La vecchia teoria del complotto bianco sul genocidio dei neri" come in modo sprezzante l’ha liquidata l’Unità del 26 ottobre ma -con buona pace dei veltroniani- una consolidata prassi dello Stato americano lo si evince dagli infiniti episodi che hanno coinvolto i servizi segreti , la polizia e la magistratura americana dalla fine degli anni ’50 in poi (per non risalire oltre).

Il quotidiano del Pds non ha mai sentito parlare, forse, delle "Cointelpro Papers" (Counter Intelligence Program), un programma "clandestino" di vero e proprio annientamento fisico, politico e militare che fu messo a punto dall’Fbi tra il 1956 ed il 1971. Doveva essere diretto innanzitutto contro il Black Panter Party (pericoloso soprattutto per la sua capacità di coinvolgere i giovani afro-americani dei ghetti) e la League of Revolutionary Workers (rea di organizzare gli operai neri delle fabbriche d’auto) ma anche contro il Partito Comunista, il Social Workers Party, gli Indipendentisti del Portorico, le organizzazioni radicali messico-americane, l’American Indian Movement. Un vero e proprio "prontuario" di tecniche terroristiche di Stato che prevedeva: provocatori infiltrati nelle diverse organizzazioni (ne furono assoldati 7000 nel 1971); istigazioni ad attentati e rapine; guidate "delazioni"; documenti falsi e assassinii a sangue freddo. Ma anche, ad esempio, contaminazione tossica dei cibi, che fu sperimentata contro l’iniziativa delle Pantere Nere di distribuire gratuitamente la colazione ai bambini neri dei ghetti.

Né ci meraviglia che il quotidiano progressista non abbia mai sentito parlare di J. Edgar Hoover, direttore dell’Fbi, che centralizzò i programmi "antiguerriglia" della Cia, della National Security Agency e dell’Internal Revenue Service o che non ricordi la funzione della Law Enforcement Assistance Administration (Leaa) che creò, in ogni città degli Stati Uniti, unità speciali "antiterrorismo" chiamate "racial squads" (squadre razziali).

E non abbiamo intenzione (un’inutile velleità, considerando ormai il social-imperialismo del Pds) di rinfrescare la memoria ai suoi redattori, ancora in lutto per la morte dei Kennedy, se ricordiamo i delitti su commissione della Cia dei militanti e leaders neri: Malcom X, Martin Luther King, Fred Hampton e Mark Clark, ma soprattutto queste direttive (tratte dal Pentagon Papers) di "vecchie storie del complotto bianco" dell’Fbi: 1.Impedire la coalizione di gruppi militanti nazionalisti neri. Nell’unità c’è la forza. 2.Impedire il sorgere di leaders. 3.Impedire la violenza da parte dei gruppi nazionalisti neri. 4.Impedire che questi gruppi acquistino rispettabilità nelle loro comunità, essi devono essere screditati anche agli occhi della comunità bianca. 5.Impedire la crescita nel lungo periodo delle organizzazioni nazionaliste nere, soprattutto tra i giovani. Occorre sviluppare teniche specifiche (la droga, appunto).

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