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Situazione politica italiana

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SIAMO GIA’ IN JUGOSLAVIA! A QUANDO LE INDISPENSABILI CONTRO-MISURE?

Indice

L’accordo destra-sinistra non ha reale fondamento sociale.
Solo la Lega ha una strategia di lotta.
Un vero partito onnilaterale...
... da combattere veramente su tutti i piani.
Sulle macerie del sistema-Italia aleggia lo spettro della disgregazione. Al nord la Lega prepara la secessione. Il sud rischia un completo sgretolamento.
L’oggetto vero di questo processo è il proletariato, la sua forza, unità e organizzazione, che lo stato unitario non riesce a ridimensionare nei tempi imposti dalle leggi della concorrenza in epoca di crisi.
Il capitalismo "padano" punta non solo a dividere la classe operaia tra nord e sud, ma a scatenare la lotta aperta tra le due sezioni. Lo fa richiamando quegli interessi operai sempre più dimenticati da sinistra e sindacati, per raccoglierli nella prospettiva dell’unità interclassista dei "padani". Lo fa denunciando il parassitismo dello stato, che è vero e reale, prospettando uno "stato padano" più "leggero". Sarà, invece, come e più di quello attuale, appesantito dalle necessità dei profitti e delle imprese, centralizzato alle esigenze dei capitali nazional-padani e internazionali.
Per la classe operaia è una soluzione totalmente da respingere. Non mettendosi al servizio delle strutture borghesi, battendosi per conservare lo stato unitario, perché questo vorrebbe dire sottomettersi ancor più alle esigenze di questo stato, che per sopravvivere e rilanciarsi ha bisogno di spremerla ulteriormente.
E’ quanto vorrebbe un D’Alema. Ma è ciò cui aspira anche un Bertinotti, che oppone alla globalizzazione una prospettiva, utopica e pericolosissima per il proletariato, di chiusura nazional-capitalista, con la conseguente caduta nello sciovinismo più aperto, come la vicenda della rivolta albanese dimostra.
Alla disgregazione che rischia di tracimare da tutti i pori, il proletariato deve rispondere con l’unità di classe nel resistere all’aggressione che gli proviene da stati unitari, federati o secessionisti, ciascuno al servizio delle leggi del capitale.
Unità tra nord e sud, unità al di là delle frontiere nazionali, sulla base dei propri autonomi interessi di classe. La "globalizzazione" va unificando le condizioni materiali del proletariato di tutto il mondo. Una risposta soggettiva, di lotta unitaria, è meno problematica di tempi addietro, e molto più urgente anche solo per stabilire un vero argine di difesa contro il capitale.
Per far questo bisogna abbandonare il vecchio attrezzaggio politico, del Pds, di Rifondazione per non dire dei sindacati, che porta alla sottomissione agli interessi del capitale nazionale.
Raccogliere le istanze che provengono dai paesi più lontani, come la Corea, a quelli più vicini, come la Germania, le istanze che provengono da operai di altri paesi come quelle che provengono delle masse oppresse d’Asia, Africa e America Latina, e a tutte unificarsi in una lotta per resistere all’attacco del capitale, fino a poterne finalmente abbattere l’intero sistema.

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Per accedere al club dell’euro l’Italia dovrebbe rispettare tempi e parametri di Maastricht, ma, soprattutto, raggiungere una stabilità finanziaria di lungo periodo, abbattendo le ragioni strutturali del debito pubblico (senza toccare i profitti, of course), varando un sistema politico al riparo dalla conflittualità sociale, disciplinando il proletariato alle esigenze di flessibilità di salario e occupazione care ai mercati, accelerando le privatizzazioni, anche al rischio di cedere a stranieri i settori "strategici" dell’economia nazionale. Un combinato di misure da realizzare in tempi strettissimi.

La "cura" è più urgente che per altri, perchè il declino dell’Italia da media potenza imperialista è già iniziato. Espulsa dai settori strategici, è in difficoltà in tutti gli altri. Anche il "successo" delle esportazioni, favorito dalle differenze di cambio, già vacilla per la rigidità di cambio causata dal rientro della lira nello Sme, uno dei parametri di Maastricht.

Agganciare l’Europa è, per l’Italia, davvero l’ultimo treno per tenere il contatto col gruppo di testa dei paesi imperialisti. Il biglietto per saltarvi su è una cura dimagrante d’ogni "garanzia" -in termini economici, sociali, sindacali e politici- strappata dal proletariato in decenni di lotta. Più il tempo passa, più il prezzo si fa salato. Quel che si prepara, nel caso non vi riesca, è la precipitazione catastrofica nella crisi economica, sociale e politica, che farebbe esplodere la sua stessa unità statuale.

Berlusconi provò con un attacco frontale. Si sa come finì. Gli difettarono forze e compattezza. Il testimone è passato al governo dell’Ulivo, appoggiato da Rifondazione.

Prodi giura determinazione a raggiungere per tempo i paramentri di Maastricht, e, dal giorno della nomina, è impegnato in una "manovra continua": piccoli tagli alla spesa statale, un certo incremento delle entrate, una buona dose di effetto-annuncio. Misere cose che non convincono né i mercati né i partners.

E’ impossibile che l’Italia acceda in Europa con la politica dei "piccoli passi" del governo Prodi. Questo governo, come ogni altro governo borghese, si adegua ai compiti dettati dalle leggi del capitalismo, ma cerca di farlo nelle forme più indolori per la classe operaia, nel mentre ne blocca qualsiasi azione di resistenza reale all’aggressione del capitale (tanto ci pensa il "governo amico"!). Per la borghesia si tratta di una politica utile per sfibrare il proletariato, ma che, attardandosi nella continua ricerca di compromessi, le fa perdere tempo e slancio per rispettare le vere scadenze che ha dinanzi.

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L’accordo destra-sinistra non ha reale fondamento sociale.

Per dare un’accelerazione viene avanti, ora, un tentativo di accordo sinistra-destra. Berlusconi offre un "patto per l’Europa" nel tentativo di sconvolgere gli equilibri dell’Ulivo e dello stesso Polo e ridisegnare un nuovo "centro". L’obiettivo è di emarginare Prc e sindacati, dialogare direttamente con D’Alema per fottere definitivamente il proletariato (e, in prospettiva, lo stesso Pds). D’Alema è interessato, cercando, a sua volta, di collocarsi al "centro del centro", per promuovere le riforme istituzionali, economiche e sociali, nella speranza che la coalizione di forze riesca a imporle senza gravi conflitti col proletariato.

Ma la manovra è inconsistente. Innanzitutto più che forze, quelle messe in campo sono delle debolezze. Sia nell’Ulivo che nel Polo vanno aumentando i partitini, sempre più confliggenti tra loro, e secondo linee di divisione non soltanto politiche, ma ormai anche territoriali. Gli stessi partiti maggiori -Pds e Fi- non hanno omogeneità interna e sono percorsi da spinte federaliste. Inoltre, è altamente improbabile che D’Alema riesca a fare dell’intero Pds un partito che svolga in proprio una politica apertamente anti-operaia.

Secondariamente, la manovra è disegnata a tavolino, non ha alcuna considerazione per il tessuto economico-sociale e per gli antagonismi che vanno crescendo.

Il Polo aveva avuto la possibilità di far saltare il governo con la piazza, ma vi ha rinunciato, non perchè mancassero le ragioni della protesta e chi protestava, ma per il terrore (Fini compreso) che il crescere dell’antagonismo potesse sospingerlo fuori dai canoni "democratici". E mentre traccia progetti sul tavolo da disegno, ha sbaraccato del tutto la sua presenza dalla protesta degli allevatori, dei piccoli imprenditori, dei commercianti, ecc.

Entrambi gli schieramenti, di destra e sinistra, si illudono di poter beneficiare a lungo di una situazione di sostanziale immobilismo, e di poterla governare semplicemente col manovrismo elettorale-governativo facendo perno sul "centro", verso cui tutti, non a caso, convergono.

L’illusione è di rieditare una politica democristiana di "pace sociale", con la variante che scontenti gli uni e gli altri, ma con democristiana flemma ed equità. Ma le condizioni per una tale politica non esistono più, né all’"esterno", né all’interno: Dall’"esterno" le urgenze della crisi non concedono proroghe e incombono sotto forma di Maastricht, di Fmi, di intervento straniero, esplicito o camuffato, ai danni di finanza, politica, valuta e aziende italiane. Ma anche all’interno le condizioni di "patto sociale" covano drammatiche rotture, che in parte si sono già realizzate (l’evasore fiscale, per esempio, non sente più sensi di colpa e rivendica, ormai, l’evasione come un diritto di resistenza allo stato oppressore). Si tratta di rotture che scuotono la struttura stessa della società, e non solo quella politica; la manifestazione politica è semmai venuta dopo, anche per quanto riguarda la Lega.

L’illusione di poter rieditare un nuovo "compromesso sociale" è anche di Bertinotti e Cofferati, i cui "no" sono finalizzati a tenere un po’ più alto il livello dei cedimenti dei lavoratori, stando ben attenti a che il "compromesso sociale" non salti.

Nella borghesia e nel proletariato "di sinistra" non vi è alcuna percezione delle rotture già avvenute e di quelle in arrivo. Di conseguenza, nessuna delle classi si dispone a difesa unica ed esplicita dei suoi propri interessi, lanciando a viso aperto la lotta all’altra. E’ il risultato di decenni di soporifera "concertazione" con indici economici svettanti verso l’alto e relativa pace sociale, che ha svirilizzato tanto gli uni che gli altri contendenti.

Così, mentre si vara una bicamerale da burla, il terreno sociale si va surriscaldando nell’assenza di sinistra e destra "costituzionali". Ma il vuoto che rimane non può che essere riempito da qualcun altro.

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Solo la Lega ha una strategia di lotta.

Mentre gli altri partiti traccheggiano nelle vecchie abitudini "consociativiste", la Lega si dispone a raccogliere le spinte antagoniste che maturano al nord indirizzandole verso la sua soluzione di rottura dello stato unitario. Per farlo non ha bisogno di imporre forzature al movimento spontaneo. La lotta degli allevatori, per esempio, si è "leghizzata" in modo del tutto spontaneo nell’individuare l’avversario nello stato centralista, nelle sue inefficienze, nelle sue politiche di "aiuto" alle zone arretrate, con ciò che ne consegue quanto a corruzione, tangenti, mafia, che finisce tutto col gravare sul "lavoro produttivo" dei piccoli/medi imprenditori e degli operai. L’esatto quadro della Lega: l’alleanza interclassista del "lavoro" contro lo stato iper-centralizzato e succhione e contro il "grande capitale".

Ma lo dimostra anche un movimento come la Life -formalmente non della Lega- che promuove la delocalizzazione in Carinzia delle aziende vessate dal fisco e dall’inefficienza amministrativa italiana.

Ora, tutti gli strateghi della battaglia a tavolino, nel momento in cui gli animi s’incendiano, non sanno far ricorso che alle misure di ordine pubblico, illusi che per questa via si possano risolvere gli intoppi. Ma questo si tramuta in un ulteriore boomerang. Più lo stato risponde con la forza, più la reazione contro di esso si radicalizza. La Lega, per esempio, ha trasformato in fattori di ulteriore coscienza e organizzazione l’intervento repressivo contro gli allevatori. Come aveva, d’altronde, già fatto nel caso del commerciante suicidatosi con l’acido solforico per protestare contro l’irruzione della Guardia di Finanza (18 agenti, a quanto pare, armati di mitra per prendere possesso di libri contabili!). "Interventi simili l’ho visti solo quando i tedeschi venivano a cercare i partigiani" ha detto il suicida. Come a dire: lo stato centralista italiano è fascista, la nostra lotta per la secessione è antifascista. Bossi apparì "eccentrico" quando s’affermò antifascista, ora si arriva a dimostrare che la stessa sinistra attuale è fascista!

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Un vero partito onnilaterale...

Il congresso della Lega è stato commentato o con la solita sufficienza (stupefacente quella ironica di Liberazione) o come una sorta di "passo indietro" di Bossi sui tempi e i modi della secessione. In realtà la Lega non ha fatto alcun "passo indietro", anzi ha fatto molti passi avanti. Sapendo di non poter realizzare "a freddo" la secessione, essa attende il sicuro fallimento del "rilancio" dell’Italia intera. Non a braccia conserte, ma lavorando a preparare le sue forze, sul piano politico e organizzativo.

Per presentarsi con le carte in regola all’appuntamento necessita un partito che raccolga un’avanguardia assolutamente determinata, organizzata e pronta a ogni modalità di lotta. Un partito che abbia una centralizzazione reale, di ferro, al suo programma, che faccia leva su sentimenti e idee di battaglia e non stia alla coda del movimento spontaneo. Grazie a ciò è possibile dar luogo a una democrazia da agorà, col voto demandato alla piazza dei militanti, in perfetto controsenso con la democrazia delegata ai vertici e la "democrazia in generale": qui è un esercito, affasciato dal programma e nella lotta, che vota, e un esercito chiamato a mettere in riga i generali!

E così la base ha rifiutato ogni pastetta elettorale: si corre da soli, non importa il numero degli scaldasedie, importa avere degli "osservatori" nel parlamento nemico. Se Lenin si augurava il "parlamentarismo rivoluzionario", eccolo qua (per una causa... controrivoluzionaria).

Le condizioni "pre-rivoluzionarie" -ha detto Bossi- si vanno consolidando; per prepararsi a sfruttarle, la Lega deve mobilitarsi in una campagna di "evangelizzazione" dei "popoli del nord", per educarli sulla necessità di separarsi da Roma, per agganciare il treno europeo e non farsi trascinare nel terzo mondo dall’esplodere del sistema-Italia, e chiama il "popolo padano" a esprimersi nel referendum autogestito per l’autodeterminazione del 25 maggio.

Per educare il partito, e tramite esso il "popolo", la Lega si è dotata anche di un giornale, rigidamente e solidamente di partito (v. riquadro). Né l’educazione è fatto culturaloide. Al contrario, è innanzitutto educazione alla lotta. In tal senso l’esperienza fatta a fianco degli allevatori ha dato alla Lega più frutti di tante parole, sotto tutti i punti di vista.

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... da combattere veramente su tutti i piani.

La Lega è, dunque, l’unica forza che gioca in prospettiva, con programmi e organizzazione adeguati. Essa conferma una volta di più la necessità del partito, accentuata nei trapassi cruciali.

Ma un partito vero, un partito "rivoluzionario" deve essere onnilaterale, investire tutti gli aspetti della società, agendo in profondità sulle sovrastrutture. La Lega non si sottrae a tal compito e si impegna, per esempio, per lo sport padano, avendo ben compreso quale profondo senso di appartenza lo sport garantisca, e lancia, anche, una campagna contro il doping, estesosi per l’invadenza dell’affarismo del grande capitale e della complicità con lui dello stato centralizzato. Né si sottrae dal criticare i "fenomeni culturali" d’intrattenimento come San Remo, contro il quale leva una denuncia di "colonialismo canoro" ai danni dei valori autoctoni. Ancora più importante è l’aspetto della critica leghista al cattolicesimo-istituzione. I leghisti, se pure continuano ad andare a messa, ce l’hanno a morte col Vaticano, i suoi guibilei, e la congrega borghese (a cominciare dalla sinistra, vedi Bertinotti) che gli tiene bordone.

Rimarchiamo tutto ciò affinchè i comunisti e i militanti di classe prendano finalmente coscienza del nemico in prospettiva più pericoloso che si para innanzi al proletariato, e si affrettino a ricorrere alle contromisure per contrastarlo, la prima delle quali è proprio quella di dare vita a un autentico partito, centralizzato al programma comunista, che sia anch’esso onnilaterale nella sua battaglia per guidare il proletariato a rivoluzionare l’intera società.

La Lega non ha, naturalmente, nulla di rivoluzionario. Il suo programma è difendere il sistema capitalistico e le sue leggi. La sua aspirazione è distruggere l’unità e l’autonomia del proletariato, sottomettendolo alle necessità del micro-stato padano. Il vero bersaglio della sua politica è, dunque, l’unica classe che può realmente rivoluzionare l’intera società. Perciò la Lega è partito essenzialmente contro-rivoluzionario. Ma per realizzare il suo progetto (nell’interesse dell’intero capitalismo, sconvolto dall’esplodere delle sue contraddizioni) deve darsi un carattere "rivoluzionario", non fosse altro perchè deve infrangere la struttura dello stato unitario nazionale. Per questo essa assume alcune sembianze del partito rivoluzionario (a suo modo e per il suo programma), traendole dai caratteri e dalla storia dei veri partiti comunisti.

Quanto al cosiddetto "passo indietro" tattico, consiste in ciò, che Bossi ha proposto all’Italia di introdurre nella costituzione un referendum per l’autodeterminazione. Quando i tempi saranno maturi potrebbe rivelarsi utile per una secessione morbida, senza violenze, che rimane, naturalmente, nelle speranze della Lega. La risposta dura di Violante e Prodi ha reso evidente come le strade della secessione vadano restringendosi a una sola: i rapporti di forza e le pallottole. Evenienza cui la Lega va di sicuro preparandosi.

E’ necessario che inizi a prepararvisi adeguatamente anche il proletariato, non per lottare la Lega difendendo lo stato unitario, ma per lottare contro tutto il capitalismo, di cui la Lega è nient’altro che uno strumento di difesa e di affermazione.

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