A conclusione di una veloce parabola discendente, il PRC si avvia a sanzionare con il terzo congresso un approdo sottoriformista del tutto interno allorizzonte politico della contestata "svolta" della Bolognina. La maggioranza punta tutte le sue fiches sul governo Prodi e azzera ogni residua aspettativa della base di vedere delineata e discussa una reale prospettiva politica per la classe operaia. La minoranza denuncia i rischi di questa politica, ma si limita a rivendicare per sé il riconoscimento di una nicchia protetta allinterno di un partito, di cui tutto, o quasi, si contesta. Ai veri comunisti il compito di criticare fino in fondo la vergognosa complessiva debacle della "sinistra", per fondare una autentica soluzione di classe alla crisi del capitale. |
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PDS e PRC : due partiti, ma una sola politica.
Dalle rispettive tribune congressuali, il Partito Democratico della Sinistra e il Partito della Rifondazione Comunista puntano a ribadire e rafforzare una direzione di marcia in buona sostanza univoca: quella che li ha portati a "fermare la destra" alleandosi (più o meno formalmente) con una delle sue teste, quella diniana. Sulla base della posizione conquistata nella stanza dei bottoni, il PDS si avvia a farsi carico fino in fondo delle responsabilità di governo dell'Azienda-Italia, con tutto quel che ne consegue in termini di ulteriore dispersione della presenza e delle istanze proletarie agenti nella sua struttura partitica.
Il PRC, da parte sua, ha aperto la sua discussione congressuale all'insegna dell'"anti-settarismo". Verso cosa? Verso la deriva a destra del PDS e di tutto l'Ulivo, di cui Rifondazione si riduce a "occupare" "da sinistra" le trincee lasciate cadere da essi (come sta accadendo per ultimo con la parola dordine dell"Italia che deve andare in Europa",con tanto di relativa tassa). Al riguardo coglie nel segno DAlema quando afferma che esistono due partiti di "sinistra", ma una sola politica. Infatti la politica del PRC altro non è che vuota e pericolosa demagogia intorno alla politica del PDS.
Ma se D'Alema ha ragione, allora oggi è più che mai decisivo portare fino in fondo la critica contro la politica bancarottiera dell'intera "sinistra" e dare risposte chiare che siano in grado di intercettare lo scontento e il rancore delle masse sfruttate contro questa politica e di prospettare a esse un'autentica soluzione di classe.
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La maggioranza: il riformismo è morto. Viva il sotto-riformismo!
Risparmieremo al nostro lettore unanalisi dettagliata dei contorsionismi verbali di cui si sostanzia il documento Bertinotti-Cossutta per il 3° congresso del PRC. Ci limitiamo a richiamare alcuni punti, sufficienti a delineare il quadro di riferimento assunto dalla maggioranza del partito.
"Vinta la battaglia per lesistenza" e con una linea politica da confermare ad occhi chiusi, sembra quasi che questa volta il PRC voglia tener fede allimpegno di entrare nel merito della "rifondazione" del comunismo. Ma gli slogans dimmagine, del tipo "passare dalla resistenza al progetto" o "risolvere, per la prima volta (?!), la contraddizione tra rivendicazione immediata e prospettiva", si rivelano ben presto scatole vuote: la contraddizione, infatti, è "risolta" semplicemente buttando a mare qualsiasi barlume di una prospettiva di classe ed esaltando il dato di un immediatismo senza principi, totalmente ancorato al terreno istituzionale e alla vicenda del governo Prodi. Nel sostanziare il dato della "conquista di risultati qui ed ora" il ragionamento si arrampica sugli specchi, nel tentativo di fissare i limiti di due politiche, quella della sinistra moderata e liberale e quella della sinistra "antagonista e di classe", che, in realtà, sono una cosa sola.
La contraddittorietà della posizione del PRC è patente. Da un lato, si dice che "la modernizzazione del capitalismo" ha "spazzato via il riformismo", decretandone la "crisi strutturale"; dallaltro, si rivendica a proprio merito il potere di "influenzare lesperienza del governo Prodi" e di conquistare in questo modo "lavvio di un nuovo corso riformatore della politica di governo" (?!). La "crisi di tutti i fattori progressivi del vecchio compromesso sociale e politico" ha decretato la fine del riformismo "propositore di riforme generali"? Niente paura: resta perfettamente in piedi il riformismo "dellobbiettivo parziale", il riformismo "difensivo", quello "che non propone riforme generali...ma produce una rottura di un equilibrio altrimenti imposto" e trova spazio "solo se correlato alla conquista di un nuovo modello sociale". Della serie: "Il riformismo è morto. Viva il sottoriformismo!"
Allo stesso modo viene affrontata la questione sindacale. Si punta il dito contro il sindacalismo confederale, collaterale e subalterno alla politica della sinistra moderata. Ci si richiama alla necessità di "rompere questa gabbia", di restituire "la sovranità" ai lavoratori e riaffermare "lantagonismo delle realtà più combattive" (mai, s'intende, dell'intiera classe!). Ma, nondimeno, a conclusione del giro, la sostanza del ragionamento è tutta interna allorizzonte verbosamente contestato in premessa. Rottura con il sindacalismo subalterno alla politica del PDS? Bene. Ma per fare cosa? Per "sostanziare il nuovo corso riformatore della politica di governo"; per rivendicare in modo convinto tra i lavoratori i "positivi risultati della finanziaria"; per concertare con il governo Prodi (e con altrettali "amici" dei lavoratori del calibro di un Romiti) una "diversa politica per lEuropa... sottratta alla logica monetarista imposta dalla Germania". In definitiva per continuare ad alimentare tra i lavoratori le illusioni verso il governo, paralizzando ogni reale iniziativa di classe e rafforzando la gabbia di quella stessa politica di subalternità agli interessi del capitale nazionale e del mercato propria del criticatissimo sindacalismo confederale.
Ed è sotto questi non ottimi auspici che, recentemente, dopo lunga e faticosa gestazione, ha visto i propri natali larea dei "comunisti della Cgil". Dopo tanti tentennamenti, il dado è tratto. Non si tratta più -per il momento- di prefigurare scissioni organizzative, sì invece di darsi un coordinamento per portare tra i lavoratori i contenuti "antagonisti" di cui sopra. Dopo aver sparato a zero contro la concertazione, poi è esattamente la concertazione che viene riproposta; con l'aggiuntiva illusione che, se a farla fossero i rifondatori sindacali (gestendola come un semplice "metodo -sia pur criticabile- di relazioni sindacali" (?!) e non come la "negazione sistematica di ogni autonomia"), allora chissà quali utili spazi si aprirebbero per i lavoratori!
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La fuori-uscita dal capitalismo diventa fuori-uscita dal liberismo (con cui, però, ci si allea).
La prospettiva tracciata dalla maggioranza, insomma, lascia ben poco spazio non diciamo a un vero antagonismo, ma anche solo al protagonismo di classe. Lunico messaggio che le tesi del PRC trasmettono al riguardo è quello di una definitiva sconfitta del movimento operaio, e il riferimento al "fallimento dei regimi che hanno visto la rottura rivoluzionaria costituirsi in esperienze statuali" suona come una campana a morto per le potenzialità rivoluzionarie del proletariato. Certo, di tanto in tanto compare (vedi lintervista di Bertinotti su Liberazione del 9/11/96) la parola magica della "possibilità della fuoriuscita dal capitalismo". Ma, quando si cerca di afferrare un brandello di contenuto della "rimessa a tema della questione della trasformazione della società", si scopre che lobbiettivo si è spostato dal capitalismo in quanto tale alla "nuova forma che ha preso il modo di produzione capitalistico", e la prospettiva "antagonista" della "fuori-uscita dal capitalismo" (sempre rimasta brumosa) si è ridimensionata a mera fuoriuscita dalle "devastanti vicende degli anni 80... e dalle politiche neo-liberiste degli anni 90, per la conquista di un nuovo modello sociale e di sviluppo". Cosicché, dopo aver denunciato le contraddizioni del riformismo pidiessino, se ne ricalcano immancabilmente tutti i passi, inclusa la bassa cucina degli accordi con le forze apertamente portatrici del liberismo, come Dini e company. Non solo le chiacchiere sul "modello sociale alternativo" non mettono mai seriamente in discussione lorizzonte del capitalismo, ma -pur nel mezzo di una crisi strutturale dellaccumulazione- non si rinuncia a sognare un capitalismo attraversato da una "estremamente dinamica e forte modernizzazione" ed eternamente "in transizione... verso un nuovo ciclo di sviluppo". Non meraviglia allora se, in questo tentativo di aggrapparsi alla prospettiva sfuggente di un impossibile rilancio del capitalismo, il PRC si chiude in un'ottica sempre più nazionale e nazionalistica, che tuttal più si richiama ad un fasullo "internazionalismo" eurocentrico (in chiave anti-Usa, anti-nipponica e anti-"tigri asiatiche", a cui peraltro fa da contraltare un contemporaneo "spirito" anti-tedesco) e che guarda con preoccupazione e fastidio alla ribellione (e alla "concorrenza sleale" nella produzione di merci sotto costo) delle masse super-sfruttate del Sud del mondo.
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La minoranza: una diagnosi reale, ma nessuna seria prognosi.
Loperazione politica compiuta dalla minoranza appare ancor più sorprendente per premesse, finalità e risultati. Di fronte a un partito che rivendica con forza i successi del proprio appoggio al governo e che va a congresso con lobiettivo di rafforzarsi su queste basi, la mozione Ferrando oppone unanalisi di per sé lucida della situazione reale: il bilancio del governo Prodi è negativo per i lavoratori; lappoggio del PRC non aiuta ma ostacola il movimento; ingenera illusioni tra i lavoratori e favorisce le destre; dà campo libero alla Lega e al suo pericoloso radicamento in settori operai; infatti non è possibile fare una critica del capitale, sostenendone il governo; dunque la necessità di ricollocare il partito allopposizione, etc. etc. Ma dove approda infine questa analisi? A ricalcare "da sinistra" latteggiamento che si pretende di contestare alla maggioranza, avviluppata nella "contraddizione tra le parole e i fatti". Che significa affermare che nel partito non va bene niente dalla A alla Z (magari declinando questa critica con un atteggiamento di sufficiente ironia) se non ci si impegna neanche alla lontana nello sforzo di ribaltare l'orizzonte e la prospettiva che sempre più apertamente il PRC è venuto delineando in questi anni?
In realtà, l'intero gruppo dirigente del PRC ritiene (ecco il vero cemento unificante di maggioranza e opposizione) che i rapporti di forza si possano mutare dal punto di vista sociale solo, o almeno principalmente, attraverso il voto elettorale e la presenza e liniziativa sul piano istituzionale; e per questo si conferma -superando tutte le evidenti contraddizioni e non senza offrire qualche reale contropartita- la petizione di una nicchia riconosciuta allinterno del PRC. In definitiva la battaglia dellopposizione si riduce a una mera rivendicazione di carattere democratico allinterno del partito (altro denominatore comune di maggioranza e opposizione: la democrazia alfa ed omega di tutte le questioni), che non dà alcuna prospettiva se non quella del manovrismo e della contestazione interna fine a se stessi.
Le conseguenze (al di là delle immediate percentuali congressuali) sono quelle di ingenerare sconforto in quei militanti che misurano su queste posizioni il proprio disagio per la direzione presa dal partito (come è accaduto, di recente, di fronte alla decisione di Ferrando e soci di non caratterizzare in alcun modo la posizione dellopposizione nella manifestazione di Napoli del 9 novembre, proprio quando quella manifestazione evidenziava la stonatura della riproposizione, a tempi ultrascaduti, del "partito di lotta e di governo", che già ha garantito a suo tempo pessimi risultati per i lavoratori); e comunque di non intercettare il disagio più avvertito di coloro i quali si avvedono contemporaneamente che lopposizione sta in effetti conducendo un gioco che, al di là delle posizioni formalmente sostenute, mette a rischio il concetto stesso di partito, contribuendo -su altro non meno decisivo versante- a minare la tenuta del proprio schieramento. Diciamolo con franchezza: ben altro sarebbe necessario, per dare alle forze proletarie militanti, che tuttora, con disagio, gravitano intorno a Rifondazione, un solido punto di riferimento che le incoraggi e le organizzi per le future battaglie. Tracciamo qui a fianco un'ipotetica breve bozza delle tesi alternative che a ciò sarebbero occorrenti.
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Verso il disastro
Senza poterci soffermare in questa sede su altri non meno importanti aspetti (lassenza nel PRC di un autentico schieramento di battaglia contro lalienazione totale del capitalismo non consente se non raffazzonati riferimenti di marca economicista alla questione delloppressione della donna; mentre ci si rivolge ai giovani, assumendo la rivendicazione -alienata e alienante- del libero consumo delle droghe leggere), chiuderemo queste brevi note rimarcando ancora una volta il rischio degli autentici disastri di cui è foriera questa complessiva politica. Fermo restando che i comunisti non inseguono "la speranza", ma vivono attivamente la militanza nel solco di una prospettiva storicamente determinata, nessuno spazio deve essere lasciato allillusione che certe dislocazioni "tattiche" (della maggioranza verso il governo Prodi, dellopposizione allinterno del partito) possano essere tranquillamente assunte e abbandonate senza conseguenze, ovvero che la mobilitazione di classe possa essere sospesa e ripresa a comando in qualsiasi momento. Se si avverte un qualche sentore del pericolo di cui parliamo, non si attenda dopodomani per verificarne la sostanza, ma ci si metta sin da subito al lavoro nella giusta direzione. Quella della rottura verticale con ogni pratica e variante del riformismo, per fare propri fino in fondo la prospettiva e il programma del comunismo. Quello vero. Prima che sia troppo tardi, perché se Cossutta invita il PRC a "volare alto" come... Icaro, ossia a sedersi nei piani alti della società su di uno strapuntino, la realtà è che esso -in quanto "partito comunista"- è a due passi dal baratro.