Il leghismo e la secessione cominciano a provocare qualche allarme nella "sinistra". Di sicuro ne percepisce il rischio un DAlema, che pensa di potervi porre rimedio trovando con le forze più "responsabili" della destra un accordo per varare le necessarie riforme istituzionali, liberiste e federaliste, senza le quali -sono parole sue- "sarebbe un disastro per tutti". Ma per quanto consistenti siano le concessioni (ai danni del proletariato) che il Pds è disposto a immolare sullaltare del "grande accordo", è ben certo che non riusciranno a saziare la fame del capitale e a restituire allimperialismo italiano quel ruolo economico e politico di "media potenza" che sembrava negli anni 80 raggiunto e consolidato. E se la borghesia non riuscirà a rilanciarsi riaccorpando in un unico tessuto nazionale unitario la piccola borghesia e tutte le mezze-classi, la prospettiva della secessione sarà destinata ad affermarsi.
Di allarmi se ne cominciano ad avvertire anche in altri settori della "sinistra". Il manifesto si è fatto veicolo di un "invito a Venezia", convegno sul leghismo e sulla resistenza a esso, promosso da alcuni intellettuali e sindacalisti. Nella due giorni -15 e 16 novembre- in oltre 300 si sono riuniti per discuterne e interrogarsi sul "che fare". La buona parte dei presenti era costituita -per usare le parole de il manifesto del 16.11- da "un popolo di insoddisfatti che sinterrogano su sé stessi", con un passato più o meno militante e un presente fatto di impegni su questioni particolari (ambiente, volontariato, no-profit, ecc.). Il terreno unitario a questo popolo lo fornivano alcuni intellettuali tanto profondi e innovativi da scopiazzare (malamente) alcune delle più recenti e grossolane teorie borghesi sulla scomparsa della lotta di classe: la fine del fordismo e lavvento del toyotismo, la globalizzazione delleconomia e la fine degli stati-nazione.
Sentite la loro lucida analisi della situazione. Il toyotismo ha sostituito l'organizzazione fordista della produzione (grandi industrie e catene di montaggio) decretando la fine del conflitto di classe, per lo meno nei caratteri conosciuti finora dagli intellluttuali (pardon!, intellettuali) in questioni, naturalmente. Il territorio è stato, così, trasformato da contesto produttivo (dove risiedevano le fabbriche fordiste con le loro classi contrapposte) in "fattore produttivo", in cui tutte le identità di classe scompaiono per lasciare il posto a "identità comunitarie". Su queste ultime fa leva il leghismo. Al vertice delle comunità è collocata l'impresa, che organizza il suo dominio in una struttura "a rete" (insieme di piccole imprese, imprese familiari, lavoro a domicilio). L'impresa è, per i nostri, il luogo depositario del comando che impedisce alla vera democrazia economica, sociale e politica di sviluppare tutte le sue potenzialità. Da ciò deducono di dover lottare "nei territori" contro l'"impresa, per "liberare e federare". Liberare i "soggetti" dal reticolo oppressivo della produzione dei territori in competizione tra loro, e federare le esperienze "liberate".
Quali siano i soggetti da liberare, come liberarli, come e per cosa federarli non è dato di sapere. Né, in fondo, importa. Quel che conta è rispondere alla "rete" (dellimpresa) con unaltra "rete" (del "popolo insoddisfatto e insofferente delloppressione del territorio")! Su quale base? Su quella territoriale, naturalmente, cioè a livello locale, o micro-locale. Lottare il mostro globalizzato contrapponendogli le "comunità microlocali liberate". Potenza della fantasia a buon mercato!
L'unica cosa da cui questi novelli federalisti vorrebbero liberarsi è la lotta di classe. Non vedono quella che fa il capitale; non amano quella del proletariato.
Tali "oppositori" del leghismo sono (o sono destinati a essere) -con termine a loro molto caro- "sussunti" dal leghismo stesso. Destinati a essere la "sinistra padana" che Bossi auspica? Probabilmente lo stesso Bossi si augura una "sinistra" più seria...
I sindacalisti presenti hanno sostenuto una lettura diversa. Un Zipponi -segretario Fiom di Brescia- ha, per esempio, sostenuto: "non mi interessa unificare sul territorio, ma, al contrario, separare nel territorio secondo linee di interessi di classe". Il tema è posto più correttamente. Il leghismo può essere fermato solo da una diversa divisione dei campi di lotta, non nord contro sud, territorio contro territorio, ma, appunto, classe contro classe. Ma per comprendere questo bisogna, anzitutto, comprendere che il leghismo non rappresenta gli interessi di un qualche territorio, ma quelli del capitalismo nel suo insieme, perchè rappresenta una delle opzioni (in Italia la più probabile, ormai) per realizzare quella distruzione dellunità operaia che è la condizione per affermare i livelli sempre più alti di sfruttamento di cui il capitalismo sempre più in crisi ha bisogno. Non solo, ma bisogna anche vederlo il soggetto in grado di far questo: il proletariato. E tra il "popolo degli insoddisfatti" non solo questo soggetto non lo si vede, ma quando se ne parla è solo per presentarlo -in quanto "garantito"- come nemico dei non garantiti che si vorrebbe rappresentare.
Anche il miglior sindacalista, però, non può offrire una seria alternativa alla deriva leghista. La Lega raccoglie consenso e militanza operaia perché fonda la sua linea sindacale di difesa su una base politica. E a questo livello deve necessariamente collocarsi la risposta. Loperaio leghista per difendere il suo salario e il suo lavoro crede che non ci sia altra strada che distruggere il parassitismo dello stato centralista, con il suo seguito di debiti, assistenzialismo, corruzione, compromissione con la criminalità organizzata, ecc. Ma lo stato che va a costruire non sarà meno parassitario di quello attuale, perché il vero parassitismo è quello del capitalismo, di cui lo stato costituisce uno strumento di difesa. Per questo la risposta al leghismo deve essere contemporanea al rilancio della lotta contro lintero sistema capitalista. Una lotta che è possibile alla sola condizione che il proletariato riconquisti la sua autonomia di classe e la sua organizzazione partitica corrispondente.