La tragedia jugoslava

LA TERZA INTERNAZIONALE
E LA "QUESTIONE BALCANICA"

Indice

La "questione balcanica" si pone non da oggi al proletariato e al movimento comunista rivoluzionario. Già oggetto delle attenzioni di Marx e di Lenin nel quadro dello sviluppo delle rivoluzioni democratiche in Europa, dal ’48 a questo inizio secolo, le sorti dei popoli balcanici furono a pieno titolo inserite dall’Internazionale Comunista nella prospettiva della rivoluzione proletaria internazionale che, dopo il vittorioso Ottobre russo, si preannunciava in Europa. Nel Manifesto della Federazione Comunista Balcanico-danubiana rivolto alle classi lavoratrici dell’area l’Internazionale, all’indomani del suo II congresso (1920), prendeva una netta e univoca posizione le cui direttrici politiche tracciano le linee, ancor oggi valide, per una soluzione proletaria dei problemi sul tappeto. Ne riportiamo i passaggi salienti nella convinzione che i nodi di fondo affrontati sono, nella sostanza, i medesimi di allora.

Il quadro della situazione

L’appello prende atto della situazione venutasi a creare nei Balcani con e dopo la I guerra mondiale, dello stato di profonda prostrazione in cui i popoli dell’area, e principalmente le masse lavoratrici delle città e delle campagne, sono stati gettati dalle conseguenze della guerra. Sotto l’aspetto politico: "Molti hanno sperato che la guerra mondiale potesse unire popoli divisi e oppressi. In nome della riunificazione nazionale anche le popolazioni balcaniche vi sono state coinvolte. Oggi però tutti possono vedere che la guerra non ha risolto questi problemi, anzi i popoli ne sono usciti ancora più divisi, ancora più oppressi... La guerra imperialista ha dunque prodotto una nuova schiavitù, una nuova frantumazione, ha compromesso l’idea della riunificazione dei popoli balcanici, della loro collaborazione, ha posto le basi per nuove inimicizie, per contrasti e guerre ancora più orrende". Il perché è presto detto: "Per completare la loro opera di rapina a Est e assicurare il dominio incontrastato del capitale... gli imperialisti dell’Intesa (oggi diremmo: tutto l’Occidente -n.) succhiano il sangue dei popoli balcanici e danubiani che la borghesia di questi paesi è pronta a svendere per quattro soldi". E quale mezzo migliore, a tal fine, della divisione e contrapposizione delle popolazioni, dell’aizzamento dei contrasti nazionali, dell’uso di frontiere appositamente tracciate per fomentare le rivalità e gli odi? "Territori bulgari alla Romania, ungheresi alla Jugoslavia, slavi all’Italia, ecc.: l’Intesa ha così scoperto le sue carte... Questo atteggiamento ha rafforzato enormemente, peraltro, il separatismo di Croazia e Slovenia". Anni Venti o anni Novanta?

Sotto l’aspetto economico: "L’intera vita economica ha subito un durissimo colpo. Le conquiste civili dei paesi balcanici sono state spazzate via, il loro relativo benessere ha lasciato il posto a una profonda miseria. Il crollo finanziario è pesantissimo. I debiti verso l’estero sono dell’ordine di miliardi. I deficit statali sono alle stelle e per la loro copertura i governi non hanno altro mezzo che ricorrere all’emissione di moneta, il che non fa che peggiorare la crisi economica. La bancarotta si preannuncia per tutti inevitabile. Ma la devastazione economica e il crollo finanziario dei piccoli stati rappresentano la precondizione necessaria del loro assoggettamento economico da parte dei capitali di rapina delle potenze dell’Intesa (s.n.)". I veri burattinai sono qui chiamati per nome e cognome. Ma ce n’è anche per i burattini locali.

"La borghesia dei paesi balcanici non è affatto in grado di opporsi all’assoggettamento da parte del capitale straniero. Al contrario: contribuisce a ciò, mettendo le proprie ricchezze sotto bandiera straniera, con l’unica preoccupazione di assicurarsi una parte della produzione nazionale. Solerte nel compiere la sua opera da traditrice, dimostra di fronte al mondo la sua incapacità di guidare lo sviluppo economico dei Balcani. Nonostante il tracollo economico, essa ha accumulato enormi ricchezze con una velocità incredibile. Banche sorte dal nulla, società per azioni, grandi imprese con una speculazione senza freno hanno di fatto monopolizzato il commercio. Questi capitali, accumulati sulle spalle delle masse popolari, non servono a sollevare le forze produttive locali, bensì si dileguano in una vorticosa speculazione che, facendo salire in continuazione i prezzi, toglie dalle tasche dei lavoratori anche l’ultimo quattrino".

Implacabile è il processo di polarizzazione sociale che ne segue. "Le conseguenze sociali di tutto ciò sono ben visibili. I popoli dell’area sono divisi in due classi nemiche. Da un lato un pugno di banchieri, affaristi, trafficanti, industriali, proprietari fondiari, che accumulano ricchezze - dall’altro imponenti masse di operai e impiegati, di nullatenenti delle città e delle campagne, che soffrono la fame, sono vittime di epidemie e del degrado sociale. I ceti medi si dissolvono rapidamente. Mentre per la borghesia si aprono facili prospettive di un guadagno senza limiti, le masse lavoratrici sono di fronte all’abisso della miseria più nera". Questa polarizzazione non può che approfondirsi giacché per uscire dalla crisi "le classi dominanti conoscono una sola ricetta: piena e incontrastata libertà per il capitale. Eccole proclamare la necessità del "libero" scambio, ovvero lo sfruttamento senza freni delle masse, attaccare la legislazione sociale e le organizzazioni dei lavoratori".

La soluzione comunista

Il quadro delineato è dunque chiarissimo e attualissimo: piena intromissione, politica militare economica, del capitale imperialista che manipola a suo uso e consumo le differenze e i contrasti nazionali; incapacità a opporsi a tale diktat da parte delle borghesie locali, completamente affittate ai padroni esterni e dunque non in grado di offrire ai popoli dell’area una prospettiva politica comune e unitaria e uno sviluppo economico meno dipendente e squilibrato; i costi della situazione scaricati sulle spalle delle masse, oppresse da questo duplice giogo.

Chiarissima è anche la soluzione prospettata dall’Internazionale che individua nell’abbattimento di questo duplice giogo ad opera del proletariato anche l’unica possibilità di superare le divisioni e i contrasti tra le differenti popolazioni, causa e prodotto insieme del loro assoggettamento alle potenze imperialiste. "I partiti comunisti dell’area balcanica sono nemici di ogni oppressione nazionale, della sottomissione di un popolo o di una minoranza da parte di un altro popolo. Noi siamo per la piena libertà e uguaglianza dei popoli balcanici e per il diritto di ognuno di essi all’autodeterminazione. Al contempo però diciamo che, visti i conflitti nazionali esistenti, l’unificazione di questi popoli è possibile solo nel quadro di una repubblica federativa sovietica balcanico-danubiana (s.n.), la sola in grado di assicurare a tutti i suoi popoli uguali diritti e uguali possibilità di sviluppo... L’unica via d’uscita è, come ha dimostrato la rivoluzione russa, una rivoluzione degli operai e dei contadini dei Balcani. La classe dominante dei capitalisti e dei proprietari fondiari deve essere abbattuta, il potere statale tolto loro di mano e trasferito ai consigli degli operai e dei contadini". A qualunque altra condizione, dunque, il diritto all’autodeterminazione dei popoli si risolve in uno strumento in mano alle classi dominanti per dividere le masse lavoratrici, compattarle alla coda della propria politica, tacitarne le rivendicazioni di classe. A tutto vantaggio, alla fin fine, dei soliti burattinai. Lo sbaraccamento delle classi dominanti e dei padroni imperialisti impone al proletariato e alle masse dell’area la necessità della propria riunificazione, pena il dover sottostare non solo a padroni più voraci, ma soprattutto alle manovre di attizzamento dei contrasti, delle rivalità, delle divisioni tra piccoli stati -e dunque tra settori di proletariato- a opera dei briganti imperialisti.

Limpida, di conseguenza, la consegna dei comunisti: "I partiti comunisti dei Balcani organizzano le loro forze e la loro riunificazione nella federazione balcanico-danubiana mostra la chiara comprensione delle condizioni di sviluppo (sottol. nostre) della rivoluzione degli operai e dei contadini. Alla borghesia, che in ogni singolo paese rinvia al nemico esterno per stornare la rivoluzione interna, va contrapposta l’unità comunista delle masse lavoratrici in tutti i paesi dell’area". Nell’area e oltre, in imprescindibile unità con le altre sezioni del proletariato per il comune obiettivo della rivoluzione internazionale: "La rivoluzione proletaria è il compito dell’ora. La scintilla è scoccata tra i lavoratori russi e ha investito lo sconfinato impero zarista; le fiamme lambiscono ora il corpo in decomposizione degli stati capitalistici dell’Europa centrale e occidentale e dell’America con le loro colonie. Le masse sfruttate dell’Est e di tutto il mondo si levano nella lotta contro il capitalismo e l’imperialismo. Le fondamenta dei potenti stati capitalistici sono oramai scosse. Alla testa di questa grandiosa battaglia la Repubblica sovietica russa e l’Internazionale Comunista. E’ dovere di ogni lavoratore abbracciare la bandiera comunista. E’ dovere delle masse lavoratrici dei Balcani unirsi nelle fila dei partiti comunisti e della federazione comunista balcanico-danubiana per dare inizio alla lotta per il trionfo del comunismo". Nella strategia dell’Internazionale la rivoluzione di area, guidata dal proletariato e dal partito comunista, si inserisce dunque nella prospettiva rivoluzionaria internazionale e internazionalista, non prelude ad alcun falso indipendentismo nazionale travestito da socialismo (come invece avverrà poi, con la lotta guidata dal titoismo).

Ieri e oggi

La nostra presa di posizione sulla vicenda jugoslava, dunque, è tutto fuorché "originale" rispetto ai criteri marxisti, nell’analisi come nelle concrete indicazioni di lotta. Nel Manifesto in questione ritroviamo i tre nodi di fondo che abbiamo messo al centro della nostra propaganda.

In primo luogo il carattere di classe dei conflitti che sconvolgono da oltre un secolo la Balcania, ancorché dissimulato dietro gli scontri nazionalistici o inter-etnici. E, collegato a ciò, il ruolo del fattore "esterno", ovverosia delle nazioni imperialiste, nello scatenamento e nell’utilizzo di tali conflitti che, se pure mostrano sulla scena come protagoniste le classi dominanti locali (e le popolazioni come carne da cannone), a ben vedere assegnano loro la parte di servi o, nella migliore delle ipotesi, di affittuari. Era chiarissimo per l’Internazionale che il comune brodo di coltura dei fattori esterno e interno è rappresentato dal sistema capitalistico mondiale e dalle sue contraddizioni, che si scaricano in maniera più pesante e dirompente sulle "periferie" del sistema. Ragion per cui il superamento definitivo di tali contraddizioni può darsi solo con la fuoriuscita dal sistema in quanto tale e non con le disgraziatissime costruzioni di "socialismo in un paese solo" che si sarebbero successivamente affermate con lo stalinismo (di cui il titoismo resta una variante). Compito dei comunisti, in ciò, delineare la strategia complessiva di tale fuoriuscita e agire di conseguenza.

Merita soffermarsi in secondo luogo sul fatto che l’Internazionale desse precipua importanza al problema della riunificazione del proletariato e delle masse lavoratrici balcaniche da conseguire con un unitario percorso di lotta che doveva alla fine essere suggellato dalla costituzione di una repubblica sovietica federativa di tutta l’area nel più ampio percorso della rivoluzione internazionale. Non era dunque affatto indifferentista, già allora, la posizione dei comunisti rispetto alla due contrapposte opzioni dell’unità o della polverizzazione anche delle compagini statali dell’area in quanto dialetticamente legata ad esse è la possibilità per il proletariato di dispiegare la più ampia unità di lotta auspicabile contro la borghesia locale e contro quella assai più rapace dei paesi imperialisti. E, insieme, la necessità di contrapporsi, pena la propria nullità politica e la sconfitta, ai disegni separatisti, secessionisti, "indipendentisti", ecc. delle forze borghesi, tutti comunque miranti alla divisione del fronte proletario. Nessuna confusione, dunque, con qualsivoglia difesa di un’entità statale borghese; epperò lotta a fondo per salvaguardare o conquistare uno spazio comune su cui operare le proprie battaglie e preservare o conquistare un’unità di lotta e di programma con altre sezioni di proletariato. Il che si impone non solo con la conquista del potere, ma già prima -dunque sotto il dominio borghese- spettando ai comunisti di mostrarne la necessità fin dentro le minime lotte immediate. E’ quanto facciamo, nelle vicende attuali, allorché indichiamo la riunificazione sovranazionale, panjugoslava del proletariato sloveno, croato, serbo, ecc., come compito indefettibile e condizione essenziale della sua ripresa.

Anche il terzo fondamentale nodo della questione è affrontato con la massima chiarezza. Le classi borghesi dei Balcani, affacciatesi in ritardo sul mercato mondiale, non sono in grado di garantire la benché minima indipendenza e centralizzazione delle proprie compagini statali e dunque uno sviluppo economico non del tutto squilibrato per i paesi dell’area. L’unico soggetto che può assolvere a questo compito è il proletariato a patto però di aggredire alla radice il problema e dunque di porre mano allo sbaraccamento del sistema capitalistico in quanto tale. Il che è possibile solo con una strategia rivoluzionaria mondiale che ha il suo perno nei paesi capitalistici più avanzati. Qualunque altra soluzione intermedia -quale fu, per la Jugoslavia, quella della lotta titina di liberazione nazionale, pur rispettabilissima quanto a referenti sociali e istanze di lotta antiborghese e antimperialista- ha dimostrato la verità di questa tesi, avendo impattato prima o poi proprio contro quelle contraddizioni che avrebbe voluto debellate per sempre. Oggi, bruciatesi con il progredire della dinamica polarizzatrice del capitalismo mondiale le possibilità di riedizione di tali soluzioni, di tali "blocchi popolari", la soluzione proletaria si impone più che mai. L’oggettività dei processi chiama senza appello. Alla soggettività, proletaria e comunista, lì e qui, il compito di rispondervi.