Qualcuno ha cercato recentemente di spiegarci che quello del pan-jugoslavismo sarebbe un escamotage, perché i problemi dell(ex)-Jugoslavia non sono risolvibili al di fuori di un programma rivoluzionario mondiale. Cè chi aggiunge: visto, però, che non esiste il partito, è inutile parlarne...
Disfattismo anti-marxista del comunismo "puro"
Ci permettiamo di obiettare: un orientamento pan-jugoslavo per forza di cose non potrebbe limitarsi ad essere una variante nazionalista "a scala più ampia", dal momento che esso metterebbe in causa linsieme della politica delle rispettive borghesie nazionaliste e quella dellOccidente che le ha ispirate, foraggiate od anche solo lasciate compiere gratuitamente il proprio sporco lavoro di frantumazione del paese; e proprio per questo esso implicherebbe unaltra ed antagonista forza di classe, che, nel corso della sua battaglia, sarebbe "naturalmente" portata a cogliere il nesso -vero e necessario- tra proletariato jugoslavo e proletariato internazionale, rivoluzione jugoslava e rivoluzione internazionale, pena un inevitabile e disastroso avvitamento su sé stesso. (Come è evidente, evocare questa prospettiva jugoslavista di classe nulla ha a che fare con la petizione di un impossibile ritorno alla Jugoslavia titoista che faccia leva su una "resistenza popolare", dato che quest'ultima, a misura che si approfondisce e si radicalizza, spacca in profondità l'unità delle popolazioni serbe).
A questa prospettiva necessita il partito? Senzaltro. Ma un partito anche di ridotti effettivi appoggiandosi a questa leva potrebbe svilupparsi, soprattutto se anche qui, nelle metropoli, si cominciasse di più a solidarizzare sul serio con il proletariato jugoslavo e di meno a prendere indifferentisticamente le distanze da un conflitto da ogni lato egualmente "imperialista" che, in fin dei conti, non ci riguarda, visto che non cè il partito (e quando mai nascerà a queste condizioni solo dio e il diavolaccio lo sanno!).
Riconoscere, condannare e contrastare -per quel che ci è possibile- laggressione occidentale al popolo serbo non significa affatto sposare la causa dei Karadzic e dei Milosevic. Significa (oltre una elementare presa datto della realtà) esattamente il contrario: indicare a quel popolo, alle classi sfruttate di quel popolo, che se ne può uscire solo rompendo con la propria borghesia e con le sue ideologie e pratiche separatiste secondo linee di fuga "etniche".
E questo lo si fa non con la diserzione (possono disertare dei singoli, non delle masse, delle intiere classi sociali), ma rovesciando il segno di classe delle attuali milizie, in cui è giocoforza trovarsi implicati, strappando la direzione dei fucili ai vari Karadzic e indirizzando, anche col fucile, necessariamente, in mano, dei messaggi ai propri fratelli-"nemici" che siano non di popolo contro popolo, ma di classe contro classe, di fratellanza proletaria di classe.
Qualcuno ("internazionalista") , in nome del disfattismo rivoluzionario, nega che questo rovesciamento sia possibile perchè, a suo dire, le milizie serbe sono mercenarie.
Ora, a parte il fatto che molto ci sarebbe da discutere sul senso autentico del disfattismo rivoluzionario (inteso in modo caricaturale da buona parte dei pochissimi che pur vi si richiamano in nome del comunismo), quella del carattere mercenario delle milizie serbe è una colossale menzogna. Tra le varie parti in armi in Jugoslavia, le milizie serbe sono le uniche a base volontaria di massa (tanto che ha suscitato "scalpore" che Karadzic appena qualche settimana fa, dopo tre anni di conflitto, ordinasse o ventilasse la mobilitazione forzata: che, in ogni caso, sarebbe altra cosa rispetto a un esercito mercenario). In questo esse si distinguono significativamente dalle milizie croate e "mussulmane", strutturate sulla preminenza di volontari-mercenari (non solo indigeni, soprattutto ai gradi alti della direzione tecnica e politica) e sullarruolamento forzoso sistematico.
I popolani serbi non han bisogno di eroina e dollari o marchi per essere convinti a combattere. Lo fanno spontaneamente, per necessità di vita o di morte, e non a caso contro di essi sono puntate tutte le armi dellOccidente. Questo, naturalmente, non fa di essi dei combattenti della nostra causa, del nostro partito, ma certamente li pone nelle condizioni materiali idonee a far di conto tra la loro giusta ed insopprimibile necessità di difendersi dallOccidente imperialista e dai suoi scherani locali ed il programma agitato dalle direzioni "popolari" borghesi che hanno saputo darsi o alle quali non hanno saputo sin qui sottrarsi. Questo solo può essere il terreno su cui riannodare il filo comunista. Direzioni "fasciste"? Bisogna vedere quello che sintende con questo termine. Nessuno più di noi può averle a maggior disgusto: ma, saremmo tentati di dire, cè una bella differenza tra il cosidetto "fascismo" dei vari Karadzic, costretto a difendersi in armi dal vero Fascismo imperialista, e questultimo. Il marxismo ci ha insegnato a valutare, nelle situazioni, innanzitutto i dati oggettivi, che ne determinano, in ultima istanza, i destini, e, su questa base, a saper discernere il dato provvisorio di certe direzioni. (Così, ad esempio, non diremo mai che le recenti lotte operaie in Italia sono state "borghesi", ed eviteremo con cura di equiparare le centinaia di migliaia di operai di Roma con i grandufficiali che vanno a spennarli sol perché borghese marcia ne è stata la direzione. Se poi, invece, qualcuno volesse bombardare questi operai per metterli in riga... E tanto basti a chiudere una volta per tutte i rubinetti dellaccusa di "filoserbismo" che ci viene mossa, e di cui ci facciamo un altissimo baffo).
Disfattismo anti-marxista del "comunismo realista">
Tutto estremamente difficile, certo. E triste, ad esempio, che la presidentessa dei comunisti croati in esilio a Belgrado, Miriana Jakelic, persona rispettabilissima, che da sempre si è opposta alla disarticolazione del paese per linee etniche e non è certo sospetta di simpatie per i vari Karadzic o Martic (il quale ultimo aveva proibito non a caso nella Krajna ogni propaganda "comunista"), così si esprima sul futuro del paese:
"Quali sono i principi del nostro programma? Innanzitutto una Jugoslavia unita di nuovo entro le frontiere dellAVNOJ, speriamo anche con la Slovenia. Come sarà questa Jugoslavia? Senzaltro decentralizzata, organizzata secondo il principio delle regioni, non su base etnica ma geografica, economica e culturale e così via, ma con una forte amministrazione locale".
Chi ha gli occhi rivolti indietro ai "bei tempi" del titoismo (ottimi realmente se raffrontati in astratto col presente) non può arrivare neppure alla determinazione con cui un Tito, nella sua ultima battaglia jugoslavista, aveva perlomeno tentato di aggredire gli effetti distruttivi sprigionatisi dal "socialismo autogestionario in un paese solo" da lui messo in piedi. Si "spera" (e si può solo vanamente "sperare", vista limpossibilità che un tale "programma" possa marciare su delle gambe reali) in una ricomposizione del paese sulla base di ciò che lha portato a distruzione: "indipendenza" nazionale (dal proletariato rivoluzionario internazionale), mercato, federalismo, "autodeterminazione" dellaffarismo borghese locale... Si spera, poi, che tale ricomposizione possa trovare una sponda nei "democratici" e nei "progressisti" e finanche in almeno alcuni dei governi d'Occidente, interessati, per tornaconto proprio e "generale", alla ricostituzione di una Jugoslavia unitaria.
Il vero programma sta altrove: espropriazione delle classi borghesi, centralizzazione ferrea della lotta rivoluzionaria contro le classi borghesi interne e limperialismo occidentale, centralizzazione dittatoriale della vita economica e sociale, unità internazionalista del proletariato.
La disastrosa realtà attuale non conforta speranze di successo immediato per un simile programma, ma pone brutalmente sul piatto i termini di esso come i soli capaci di far uscire il proletariato jugoslavo dalla trappola in cui è stato preso. Ed è sul concreto campo della lotta in corso, non nelle "teste" e nelle "volontà" ricondotte alla "ragione", che esso potrà affermarsi.
Ne prendano ben nota coloro che vorrebbero risparmiarsi, per vie più facili, le doglie del parto e coloro i quali restano vergognosamente a braccia conserte davanti all'aggressione imperialista in atto, in attesa di un parto miracoloso (e, alla fin fine, spontaneo) "non importa se tra nove mesi o novemila anni".