Palestina-Medio Oriente
Che l'accordo "di pace" di Washington non avrebbe portato la pace tra israeliani e palestinesi, questo giornale lo affermò subito, a caldo. Lo affermammo in base alla ovvia constatazione che esso, per il solo fatto di cointeressarvi in prima persona, con alcune limitatissime "concessioni" pagate a caro prezzo, la direzione arafattiana dell'OLP, non eliminava in alcun modo la storica oppressione delle masse lavoratrici palestinesi da parte dello stato di Israele e dell'imperialismo tutto. Esso non poteva eliminare, perciò, le ragioni materiali della lotta rivoluzionaria delle masse palestinesi, ma soltanto esaltarle saldando sempre più strettamente la causa della liberazione nazionale palestinese a quella, per sua natura proletaria, internazionale ed internazionalista, del riscatto sociale dallo sfruttamento capitalistico.
L'orrendo eccidio a sangue freddo della moschea di Hebron e la pronta, indomita reazione dei palestinesi lo hanno confermato in pieno.
La grottesca pantomima del "folle terrorista isolato" che agisce in preda a incontrollabile raptus non è durata neppure 24 ore. Non solo perché si è presto scoperto che costui aveva già da tempo "lucidamente" ed impunemente dichiarato a giornali e televisioni che "se viene accoltellato un ebreo, gli arabi moriranno a decine"; e neppure perché, lungi dall'esser isolato, costui era in realtà appartenente al movimento Kach, che ora lo rivendica, insieme ad altre organizzazioni, come un eroe e un santo. Quanto perchè è evidente che il terrorismo anti-palestinese e anti-arabo è, ininterrottamente da mezzo secolo, opera non di singoli folli o di piccoli gruppi di estremisti esaltati, bensì dello Stato di Israele e dell'imperialismo tutto ("candide" Europa e Italia ben incluse) per assoggettare un'intera area dall'enorme valore strategico per motivi economici, politici e militari. A controprova di ciò il Kach e i gruppi affini, informa il Corriere della Sera del 27.2.94, hanno in USA le loro basi finanziarie e di addestramento militare.
La questione, perciò, non è quella, come lascia intendere l'OLP, di "disarmare i coloni" (chiedendo, per di più, che a farlo sia lo stesso Stato che li ha armati...), ma quella di "disarmare" lo Stato israeliano, la borghesia israeliana, l'imperialismo. Un compito che mai potrebbe essere assolto dalle, invocate dall'OLP, truppe ONU. L'intervento di queste -come da copione jugoslavo- sancirebbe solo un'ulteriore diretta intromissione armata dell'imperialismo nell'area, con il corollario di rafforzare ancora di più il presidio dei propri interessi contro le masse palestinesi e arabe. Solo l'esercito del proletariato e degli sfruttati, riappropriandosi a sua volta di tutte le armi di lotta teorica, politica e militare affilate nella sua storia, può disarmare il "grande vecchio" terrorista e tutti i suoi agenti.
Non è la pace, dunque, ad aleggiare sul presente e sul futuro delle masse oppresse palestinesi e arabe, ma la guerra condotta senza tregua dall'imperialismo, di cui i coloni rappresentano solo una delle appendici locali. In Medio Oriente, come ovunque nel Sud -e nel Nord- del mondo, il problema non è come possa essere consolidata la sempre più traballante "pace" capitalista-imperialista, ma da che parte stare nella sempre più aperta guerra tra le classi sfruttatrici (e i rispettivi Stati) e le classi sfruttate.
Ciò vale anche per gli elementi non sfruttatori della popolazione di Israele che non intendono compartecipare alla politica neo-colonialista della loro borghesia, ma che credono di poterla contrastare perorando una svolta "pacifista" della politica del "proprio" Stato, senza in nulla cogliere come l'esistenza stessa di quello Stato, gendarme dell'imperialismo, fondato sul pregiudizio religioso e sull'espropriazione dei territori arabi, non possa che produrre nuove guerre e oppressioni, a garanzia del sistema mondiale imperialista e a garanzia del capitalismo autoctono che anch'essi sfrutta e opprime.
Un contributo alla continuazione di quell'oppressione lo dà il "pacifismo" nostrano, italiano e occidentale, impotente, per provata -ormai- esperienza storica, a disarmare gli aggressori, ma, nondimeno, ostinato a invitare gli aggrediti a rimanere disarmati. Oltre qualche indignata parola (perlopiù, in verità, preoccupata che la reazione palestinese potesse ostacolare il "processo di pace"...), non una manifestazione, non un segno di protesta si è levato in seguito all'eccidio di Hebron. Su tutta la vicenda, di Hebron e dello stillicidio continuo di vite di palestinesi, il "pacifismo" ha dimostrato solo...la sua assenza. Perchè? C'è forse il timore che dando rilievo a simili fatti si possa contribuire a rallentare o a bloccare il "processo di pace"? C'è forse la convinzione che il miglior modo di far avanzare la pace sia quello di "non disturbare" i "manovratori"?
Zitti! Calmi! La pace avanza...macinando morti!
Le masse palestinesi hanno dimostrato ancora una volta la loro indomita forza, riempendo con la loro protesta le strade di tutti i centri in cui è nata e si è sviluppata l'intifadah, estendendola persino a centri che mai l'avevano conosciuta, come a Jaffa (periferia di Tel Aviv...). Sono ricorse alle uniche armi di cui dispongono, affrontando con esse le forze militari israeliane. Pur nella grande sproporzione di mezzi non hanno rinunciato alla battaglia e hanno dimostrato ancora una volta la loro decisione a non voler abbandonare il terreno di lotta all'imperialismo. Hanno dimostrato ancora una volta che esiste in Palestina e in tutto il Medio Oriente l'alleato naturale di cui il proletariato metropolitano ha bisogno per condurre in modo vincente la sua lotta contro il capitalismo. Hanno dimostrato ancora una volta il loro bisogno urgente di veder scendere in campo il loro alleato naturale. Senza questa unione, senza un fronte unico di lotta contro l'imperialismo e il capitalismo, che coinvolga all'unisono il proletariato occidentale e le masse sfruttate e oppresse dall'imperialismo in Medio Oriente e in tutto il mondo, mai una vera pace si insedierà in quell'area, né in nessun altra. Ma, mai finiranno neanche le sofferenze cui il giogo capitalista sottopone il proletariato di qui.