EX-JUGOSLAVIA
Non ci stancheremo mai di ritornare sull'argomento ex-Jugoslavia per tentare in tutti i modi di porre dinanzi agli occhi dei proletari di qui (ma non abbiamo mai dimenticato quelli di là) come l'atroce guerra che va estendendo le sue fiamme nel vicino paese non rappresenti un'anomalia circoscritta o circoscrivibile ad esso, ma la prefigurazione di un incendio destinato a coinvolgerci tutti. Per dimostrare come all'origine di questo conflitto vadano posti non "odi atavici" tra "barbare" nazionalità balcaniche, ma i "civilissimi" interessi dell'Occidente (ai quali sono stati funzionalizzate le micro e sotto-borghesie locali, quisling diretti o indiretti) e i "sacrosanti" scontri d'interessi inter-imperialisti dello stesso Occidente.
Un proletariato diseducato dalle "proprie" direzioni a ragionare in termini di classe nel proprio paese ed ancor più pesantemente reso estraneo al discorso internazionalista avrà bisogno di una robusta dose di disintossicante. Per quanto ci è possibile, noi cerchiamo di fornirgliela prima che esso debba trovarsi di fronte ad avvenimenti catastrofici che lo coinvolgano direttamente anche qui, nel suo guscio "protetto" metropolitano.
Subiamo quotidianamente un bombardamento di notizie a sensazione, una più truculenta dell'altra, il cui solo scopo sta nel mobilitare le "coscienze" (per i corpi si vedrà poi) a servizio del più lurido interventismo imperialista. Tutto fa brodo a tal fine: le decine di migliaia di donne mussulmane stuprate (e solo esse) dai serbi, i bambini che cadono come mosche, più che non i soldati al fronte, le atrocità di ogni tipo per contorno. L'ultima che abbiamo sentita è quella di prigionieri mussulmani costretti a strappare coi propri denti i testicoli a dei compagni di lager cui erano intanto state cucite le bocche col fil di ferro per impedire (non si sa bene perché) che urlassero.
Ovvio che non neghiamo i crimini che, per loro natura, si connettono ad ogni guerra né li pesiamo sul bilancino per distribuirli equamente alle varie parti coinvoltevi per poi assegnare ad ognuna di esse un voto di peggiore e meno peggiore. Il vero crimine è la guerra stessa e i suoi responsabili veri (atrocità "individuali" comprese) stanno nei santuari da cui essa si diparte. Che non sono né quelli serbi né quelli croati né quelli mussulmani, ma quelli degli autentici pirati occidentali che agiscono dietro le quinte.
Quando si "liberò" la Slovenia fummo i soli a denunziare la rete di interessi occidentali che stava dietro il secessionismo sloveno e la finta guerra di liberazione che ne seguì ed a prefigurare quanto sarebbe accaduto poi. In quell'occasione, in una piazza di Trieste in cui si erano radunati concordemente a difesa del "diritto dei popoli all'autodecisione" sloveni bianchi, radicali, rifondatori, pidiessini e persino "ultrasinistri" in cerca d'autore, rischiammo di brutto per aver sostenuto queste nostre posizioni. (Su organetti di stampa "ultracomunisti superpuri", invece, ci si accusò di truccare le carte perché, a sentir loro, era proprio l'Occidente a sostenere l'integrità "controrivoluzionaria" della Jugoslavia...)
Il tutto corroborato da una pressante campagna d'"informazione" sulle atrocità dell'esercito federale che bombardava Ljubljana e faceva arrivare granate fin su Graz, in Austria, senza dimenticare l'immancabile Forattini con la sua vignetta raffigurante un carro armato jugoslavo guidato da Stalin prossimo a varcare i nostri confini...
Può essere utile oggi leggere in proposito quanto scrive retrospettivamente sul n° 1 del '94 di "Limes" Gianni De Michelis, od anche, in un suo recente libricino, La linea dei mirtilli, l'inviato del "Piccolo" Paolo Rumiz. Quello che noi scrivevamo allora è confermato parola per parola, ed anche oltre. Forse perché, azzardiamo, nel frattempo si sono alquanto spente le aspettative "nostre" d i sfondare come Italia nell'area balcanica attraverso i fantocci sloveni, mentre il posto al sole cui aspiravamo ce l'hanno fregato altri nostri concorrenti...Consigliamo vivamente la lettura di questi due documenti per chi voglia cominciare un'opera di disintossicazione, sperando che essa non debba arrivare sempre (e troppo) tardiva.
Poi è stata la volta della "guerra di liberazione croata" (attualmente, ed in maniera del tutto "naturale", date le premesse) estesasi all'Erzegovina. Ed anche qui menzogne e rincoglionimento a cascata, sin ad esibire il solito diciannovista Pannella in divisa militare croata a portare la solidarietà dell'Italia "tutta" agli "eroici" combattenti della libertà ustascia. Ma sentite un po' quel che scrive G. Rampoldi il 30 gennaio di quest'anno su quella "Repubblica" che allora si distinse per fervore anti-serbo a senso unico:
"Quelle milizie "spontanee" (dei croati in Bosnia, n.) non sono altro che un esercito d'occupazione armato e diretto dalla Croazia... Non è stata la "follia della guerra" ad uccidere tre italiani inermi. E' stato un mortaio croato, un ufficiale croato, quello che da mesi comanda ogni giorno i bombardamenti della città vecchia (di Mostar, n.). Magari lo stesso comandante che ha fatto fucilare i ragazzi croati di Mostar perché rifiutavano di combattere la guerra di Tudjman (non l'avevamo troppo sentita prima, questa notizia. Forse perché notizie del genere costringerebbero a por l'attenzione sulla resistenza tuttora esistente nell'ex-Jugoslavia ad intrupparsi al seguito delle bande "etniche" che qui tutti negano e contrastano?, n.)... All'epoca (dello scontro croato-serbo, n.) la Croazia era, per gran parte del giornalismo italiano, il tenero virgulto delle libertà e della democrazia schiacciato dai tank del "serbo-comunismo"... E mentre chi in Italia usciva dal coro veniva immediatamente bollato come comunista, gran-serbo, insomma come mascalzone, nella democraticissima Croazia, a due passi dai nostri confini, il partito e la polizia di Tudjman avviavano la pulizia etnica della minoranza serba in Slavonia, con squadre della morte e massacri di civili. Ma tutto questo non impressionava né il Parlamento né la maggioranza della stampa italiana. Infatti era chiaro che, essendo la Croazia attaccata dal "comunismo", essa doveva essere innocente. Inoltre erano in gioco interessi concreti, autostrade e cementifici, e la lobby che intendeva gestire i rapporti con Zagabria era molto attiva nella stampa italiana."
Non occorrono commenti, se non uno: sulla piramidale faccia tosta di politici e mass-media sempre pronti a pararsi la faccia (pardon, il sedere) con versioni di riserva della realtà quando i conti preventivati non quadrano più.
E veniamo di nuovo alla Bosnia ed agli avvenimenti ultimi.
L'Occidente si è precipitato a riconoscere a suo tempo la sovranità e l'integrità statuale della Bosnia-Erzegovina di Izetbegovic dopo che questa era stata disegnata in modo da provocare automaticamente la ribellione (dove la mettiamo l'"autodecisione dei popoli"?) di serbi e croati, impossibilitati a riconoscersi in uno stato a pretese egemoniche su base etnica e semi-confessionale ad essi estranea ed ostile.
Era del tutto logico supporre che anche il trucco dell'alleanza croato-mussulmana in funzione antiserba non avrebbe tenuto alla lunga, ma sarebbe stata unicamente foriera di nuovi conflitti e... di una più pressante penetrazione dell'Occidente in funzione di "mediatore" e "pacificatore" (leggi: di pirata).
Se Izetbegovic non fosse quello che è ed avesse poggiato la costituzione del "suo" stato sul pieno riconoscimento dei diritti delle altre due principali minoranze nazionali (tenendo necessariamente aperti corridoi di comunicazione con la nuova Jugoslavia e la Croazia), né il separatismo serbo né quello croato avrebbero trovato alimento nelle rispettive popolazioni, ricche di solide tradizioni di vita in comune. Resistenti alla linea della divisione etnica ce ne sono ovunque e da ogni lato e bene ha detto un giornalista che proprio di questo la nostra stampa parla poco (e se ne capiscono bene i motivi!)
Occorreva, invece, spezzare questa rete di rapporti, ed Izetbegovic vi si è ben dedicato, nella convinzione che ai servigi da esso resi all'Occidente sarebbe conseguito un giusto premio. Oggi si vede che in Bosnia-Erzegovina il vero padrone non è alcuna delle parti in lotta, ma la forza d'occupazione (con tutti gli scontri al suo interno) dell'Occidente, più la Russia, e che lo smembramento e la colonizzazione del paese da essa messi in atto è ben lungi dal potersi chiudere entro il recinto bosniaco-erzegovese.
Per incoronarsi padrone della Bosnia-Erzegovina Izetbegovic si è dapprima ben armato, in barba a tutti gli "embarghi sugli armamenti" dichiarati. Ha messo in piedi un esercito di 200.000 uomini (cfr: "La Voce del Popolo" di Fiume del 14 gennaio), ricorrendo ad ogni mezzo per impedire obiezioni di coscienza e diserzioni. Ha accolto a braccia aperte fior di "volontari" venuti da ogni dove. Non gli è bastato, per la semplice ragione che la massa d'uomini da lui intruppata ed armata non sente questa guerra come una "guerra popolare" di emancipazione e di resistenza, e ciò nonostante che certo ultra-nazionalismo serbo faccia di tutto per spingerlo a tanto.
Per questo si è dato fiato alle trombe della più truculenta campagna di persuasione pubblicitaria, immediatamente ritrasmessa qui da papa, Pannella, "pacifisti" e letamaio vario, al fine di provocare un intervento diretto occidentale. L'ultimo decisivo "scoop" è stato quello della granata "serba" sul mercato, che ogni persona di buon senso sa ormai da dove è sbucata (la France-Press lo ha ammesso pressoché ufficialmente).
Ed eccoci all'intervento della NATO (o dell'ONU? Fa lo stesso, vero?) per respingere i serbi da Sarajevo così da permettere agli ex-sessantottini Liguori e Capuozzo di svolgere con maggiori comfort il loro lavoro mercenario, e pazienza se nessuno impianta linee di trasmissione TV a Mostar...
Solo che tale intervento non poteva aver nulla a che fare con le speranze di riacquistata "sovranità" di Izetbegovic neppure su una parte della Bosnia. L'interesse al contenimento dei serbi (che, per altro, non hanno mai puntato alla conquista di Sarajevo) fa tutt'uno non con quello del ristabilimento di una Bosnia-Erzegovina unitaria, ma con quello del suo cronico smembramento e della sempre più esplicita presenza da padroni nell'area delle potenze occidentali (salvo poi a scannarsi per vedere a chi spetti l'osso o in che parti esso vada diviso).
In questo quadro è intervenuta, "fulmine a ciel sereno", l'iniziativa della Russia. Questa, da una parte, è andata incontro agli interessi occidentali di cui sopra, evitando l'impantanamento diretto in una guerra balcanica; dall'altra ha introdotto un ulteriore elemento di complicazione, riproiettando sulla scena diplomatica, e non solo..., di un concorrente troppo presto dato per spacciato (e con buona pace di quei "sinistri" che avevano diffuso la favola di un El'tzyn quale semplice "fantoccio" dell'Occidente). Lo si è visto immediatamente: complimenti a El'tzyn dalla Casa Bianca e, qualche giorno dopo, la "scoperta" di un super-spione al servizio di Mosca all'interno della CIA, caso definito "molto serio" da Clinton. Su buona parte della nostra "libera" stampa, poi, sono subito piovute le preoccupazioni per il ritorno "offensivo" della Russia in direzione del Mediterraneo sull'orma di Stalin, dello zarismo, del panslavismo e chi più ne ha più ne metta.
Benissimo. Noi ci rallegriamo, all'opposto, di questa nuova intromissione nei Balcani. Non certo perché essa rappresenti un argine all'imperialismo né, tantomeno, perchè preluda ad un qualche ritorno del "comunismo", come già par di sentire da qualche parte. No. Semplicemente perché essa, mentre provvisoriamente costituisce un freno alla libera ed esclusiva manomissione occidentale, oggettivamente indebolendo il polo primo della controrivoluzione mondiale ed incoraggiando anche al di fuori di quest'area un ritorno offensivo contro di esso da parte dei popoli dominati e controllati, va ad esacerbare ancor di più i contrasti imperialisti nell'area e potrebbe avvicinare il momento in cui le martoriate popolazioni di essa saranno portate a reagire contro questa congerie di padroni esterni e di kamikaze interni a loro servizio ritrovando la via della propria unità inter-etnica e di classe. La cosa, va da sé, è tutt'altro che automatica, e dipende in primo luogo dalla presenza in loco e qui di forze politiche organizzate a ciò orientate (punto su cui, al momento, registriamo un passivo spaventoso).
Sugli scenari futuri di un'ulteriore complicazione della questione balcanica ritorneremo nel prossimo numero data la complessità del problema, che travalica ormai apertamente i confini ex-jugoslavi, pedina di un gioco di ben più vasta portata internazionale.
Vogliamo piuttosto chiudere con qualche osservazione sul nostro paese.
Lato governativo. L'Italia, dopo essersi messa diligentemente al rimorchio dei grandi manovratori (austro-tedeschi in primis) nella fase preparatoria del conflitto con la speranza di poterci molto lucrare con scarsa spesa, appare oggi chiaramente tagliata fuori da ogni e qualsiasi influenza decisiva nell'area ed, oramai, non entra neppure più nella finzione di una potenza da convocare ai tavoli delle consultazioni in materia. Restano all'Italia solo le basi militari da mettere a servizio degli altri, di chi conta sul serio. Cosa che i nostri governanti diligentemente fanno. Ed è ridicolo lo zelo con cui lo sciovinismo anti-serbo a senso unico e le invocazioni all'intervento dell'Occidente (Unità e santorini vari in prima fila) si accompagna alla rinunzia di far valere queste armi in proprio, in nome degli interessi del nostro imperialismo.
A destra, Fini ha rilanciato demagogicamente la questione del ritorno dell'Istria e della Dalmazia all'Italia, ma, vivaddio!, da ottenersi a suon di "trattative tra le parti". Proprio vero che il fascismo (tradizionale) è finito, se anche costoro si addobbano a sostituire al legionarismo dannunziano il legionarismo delle consultazioni e dei voti!
Andreatta ha risposto "sdegnato" a Fini: stai compromettendo l'immagine dell'Italia pacifica e democratica. Che faccia tosta! In forza di quale pacifismo, di quale democrazia la sua parte ha contribuito a smembrare la Jugoslavia? E che cosa di diverso si aspettava da ciò se non una riconquista con gli interessi delle "terre strappate al nostro paese da Tito" al di là del riconoscimento formale dei nuovi confini esistenti? E quale sarebbe l'alternativa attuale alle "proposte" di Fini, se non quella del riconoscimento della conquista altrui di quelle terre, con in sovrappiù l'offerta delle nostre basi militari a tale scopo? Cornuti e mazziati sì, potete pur dichiararvi, ma quanto al resto (pace, democrazia, legalità...) lasciate stare, per favore...
Lato politico. Identico coro di voci insieme a favore dell'Occidente e contro le popolazioni della ex-Jugoslavia. Salvo le poche voci schierate contro l'intervento occidentale (ma magari per esultare di quello russo), tutti sono perché "si fermi la guerra" occupando quei cieli e quelle terre. "Pacificamente", aggiungono i "beati costruttori di pace", e noi replichiamo: se così dev'essere, meglio che si scontrino le armi, perché una colonizzazione indolore dei Balcani da parte dell'Occidente sarebbe la peggiore delle eventualità.
Ma, come altra volta ricordavamo, l'effetto della campagna di mobilitazione interventista nei Balcani non si riduce a questo solo scopo. Essa ha per oggetto la preparazione del clima di guerra qui e per zone e scopi d'intervento assai più estesi e micidiali e ciò previa la smobilitazione qui del fronte di classe.
E' un pessimo segno dei tempi che di fronte a tutto ciò nessuna voce "autorevole" in seno al movimento operaio si sia levata per chiamare alla riflessione ed alla protesta le masse del proletariato ed, anzi, la si sia convinta ad un tacito appoggio o all'astensione (come nel caso di Rifondazione) su una materia come questa che è intimamente connessa alle sorti generali della classe in Italia. Chi tradisce o non vede il soggetto proletario cui riallacciarsi e da sostenere in Jugoslavia non vede e tradisce il nostro proletariato, e con esso la causa internazionale del proletariato.