Messico e America Latina
La rivolta dei contadini del Chapas, momento di scontro reale delle masse diseredate messicane con l'imperialismo, è stata svilita oltre ogni modo dalla propaganda borghese e riformista; epurata dall'oggettiva potenzialità di classe e confinata tra gli episodi di endemica e passeggera insofferenza contadina. Condendo la vicenda con lacrimevoli proclami di indignazione per "gli eccessi della repressione", la stampa europea ne ha esaltato il presunto carattere primitivo, l'isolamento e la dimensione etnica. In realtà i nostri giornali padronali, mentre hanno schifosamente utilizzato le vittime della lotta per allestire un pò di propaganda contro il concorrente statunitense, vero mandante della repressione, hanno tirato un gran sospiro di sollievo allorché il governo messicano è riuscito, temporaneamente, ad isolare la ribellione contadina dalla massa degli sfruttati di tutte le regioni messicane e soprattutto dalla classe operaia dei centri industriali. Lungi dall'esprimere una qualsiasi forma di appoggio alla rivolta del Chapas, il paternalismo borghese e l'indignazione europea dimostrano la sola e semplice rabbia di non aver avuto la possibilità di affamare in prima persona il proletariato messicano, intralciati dal grande ritorno statunitense sancito dagli accordi NAFTA.
Ma nonostante l'impegno politico e militare della borghesia internazionale per allestire un cordone sanitario contro l'estensione della rivolta, essa ha avuto immediatamente una eco diretta fin nel cuore del proletariato industriale. Una grande manifestazione proletaria ha sfilato per le vie di città del Messico contro gli accordi Nafta ed in sostegno della lotta contadina. Ciò sia ricordato mille volte a coloro i quali, da "sinistra", si sono impegnati a ribadire proprio il carattere localistico della lotta. Colonne di solidarietà si sono sprecate sui giornali "neo-progressisti" con accenti di indignazione per il comportamento ed il ruolo dell'amministrazione clintoniana, per altri versi sostenuta come esempio del futuro progressista italiano, non senza indulgere nell'accreditare il volto umano del governo italiano (da notare che è stato proprio il governo italiano, per difendere i propri vasti "interessi" in Messico, a finanziare la ristrutturazione di quel ministero degli interni che insieme all'esercito ha eseguito l'ordine imperialista di stroncare la lotta). Gli accenti di solidarietà, colorati di cristiano pietismo, hanno battuto unicamente sulla innocenza politica della protesta e sulla inutilità della reazione violenta, mettendo in sordina proprio la sacrosanta eversività delle richieste minime contadine rispetto all'ordine imperialista imposto nel paese ed il loro intimo ed oggettivo legame con gli scioperi e le manifestazioni degli operai messicani contro la ristrutturazione capitalistico-imperialista in atto. La crudezza della repressione ha ben mostrato quanto sia temuta l'insorgenza delle masse messicane, non circoscrivibile negli ambiti della lotta contadina del Chapas; una vera e propria miccia accesa che arde sulla miseria e lo sfruttamento dell'intero continente latino americano, ben oltre i confini dello stesso Messico.
L'"ingordigia imperialista" (che molte volte nelle denunce progressiste diventa la pura e semplice bestialità del solo governo messicano), che non si arresta neppure di fronte alle richieste "più legittime", è il frutto dell'asfissia del capitale internazionale, che per sopravvivere ha sfondato anche le ultime barriere di protezione erette in paesi come il Messico. La calata delle fabbriche e dei capitali statunitensi e la feroce ristrutturazione che ha abolito in pochi anni la maggior parte delle garanzie della classe operaia messicana ed ha iscritto il governo di questo paese tra le fila di quelli guidati direttamente dall'imperialismo, ha unificato la sorte di milioni di sfruttati e proletari nel Messico, legandola a quella degli stessi operai del nord America.
Se è vero che l'ideologia zapatista con cui si è espressa la rivolta del Chapas, rispecchia tutti i limiti di una rivolta contadina, il suo oggettivo potenziale va ben al di là dei confini etnici e localisti che proprio i suoi "massimi sostenitori" esaltano, sminuendone in realtà il contenuto. Le isolate ed inconsistenti comuni di Emiliano Zapata erano molto più lontane dallo scontro di classe e dalla vera soluzione dello stesso problema contadino delle rivisitazioni attuali del Fronte Zapatista del Chapas. Gli "encasellados" del Chapas, schiavi del latifondo - privati anche del loro piccolo mercato di sussistenza, rovinati dalle banche e dall'ingresso dei capitali e delle merci USA - ritrovano un necessario fronte di riferimento nel proletariato, ormai costituito e non privo di tradizioni organizzative, mentre perdono la direzione nazionalistica nella borghesia locale, che ha ormai emesso da tempo gli ultimi vagiti antimperialisti. Ma soprattutto si inseriscono nel processo di unificazione tra le sorti del proletariato latinoamericano e quello statunitense. Nel mentre del sud del paese scoppiava la rivolta contadina, gli Stati Uniti, per bocca del governo messicano ammonivano gli operai in sciopero di una fabbrica a capitale nord americano: "non apriremo nessuna trattativa fino a quando non cesseranno i rapporti tra gli operai messicani e quelli del sindacato statunitense". Un ammonimento ricco di insegnamenti sui passi avanti dello scontro di classe internazionale e dell'unificazione del proletariato, molto più avanti di quanto non vedano coloro i quali hanno ridotto la rivolta del Chapas ad una specie di nostalgica e inconcludente rivisitazione della figura di Emiliano Zapata.