PERÙ

Sendero luminoso: verso quale meta?

Indice

Scheda


"Iniziare il gran salto"

La stampa borghese ha cominciato a parlare di SL solo dopo i numerosi black-out provocati a Lima assieme ad incendi di boschi, visibili dalla città al buio, a forma di falce e martello. Per lo più questo gruppo viene definito terrorista, maoista, polpottista. Gli viene riconosciuta una certa forza organizzata, ma si insinua che si finanzia con il narco-traffico e che attua, nelle zone di sua maggiore presenza, un dominio basato sul terrore. Per esempio, in occasione delle elezioni parlamentari e presidenziali del 14.4.85 quasi tutti i quotidiani hanno riportato la notizia - di fonte governativa - che i senderisti avrebbero tagliato le dita ad alcuni contadini per impedirgli di votare e minacciare tutti gli altri a seguire l'indicazione di astenersi dal voto.

Ma chi è veramente SL e cosa si propone?

SL ritiene che il Perù sia un paese arretrato, semi-coloniale e semi-feudale, in cui c'è anche capitalismo, ma "non è proprio del nostro paese", è reazionario e "legato agli interessi della feudalità".

L'ordine reazionario mantenuto dall'alta borghesia, per conto e con il sostegno dell'imperialismo, impedisce lo sviluppo delle "potenti forze produttive" del popolo e non permette di risolvere il problema della terra e quello nazionale. Questi due problemi, secondo SL, vanno risolti prima di una rivoluzione socialista, con una TAPPA specifica, quella della rivoluzione democratica-nazionale, fatta dal popolo, cioè dall' alleanza delle 4 classi, di cui 3 costituiscono il "tronco costante" (operai, contadini, piccola borghesia) e la quarta - la borghesia nazionale - può "talvolta unirsi". In ogni caso l'obiettivo che unifica il blocco è lo sviluppo del capitalismo, quindi anche senza il ruolo attivo della borghesia nazionale esso si fa carico dei problemi di questa classe, la quale vorrebbe "sfruttare gli operai in industrie proprie", ma la debolezza in cui l'imperialismo e il latifondo la costringono non glielo consente. Naturalmente, già in questa prima tappa SL ritiene possibile inserire "elementi di socialismo", quali le cooperative nelle campagne, nonché sviluppare la "tradizione di tipo socialista che ha le sue origini nell'impero incaico", che "era una società schiavista, però molte forme di organizzazione erano di tipo socialista". Come giungere a questa tappa "Nuova Democrazia" che renderà il paese libero dall'imperialismo e farà la "patria libera e sovrana"? SL delinea una strategia di "guerra di lunga durata" fondata sull'accerchiamento delle città da parte della campagna, in cui la campagna è il bastione della rivoluzione e isola l'imperialismo nelle città, ove il proletariato dovrebbe contribuire a creare le condizioni per l'assalto finale con "azioni armate al servizio della campagna". La fase attuale, definita "Iniziare il gran salto", sarebbe caratterizzata dall'esistenza di due repubbliche, una democratica e l'altra reazionaria, e consiste nel fare emergere la prima come aspetto principale nella contraddizione con la seconda, attraverso l'estensione delle "basi d'appoggio" nelle campagne, in cui il nuovo potere viene già esercitato (dai Comitati popolari) e difeso con le armi. Il mezzo per raggiungere tali obiettivi è la lotta armata iniziata dal PCP che si va estendendo come "guerra di guerriglia combattuta dall'Esercito Guerrigliero Popolare".

Rivoluzione ininterrotta o "per tappe"?

Questa "concezione rivoluzionaria" è mutuata da quella maoista, che costituiva già un completo stravolgimento della strategia rivoluzionaria marxista nei paesi con condizioni economiche arretrate, attuata dai bolscevichi nella Russia del '17.

Per Lenin la rivoluzione ininterrotta non deve avere soluzione di continuità tra l'insurrezione proletaria e contadina, che in un primo momento assume la forma di dittatura operaia e contadina, e il suo trascrescere in dittatura solo operaia. La congiunzione immediata tra questi due momenti è resa possibile solo dalla vittoria del proletariato in alcuni almeno dei paesi capitalisti avanzati. Per questo il compito essenziale cui il potere bolscevico si rivolse fu proprio la creazione dell'Internazionale e l'estensione della rivoluzione: la Russia rossa, insomma, al servizio della rivoluzione mondiale.

Mantenere il potere in un paese arretrato, contando solo sulle "proprie forze", è una ipotesi presa in considerazione da Lenin solo nel caso che la rivoluzione non si fosse estesa in Europa; in tal caso sarebbero occorsi "venti anni di buoni rapporti con i contadini", ossia di sviluppo capitalistico diretto dal proletariato al potere, con tutte le difficoltà che ciò avrebbe comportato nella tenuta stessa del potere proletario nella prospettiva obbligata della rivoluzione internazionale (Trotzkij per estremizzare il concetto contro Stalin parla di "anche 50 anni").

Per Mao, invece, i due momenti non solo hanno soluzione di continuità, ma si estendono fino a diventare tappe ben distinte, di cui quella "capitalistico-democratica-nazionale" è certa, quella "socialista" è... nel desiderio, e in realtà diviene impossibile perché gli interessi dei contadini, della piccola borghesia e della borghesia nazionale cozzano violentemente con il socialismo. Un potere basato su queste classi non può che tendere a stabilizzare il nuovo stato, e rivendicare rapporti di parità con gli altri stati, non certo tendere ad esportare la rivoluzione, meno che mai quella socialista, la cui accettazione equivarrebbe, per queste classi, ad una auto-negazione, che solo inguaribili idealisti possono credere di determinare a suon di "rivoluzioni culturali", condite, magari, di "adeguate purghe".

Le condizioni economico-sociali della Cina della prima metà del secolo XX, in cui predominava l'antica società basata sul modo asiatico di produzione, erano sottoposte a potenti spinte, provenienti dall'esterno, che ne esigevano un completo rivolgimento.

Questo poteva prendere due strade:

  1. simile alla russa: rivoluzione proletaria e contadina che si immetteva nel corso del socialismo trovando riscontro in rivoluzioni in altri paesi;
  2. rivoluzione borghese che, distrutto l'involucro della vecchia società, aprisse la strada ai moderni rapporti capitalistici di produzione.

Alcune condizioni storiche favorirono questa seconda possibilità. Tra queste non fu secondaria la debolezza strutturale del proletariato, indebolito ancora di più sul piano politico dalla degenerazione dell'Internazionale che aveva distrutto tutta la strategia di Lenin e di Bakù sulla rivoluzione socialista nei paesi arretrati, mettendo le masse proletarie che la seguivano al servizio della borghesia nazionale, giungendo a tollerare la repressione antioperaia (e anti-contadina) del '27 per favorire il Kuomingtang.

Il blocco delle 4 classi aveva, quindi, un cemento reale: abbattere le vecchie classi al potere, respingere l'imperialismo invasore, liberare le forze produttive capitalistiche compresse dalle prime e dal secondo. Esso dovette, comunque, cercare di attrarre a sé il proletariato sotto la promessa di socialismo. Ciò che produsse fu una rivoluzione borghese, con alcuni caratteri di statalizzazione, cooperazione, ecc. che non rappresentavano in alcun modo degli elementi suscettibili di trascrescere verso il socialismo bensì rispondevano alla necessità, data la debolezza capitalistica di partenza, di concentrare e meglio dirigere le forze per accelerare il processo di sviluppo capitalistico.

Quella maoista non fu una rivoluzione socialista neanche al modo del '17 (potere politico nelle mani del proletariato, pur provvisoriamente alleato ai soli contadini), ma adempì il compito, del tutto borghese, di aprire in Cina l'epoca del capitalismo.

Paese semifeudale?

Il Perù di oggi e forse nelle stesse condizioni della Cina pre-rivoluzionaria?

L'economia peruviana più che sulla agricoltura si basa sull'estrazione mineraria, sulla pesca, sull'industria, sul commercio grande e piccolo. Già nel '64 l'agricoltura partecipava al PNL con il 19,6% mentre il settore secondario raggiungeva il 37%. Oggi l'agricoltura occupa il 39% della forza lavoro e partecipa con il 12% al PNL, la sola industria occupa il 18% e ha il 40% del PNL.

Negli anni '60 i rapporti in agricoltura erano differenziati in tre grandi zone. Al Nord prevalevano grandi compagnie che utilizzavano mano d'opera salariata. Al centro convivevano grandi latifondi (con strutture già semi-moderne) e piccola proprietà. Al Sud prevaleva un sistema latifondista basato sulla concessione della terra in mini-fondi e contadini costretti a "servitù" sotto forma di giornate di lavoro gratuite nei fondi dei proprietari. Infatti il grande movimento di lotta nei primi anni '60 fu caratterizzato da forme di sindacalismo che al Nord rivendicavano miglioramenti nei rapporti di lavoro e al Sud lottavano contro gli sfratti dalle terre coltivate e per diminuire i lavori gratuiti (1).

I successivi approcci di riforma agraria, in particolare del governo militare "rivoluzionario" di Velasco Alvarado ('68-'75), hanno ulteriormente modificato la situazione, nel senso di "eliminare settori più antiquati della società tradizionale, aumentare la proporzione delle proprietà piccole e medie e trasformare il resto in salariati giornalieri" (2).

Secondo uno studio del '78 (3), in tutto il Perù solo lo 0,7% della terra è basata sul sistema feudale, e nella Sierra il 3,3%. Non ha, quindi, più senso parlare di contadini come "servi"; questa situazione è ormai largamente minoritaria. Al contrario si tratta in maggioranza di piccoli proprietari (anche nella forma di "comunità") che divengono salariati o semi-salariati agricoli, o sono costretti a inurbarsi per vivere con il piccolo commercio o i lavori precari nei servizi nelle bidonvilles.

Il capitalismo ormai domina nell'agricoltura, ne ha sconvolto la struttura tradizionale, disgregando le stesse comunità indigene, soprattutto nelle aree più esposte all'influenza urbana. Ha trasformato proprietari feudali in possessori di moneta, investita capitalisticamente nell'industria, nei servizi, nella speculazione, in agricoltura.

Certamente la borghesia peruviana ha fatto la riforma agraria alla sua maniera cioè non risollevando le condizioni di vita nelle campagne (oltre 1.000.000 di contadini posseggono, infatti, una porzione di terra ritenuta insoddisfacente ai minimi vitali e per questo sono costretti a vendere la propria forza-lavoro); ma solo per dirottare risorse economiche e umane all'ulteriore sviluppo del capitale industriale commerciale. C'è, quindi, in Perù un "problema della terra", ma non nei termini di abbattere il feudalesimo, bensì di favorire il miglioramento delle condizioni d vita in agricoltura, in alcuni casi aumentando la porzione di terra, ma soprattutto fornendo infrastrutture e capitali che elevino la produttività del suolo.

Quale sia, poi, la centralità della campagna, i dati della scheda lo chiariscono bene. Chi domina dunque, città o campagna? Chi decide, quindi, ai fini della rivoluzione, proletariato (e masse "marginali" urbane) o contadini?

Paese semi-coloniale?

SL ritiene il Perù un paese semi coloniale, e da ciò trae la conseguenza di porre al primo posto l'obiettivo antimperialistico di una patria libera e sovrana. Di sicuro il Perù subisce economicamente il dominio imperialista. Il proletariato è costretto a condizioni di vita e di lavoro particolarmente pesanti in funzione dell'estrazione del sovraprofitto; i contadini vedono ulteriormente ostacolate le possibilità di sopravvivenza dalle condizioni di arretratezza in cui l'imperialismo fa soggiacere l'economia agricola dei paesi dominati e controllati.

Ma le condizioni moderne di sfruttamento e dominio imperialista non vanno mai confuse con un ritorno o con un residuo arcaico coloniale o semi-coloniale.

Inoltre il governo militare aveva portato il capitale straniero complessivo dal 31 al 21% (quello statale dal 13 al 23), vantandosi di averlo escluso del tutto dal settore agro-alimentare e ridotto nelle miniere dall'87 al 38% Per quanto la politica di liberalizzazione del governo di Belaunde Terry abbia favorito il reinserimento di capitale straniero, il Perù non è una colonia yankee. Il problema è un altro: il Perù dipende dal mercato imperialista mondiale, è fortemente condizionato da esso anche attraverso il debito estero (13 miliardoll.), ma più che liberarsi da uno specifico dominatore straniero (per altro l'URSS fornisce 1'80% delle armi all'esercito, il capitale tedesco è fortemente presente, come testimoniano i saldi legami tra SPD e APRA, il partito vincitore delle ultime elezioni), un eventuale potere proletario e contadino deve assumere tra i suoi compiti quello dell'abolizione del prelievo imperialista della rendita e del sovrapprofitto, non in funzione di una tappa di capitalismo più "puro", libero e indipendente, sulla cui strada trovare o consolidare l'alleanza con la borghesia, ma per migliorare le condizioni di vita delle masse rivoluzionarie, rafforzarne il potere contro sia l'oppressione imperialista che quella borghese interna.

Quale rivoluzione

La realtà del Perù non è, dunque, di passaggio da condizioni semi-feudali a capitalistiche - se anche lo fosse, la strategia di SL non sarebbe lo stesso proletaria e socialista. Il capitalismo è il sistema di produzione che già domina in Perù. Le condizioni di debolezza cui esso è costretto dall'intero sistema imperialista mondiale, soprattutto nelle attuali condizioni di crisi, non hanno portato indietro la ruota della storia, anche se pongono freni al dispiegarsi completo della moderna lotta di classe allo stato "puro", in cui i contendenti siano solo due, operai e borghesia. (Notiamo solo di passaggio che tali livelli di purezza non saranno mai raggiunti neanche nel più sviluppato dei paesi capitalistici).

In Perù - a differenza dei grandi paesi capitalisti e similmente a paesi con condizioni economiche e sociali uguali alle peruviane - si pone al proletariato, urbano e rurale, la necessità di stabilire, ai fini della rivoluzione, una alleanza solida con le enormi masse di semi-proletariato urbano e con quelle dei contadini poveri. In che modo e per cosa?

  1. Condizione fondamentale è la completa autonomia politica di classe. Questa non è data da un partito che si professa comunista ma si basa sulla "centralità "contadina" e su di un programma borghese-democratico; prevede - invece - un partito che metta al centro del suo intervento il proletariato urbano e rurale, il semi-proletariato metropolitano, le loro necessità, le loro lotte, la loro organizzazione, formulando e battendosi per un programma rivoluzionario che:
  2. raccolga la spinta dei contadini a migliorare le proprie condizioni di vita, unificando le lotte operaie e contadine contro l'unico nemico: la borghesia in tutte le sue frazioni;
  3. per un potere socialista il cui compito fondamentale sia estendere la rivoluzione a tutta la regione latino-americana, consapevole di non potere, da solo, affrontare la "costruzione del socialismo", pena il cadere in ideologie piccolo-borghesi di costruzione, autarchica sì, ma di puro capitalismo, per quanto presuntamente basato su mitici socialismi arcaici.

Quanto SL sia lontano da tale prospettiva è del tutto evidente. La sua è una concezione rivoluzionaria che può al massimo realizzare l'aspirazione piccolo borghese di una patria libera e sovrana che organizza capitalismo fondandosi sulle proprie risorse, a partire da quelle della terra.

Esso esprime, in un certo senso, la spinta alla rivolta contadina che i nuovi livelli di oppressione imperialista, legati alla crisi capitalistica mondiale, stanno producendo in molte aree del pianeta, ma è, al contempo, la dimostrazione di come il movimento contadino non possa, di per sé andare oltre una rivendicazione di un capitalismo più democratico.

Capitalismo autarchico

Le condizioni di miseria in cui versano le masse proletarie, semi-proletarie e contadine del Perù, l'acuirsi della crisi economica e delle difficoltà di governo per la borghesia, possono in mancanza di una alternativa rivoluzionaria proletaria che emerga in tutto il sub-continente (e più in generale nel mondo), anche, in estrema ipotesi, favorire il successo di SL. Ciò, salvo cambiamenti tattici mai del tutto escludibili in gruppi stalinisti, darebbe vita ad una nuova esperienza di "capitalismo autarchico", che non avrebbe, comunque, oggi la possibilità di vivere a lungo. La borghesia finanziaria internazionale le presenterebbe subito il conto, non potendo tollerare, a causa della crisi che la attanaglia, una "enclave" di capitalismo indipendente. D'altra parte, la stessa economia peruviana avrebbe ben poca speranza di sopravvivere fuori dal mercato mondiale, salvo imporre un ulteriore peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro del proletariato e degli stessi contadini, disabituati nella stragrande maggioranza già ora ad una economia di auto-consumo e dipendenti dal capitalismo anche per la fornitura degli strumenti minimi di produzione, e raggiunti anche nei villaggi più remoti da merci estere. Pur se vittoriosa, insomma, la prospettiva di SL sarebbe del tutto illusoria.

L'internazionalismo maoista, ovvero: la somma di nazionalismi

SL avendo come compito per tutta una "tappa" quello di sviluppare capitalismo, non potrebbe certamente usare il suo stato per diffondere la rivoluzione sociale in altri paesi, e finirebbe con il cercare di attuare una politica estera simile a quella di Stalin e di Mao, o, più probabilmente, date le dimensioni, simile a quella di Hoxha, di completo isolamento.

In una intervista ad un rappresentante dei familiari dei detenuti politici peruviani ("Agit/prop", aprile-maggio '85), alla domanda sulla necessità della solidarietà internazionale, questi risponde che "...si discuterà ciò solo dopo che la rivoluzione ha vinto, perché è un problema di rapporti tra stati". Che una eventuale vittoria di SL cerchi la sua solidarietà nel proletariato mondiale è del tutto escluso. Come, d'altra parte, potrebbe fare ciò un potere piccolo borghese e contadino, con agganci alla borghesia nazionale, desideroso di essere più libero nel suo capitalismo?

Su questo, comunque, SL ha fin d'ora tutta la comprensione del M.R.I. (v. scheda). Quest'ultimo, così come comprende e difende lo sforzo di Stalin per "costruire il socialismo in Russia", difende tutte le scelte fatte dall'URSS per difendersi come stato nel corso della 2a guerra mondiale. Tutt'al più condanna l'azione dei partiti comunisti che subordinarono la loro linea alle esigenze politiche dell'URSS.

L'"internazionalismo" del MRI è di marca tutta particolare, visto che, per esempio, nella strenua difesa di Mao considera che sia stato un errore assolutamente secondario (un peccatino veniale) il fatto che questi indicava l'imperialismo USA come nemico principale del proletariato europeo, e lo spingeva a fare concorrenza con la borghesia a chi difendeva meglio gli interessi nazionali (tralasciamo di considerare il giudizio sulle altre svolte maoiste). Il fatto che il MRI riconosca l'errore, per quanto veniale, potrebbe far ben sperare. Niente paura; il partito deve avere "saldezza strategica e flessibilità tattica" sufficienti a fargli comprendere tutte le contraddizioni specifiche dei vari paesi e delle varie situazioni, al punto tale che ogni rivoluzione fa storia a sé e non deve disturbare le altre. L'internazionale è per il MRI più che altro una federazione (anche meno, forse) di partiti diversi, ognuno con le sue specificità nazionali, il che è coerente con la credenza che la rivoluzione possa darsi in ogni momento, la sua condizione fondamentale essendo l'esistenza del partito e la sua capacità di sviluppare il movimento politico di massa. È vero che, lo ammette il MRI, nei paesi imperialisti ciò avviene più raramente ("il momento più favorevole è dato dalla guerra"), ma esso non avverte neanche il bisogno di indagare quali sono le condizioni oggettive che determinano fasi di crisi rivoluzionaria estesa a tutto il mondo, bastano l'intelligenza e la capacità dei maoisti a far crescere il movimento rivoluzionario, previa una aperta spaccatura preliminare con l'aristocrazia operaia, puntello sociale dell'imperialismo.

Nonostante gli sforzi per delineare una linea strategica per i paesi imperialisti diversa da quella che Mao ha fissato per i paesi arretrati e più o meno fedelmente ripresa da Gonzalo, il MRI non riesce neanche lontanamente ad immaginare cosa sia un processo rivoluzionario internazionale, tanto è vero che continua a preoccuparsi su come migliorare, dopo le esperienze russa e cinese, la via alla costruzione del socialismo in un solo paese. Per ora è fermo nella convinzione che la linea da sviluppare è quella maoista che con la Rivoluzione Culturale avrebbe aggredito le sovrastrutture rimaste inalterate dopo che le strutture erano state rivoluzionate. Anche Mao, però, ha fatto degli errori. Il MRI li risolverà.

Scheda

Sendero Luminoso. Il suo vero nome è Partito Comunista del Perù (PCP), detto SL da una frase - citata in uno dei suoi primi documenti - José Carlos Mariategui, fondatore nel '28 del PCP, cui SL dice di ricollegarsi. Con la scissione dei '64 si schiera con Mao e la Cina e comincia a riorganizzarsi sotto la guida del "compagno Gonzalo", Abimael Gùzman, ex professore universitario: "quarta spada" del marxismo, dopo Marx, Lenin e Mao. Nel '69 inizia una penetrazione nelle zone agricole andine del centro-sud, in particolare nella provincia di Ayacucho, popolata in maggioranza da indios di lingua Quechua, tra le più povere del paese. In quella stessa zona aveva cercato di radicarsi la guerriglia "fochista" e castrista del MIR nel '65, rimanendo del tutto isolata, anche a causa delle difficoltà della lingua, e facilmente sconfitta dal governo.

SL, invece, impiega 10 anni a radicarsi nella zona, adeguandosi agli usi, costumi e lingua della popolazione locale, e scatena nel maggio '80 la sua guerra di lunga durata costellata di migliaia di attentati di vario genere, cui il governo di Belaunde risponde prima con la polizia e i suoi corpi speciali (Sinchis) poi con l'uso dell'esercito, fino alla dichiarazione di stato d'assedio in 24 provincie su un totale di 145 (il che testimonia anche dell'estensione di SL). La "sporca guerra" ha causato, secondo alcune fonti, già 10.000 morti in totale, oltre a migliaia di "desapareddos".

La lotta armata si è diffusa fuori di Ayacucho anche con azioni spettacolari come i black-out. Difficile valutare il grado di influenza di SL. Ad una manifestazione ad Ayacucho per i funerali di Edith Lagos, una militante uccisa dai governativi, parteciparono nel settembre '32 10.000 persone, secondo fonti ufficiali, 30.000 secondo fonti vicine a SL. Un numero considerevole per una città che non supera i 100.000 abitanti.

Dall'altro lato sembra probabile che SL risenta delle rivalità delle comunità indie, se è vero che una di queste, armata dal governo come altre, ha ucciso nel gennaio '83, 8 giornalisti scambiandoli per senderistas. Della cosa, all'inizio era stato accusato lo stesso SL.

Da poco tempo è apparso un altro gruppo che pratica la lotta armata, Tupac Amaru attivo soprattutto nelle città. SL ne prende le distanze, pur tollerandone l'attività in nome del pluralismo delle forze guerrigliere.

Le notizie su SL non sono di facile reperibilità.

Oltre a cercare di leggere tra le righe della stampa borghese, chi volesse saperne di più deve limitarsi a un opuscolo – "Sviluppiamo la guerra di guerriglia" del PCP, Comitato Centrale 1982, e un Dossier - "Sosteniamo la lotta del popolo peruviano" – del Comitato di Sostegno Internazionale con la lotta dei popoli oppressi, comunque sufficienti a comprenderne linea politica e obiettivi, e alcune interviste su Agit/prop di aprile-maggio '85. Da questi scritti sono tratte le citazioni dell'articolo.

Perù. 1.300.000 Kmq. 19.000.000 di abitanti, di cui 6.000.000 a Lima-Callao, la capitale. La popolazione è composta da amerindi (50%) meticci (33%) creoli (12%), neri e mulatti. Popolazione rurale, nell'84, 39% (nel '40 64,7%). A Lima nel 1977 c'era 1/3 della popolazione complessiva del Perù, 2/3 della popolazione attiva, il 54% delle industrie, l'economia di Lima forniva il 52% del PNL, il 90% delle entrate tributarie e utilizzava il 52% delle uscite.

È tra i primi 10 produttori mondiali di rame, piombo, zinco e argento. Nel 1983 il PNL è crollato del 12% (anche per cause naturali), l'inflazione è aumentata del 125% secondo le statistiche ufficiali la disoccupazione è al 7% e la sottoccupazione (concentrata nelle aree urbane) al 55%. La crisi economica ha portato alla fame masse di semiproletari e contadini, acuito le condizioni di vita del proletariato, ma anche di strati intermedi (8.000 poliziotti seno stati arrestati o denunciati per furti compiuti per arrotondare lo stipendio).

La lotta di classe è stata storicamente molto accesa sia nel proletariato che nelle campagne. Anche le masse marginali delle città hanno iniziato da lungo tempo un percorso di lotta per i loro bisogni.

Dopo 12 anni di "socialismo militare" dall'80 il paese è tornato ad una democrazia parlamentare che ora sarà diretta dall'APRA, il partito più antico del Perù, cui finora i militari avevano sempre impedito di governare.

Movimento rivoluzionario internazionalista. Sorto nel marzo '84, per iniziativa di 14 organizzazioni di vari paesi (due indiane, due colombiane, una iraniana, ecc.) cui ha aderito anche SL. Si rifà al maoismo nella versione della "banda dei quattro". Ai suoi padri riconosciuti, Stalin e Mao, imputa solo qualche errore. Dà molta importanza alle "lotte di liberazione nazionale" perché introducono falle nel sistema imperialista e sono la prima tappa verso la costruzione del socialismo. Deve già avere dei problemi al suo interno dato che in una pubblicazione di Agit/prop, la quale dichiara di riprendere i contenuti del documento iniziale del MRI, troviamo una avvertenza, rivolta al MRI, a non lasciarsi prendere da "una pratica centrista e conciliatrice" e la promessa di svolgere "una critica alle posizioni che riteniamo errate su alcuni problemi persistenti anche nell'ala più avanzata del nuovo Movimento Comunista Internazionale".

 


Note

  1. Hugo Neira, "Perché?", Samonà e Savelli, 1970.[Ritorna]
  2. Anibal Quijanno Obregòn, "Tendencias en el desarrollo y la estructura de clases del Perù y en America Latina: reforma o revoluciòn?", Editorial Tiempo Contemporaneo, Buenos Aires. [Ritorna]
  3. Diego Garcia Sayàn - Fernando Eguren, "AGRO: clases, campesinado y revolucana, Lima, 1980. [Ritorna]