Ma l’emergenza è appena cominciata


Mentre c'è chi fantastica di superare l'emergenza, la cruda realtà ci ripropone la continuazione e il rafforzamento della repressione.

Se non ci fosse l'abitudine di guardare il mondo dal buco della serratura del "proprio" paese, basterebbe inanellare una serie di nomi: Sud Africa, Bolivia, Cile, Salvador, Filippine, India. E il discorso sarebbe già finito. O quanto meno, già la questione dell' "emergenza" sarebbe posta nella sua dimensione più adeguata e con i riferimenti immediati più chiari.

Ma questa abitudine, purtroppo, in Italia c'è, e fortemente radicata, per cui si tratta non solo di contestarla nella sua ottica di fondo ristretta e "localista", ma di dimostrarne la completa infondatezza anche in riferimento alla stessa situazione italiana.

Negli anni passati era dominante nel "movimento" la convinzione che la repressione statale avesse come bersaglio immediato e finale le "organizzazioni combattenti" ovvero "i comunisti", e che fosse una risposta statale all' "antagonismo" che in queste organizzazioni si esprimeva. Se questa teoria fosse stata vera, oggi che queste forze sono ridotte ad un livello minimo di consistenza e la loro attività "militare" è pressoché scomparsa, nonché la grande maggioranza degli ex-aderenti si è apertamente "dialettizata" con le istituzioni borghesi, oggi, dunque, quale senso avrebbe la continuazione del la repressione? Nessuno. L'Italia, e non da ora, dovrebbe essere avviata a ridiventare, secondo il motto di Cossiga, "il paese più libero del mondo". E davvero, se si leggessero ancora certi testi di qualche anno fa, e li si prendesse per buoni, ci sarebbe da meravigliarsi a leggere ancora di arresti, denunce, perquisizioni, precettazioni, e così via.

Che tutto questo sia per caso il frutto di alcuni magistrati innamorati pazzi dell'emergenza?

Noi non lo crediamo affatto. Notiamo invece che mentre si estende una legislazione e una pratica premiale verso chi collabora con lo Stato, dall'altro lato procede e si allarga la repressione verso chi tale collaborazione rifiuta e, soprattutto, si rafforza l'insieme dei meccanismi che vanno a colpire le libertà di lotta e di organizzazione delle masse proletarie.

Qualche esempio, nel primo campo e nel secondo. L'inchiesta contro il coordinamento dei comitati contro la repressione si è andata in questi mesi estendendo, con nuovi arresti a Milano, a Venezia, a Vicenza. E con una novità, che sono stati colpiti e forzosamente unificati sotto un unico disegno organizzativo militanti appartenenti ad aree diverse ("il Bollettino", "Combat", etc.). Quasi contestualmente si apriva a Milano la catena degli arresti tra ex appartenenti ad Avanguardia Operaia, con la minaccia di "ripescare" l'inchiesta Viola e addirittura il "rapporto Mama", che suggeriva la messa in libertà vigilata di almeno 20.000 persone nella sola Milano...

Regolamento di conti con il passato? Neanche per idea. Il problema è, nel primo caso, scoraggiare, con l'arresto di alcuni militanti, limitati ma reali settori sociali che negli scorsi mesi non avevano lasciato le piazze (l'esperienza più significativa è quella del Comitato per il ritiro delle truppe italiane dal Libano), settori che visto il permanere e l'aggravarsi tendenziale di date contraddizioni, avrebbero potuto tornare a scendere in lotta in futuro. Quanto, poi, agli arresti nell'area d i DP (si badi bene, è in questo caso colpita un'organizzazione interna alle istituzioni!), è ben chiaro come, negli apparati politici e repressivi, di Ramelli non interessi un tubo, il potrebbe fare alle misure antioperaie e ricattare l'area operaia che intorno alla stessa DP si andava spostando.

Ancora più diretto è lo scopo antiproletario di misure tipo la denunzia degli operai Alfa Romeo attivi nei picchetti dei mesi scorsi contro la cassa integrazione, denuncia che si collega ad altre contro decine di picchettanti in Lombardia, che si collega all'arresto di delegati sindacali in Sicilia e così via. Né si può scordare che l'ultimo anno ha visto sotto la incessante pressione oggettiva della crisi (ecco la grande regista assente da certi "ragionamenti") concludersi due importanti patti per la restrizione del diritto di sciopero nelle ferrovie e nelle aziende IRI, con l'introduzione di nuove regole, nuovi vincoli, nuove procedure di preavviso e lo svuotamento di ogni "potere di sciopero" delle stesse istanze sindacali di base.

Qui è il punto: il nesso tra crisi e repressione. Anche negli scorsi anni l'apprestamento della legislazione di emergenza, di nuovi specializzati apparati, di metodologie per lo schieramento dell'opinione pubblica era, più o meno coscientemente, ma con certezza, finalizzato a blindare lo stato in previsione della inesorabile acutizzazione dello scontro di classe, in previsione della scesa in campo del proletariato.

Ora, grandi danni sono stati prodotti da una linea di lotta contro la repressione che nulla ha fatto per coinvolgere la massa proletaria nella difesa di chi veniva al momento colpito. Negli anni passati era quasi un punto d'onore, anzi, che fosse l'avanguardia a rispondere, colpo su colpo, "innalzando il livello dello scontro". Non sarà facile, neppure per noi che tale linea abbiamo sempre contrastato, recuperare i guasti prodotti anche in questo campo dal soggettivismo... ma è l'unica strada.