Dossier "La crisi del Golfo"

I PUNTI CENTRALI 
PER L'AZIONE POLITICA DEI COMUNISTI


A conclusione: ci siamo sin qui ampiamente (e mai a sufficienza, forse) diffusi sugli elementi di analisi dello scontro in atto, ma crediamo anche sia risultato chiaro al lettore come questi elementi non sono altro che la necessaria propedeutica di una conseguente azione politica. Al termine di questo lavoro riassumiamo qui, e pazienza se ci ripetiamo, i punti attorno ai quali chiamiamo ad incentrarsi l'intervento dei militanti comunisti.

1) Denuncia inequivoca dell'aggressione imperialista all'Iraq ed all'insieme del mondo araboislamico sfruttato. In quanto volta ad impedire a questi popoli di poter disporre delle proprie risorse, sottraendole alla rapina imperialista ed indirizzandole al proprio sviluppo (diritto, questo, che può essere acquisito solo attraverso uno scontro vittorioso con l'imperialismo e cioè, in ultima istanza, con l'affermazione del socialismo).

Piena valorizzazione, quindi, della rivolta anti-imperialista, indipendentemente da chi l'abbia "promossa" o la stia "guidando", perché il motore fondamentale di essa è l' inconciliabilità tra mondo degli sfruttati e interessi dei predatori imperialisti.

Denuncia specifica nei confronti del "nostro" governo, della "nostra" borghesia: sappiamo bene che chi tira la cordata imperialista sono gli USA, ma essi lo fanno (a proprio prioritario vantaggio) nell'interesse di tutta la banda e con la complicità di tutti gli elementi di essa. La ripulsa dell'imperialismo USA non può avere senso costruttivo se non si comincia a combattere qui la battaglia, contro il "nemico in casa nostra" quale "nemico numero uno". Un certo "anti-imperialismo" in chiave "esclusivamente" anti-USA, ove ometta di porre al centro dell'azione rivoluzionaria il nemico di qui come il primo e principale obiettivo da battere, può facilmente metter capo ad un anti-americanismo di maniera in funzione di copertura di una "nostra" diversità (borghese), da preservare o da conquistare riformisticamente oppure anche, assai più prosaicamente, alla rivendicazione, comunque mascherata, di un nostro specifico spazio imperiale non vassallo.

Non c'è un'Italia "diversa", non ci possono essere interessi italiani "diversi" entro il perimetro borghese, imperialista; possono esserci e ci sono unicamente capacità divorative e digestive diverse rispetto ai maggiori soci (e concorrenti): colpire gli appetiti imperialisti di qui è l'unica via per colpirli sul serio ovunque.

2) Smascheramento di ogni forma di indifferentismo.

La peggiore è quella - che può ammantarsi perfino di ultrasinistrismo - per cui si nega l'appoggio alla ribellione antiimperialista in quanto movimento "non comunista", quale è certamente quello arabo; guidato da forze borghesi - ed anche questo è vero; e "perciò" destinato a fare da semplice pedina del gioco di scontri interborghesi - il che assolutamente non è. Il contenuto delle rivendicazioni borghesi di questa lotta scuote l'ordine imperialista e pone dialetticamente le condizioni della propria trascrescenza in movimento rivoluzionario internazionale per il socialismo, dato che la realizzazione conseguente dei postulati democratici e borghesi di libertà e di eguaglianza sono indissociabili dalla lotta a fondo contro l'imperialismo ed il suo affossamento. Ciò che blocca il movimento attuale e lo può esporre ai giochi imperialistici non è la sua presunta "natura", ma proprio la sordità "indifferentista" delle metropoli, particolarmente disgustosa quando si ammanta di "purismo rivoluzionario".

3) Svergognamento di ogni "pacifismo" e "neutralismo".

La posizione di chi dice che questa è una guerra che "non ci riguarda" è falsa e traditrice. Essa ci riguarda, eccome! Riguarda gli interessi dell'imperialismo nel loro complesso, riguarda quindi l'Italia imperialista in particolare, che non può esimersene. Rivendicare il diritto-dovere a "starsene fuori" equivale a rinunciare deliberatamente a dare battaglia agli interessi (prima) ed alle ideologie (di conseguenza) delle classi borghesi nazionali, a rinunciare a chiamare alla battaglia il proletariato o a scendere in campo con esso.

La posizione di quanti si dichiarano, in nome della "pace", contro questo tipo di conduzione della guerra in corso invocando una più autorevole scesa in campo dell'ONU e, magari, conferenze arbitrali internazionali, ecc., è, a sua volta, un atto di pura "concorrenza" interventista nei confronti dell'intervento reale in atto. Il "governo mondiale" cui ci si richiama, altro non significa che l'auspicio di un più efficace governo "di pace", cioè di sopraffazione, imperialista "universale". Per quel che questo "governo mondiale" può darsi, esso è realizzabile e realizzato unicamente nelle forme presenti: dittatura internazionale della finanza e delle cannoniere USA (salvo aspirazione a sostituirli allo stesso timone da parte dei suoi maggiori partner e concorrenti alla polpa del Medio Oriente).

Vuoto di sostanza ed anche solo di un apprezzabile gesto di ribellione, l'attuale "pacifismo" mostra a cosa unicamente possa mettere capo un'"aspirazione alla pace", alla "fratellanza", all'umanità", ecc. al di fuori di una conseguente lotta antiborghese: 1'intruppamento "critico" nei fronti di guerra, di cui si presenta soltanto come una variante più forcaiola (e non meno militare).

4. In risposta: sostegno incondizionato alla guerra anti-imperialista del Medio Oriente.

Incondizionato vuol dire: non porre alcuna precondizione a tale appoggio. I marxisti non delegano la conduzione della lotta a Saddam Hussein e neppure ad altri "migliori" o "meno peggio" di lui. I marxisti non chiamano a fondersi e a confondersi con le proprie borghesie nazionali, ma hanno chiare le condizioni attraverso le quali l'insieme delle rivendicazioni democratico-borghesi delle masse oppresse può passare dalle mani della borghesia a quella del proletariato e delle classi oppresse, proseguendo "in permanenza" nel senso della lotta per il socialismo.

La condizione prima è che questa lotta continui e si radicalizzi localmente. La seconda (ma solo in termini espositivi) è che qui, nelle metropoli, il proletariato sappia fare la sua parte contro la propria borghesia lanciando un messaggio di fraternizzazione alle masse medio-orientali in rivolta.

Se è vero che "la secolare oppressione dei popoli coloniali e deboli da parte delle potenze imperialiste ha suscitato non soltanto la collera delle masse lavoratrici dei paesi oppressi, ma anche la loro sfiducia verso le nazioni che le opprimono in generale, e quindi anche verso il proletariato di queste nazioni" (Lenin); se questo è vero, come è vero, ne deriva l'obbligo, "per il proletariato comunista cosciente di tutti i paesi di trattare con particolare prudenza ed attenzione le sopravvivenze del sentimento nazionalistico nei paesi e nei popoli che hanno subito una più lunga oppressione". Questa prudenza, questa attenzione, coniugate alla determinazione alla lotta anti-borghese qui, costituiscono una premessa fondamentale d'appoggio all'autonomia delle masse oppresse di quei paesi e dell'unica conseguente soluzione al problema dell'egemonia borghese su di esse che noi possiamo augurarci.

Le parole d'ordine che si pongono laggiù sono quelle della piena libertà d'azione e di organizzazione per le masse, di un effettivo armamento popolare, di un effettivo affratellamento nella lotta tra i diversi popoli dell'area al di fuori ed oltre ogni inquadramento statal-nazionale. È qui che noi dobbiamo fare la nostra parte per favorire questa "decantazione" delle forze sociali e politiche dello scenario medio-orientale. A1 di fuori di ciò, ogni appello all'auto-organizzazione delle masse arabe ed ogni critica all'inquadramento di esse da parte delle borghesie nazionali è pura mistificazione da ciarlatani, ovvero il pretesto più infame per negare al movimento rivoluzionario medio-orientale ogni e qualsiasi possibilità di uscire in avanti dall'intruppamento dietro i vari Hussein.

5) Denuncia e lotta contro l'accollamento dei costi dell'aggressione imperialista sulla classe operaia metropolitana.

Questa denuncia e questa lotta sono possibili solo ove si mostri l'azione imperialista per quello che essa effettivamente è: un'operazione volta a ribadire e potenziare il dominio del capitale, delle leggi dell'accumulazione e del profitto, a scala mondiale; un attacco - in un primo tempo soprattutto "politico" - alla stessa classe operaia interna, ai suoi interessi profondi di classe, con dei costi concreti da scaricare nella metropoli sulle spalle del lavoro salariato.

Non è vero che i padroni prendono semplicemente a "pretesto" i costi dell'operazione-Golfo per non concedere nulla agli operai ed, anzi, essi sono pronti anche a pagare qualcosa "a favore" di una classe operaia che si lasciasse irreggimentare nello sforzo socialsciovinista di guerra in attesa di ricavarne delle briciole.

È vero, invece, che proprio i riformisti fan la finta di voler chiedere qualcosa nel rispetto delle compatibilità, rinunziando quindi a porre l'azione rivendicativa sull'unico terreno potenzialmente vincente: quello della lotta contro le compatibilità economiche e politiche del capitale, contro le sue leggi di rapina e di oppressione. La "teoria" dei "pretesti" padronali è solo… il pretesto cui ricorrono i riformisti per ritirarsi da una lotta rivendicativa conseguente, in quanto questa necessariamente significa lotta anticapitalista su tutti i piani.

6) Propaganda della necessità dell'unità del fronte proletario internazionale.

Non si tratta di chiacchiere "solidaristiche", di "simpatia" o appoggio da parte nostra verso un "altro" mondo, ma di ritessitura dei legami unitari tra lotta metropolitana e lotta della "periferia" dominata. Un primo test di questa capacità può essere fornito dal rapporto che si riuscirà a stabilire con i lavoratori immigrati, da considerarsi e mettere in grado di essere parte di un unico esercito di classe. Nel momento in cui persino il precedente "solidarismo" pietistico batte il passo e rincula, ogni rilancio d'iniziativa su questa strada costituisce un passaggio concreto nell'affermazione dell'internazionalismo nei fatti cui noi ci chiamiamo.

7) Attenzione ad ogni elemento, per piccolo che sia, e comunque connotato in partenza, di concreta mobilitazione contro il corso di guerra imperialista.

Se schifiamo le chiacchiere di quanti a tavolino vogliono "distinguersi" dalle attuali direzioni borghesi senza mai metterne in causa la natura e senza mai dichiarare (fors'anche solo a parole) una guerra di classe contro di esse, siamo anche pronti a cogliere ogni occasione in cui materialmente si manifesti - nelle fabbriche come nelle piazze - un inizio di rottura del fronte di pace sociale interna sociale e politica. Questo è il terreno su cui intendiamo seminare, sempre fecondo in potenza. Le nostre posizioni generali non le consegnano in "fronte comune" a nessuno; la nostra disponibilità al "fronte comune" di lotta resta più che mai intatta e determinata.

8) Per ultimo, che è in realtà primo, perché se manca questo, cade tutto il resto: il lavoro di formazione comunista, studiare e ristudiare i classici del marxismo intorno alla questione dei paesi oppressi dall'imperialismo e della lotta degli oppressi all'imperialismo, conoscere a fondo - per poterla lottare ancora più a fondo - la storia passata e la realtà presente della dominazione coloniale e neo-coloniale.