Dossier "La crisi del Golfo"

L'OCCIDENTE VA ALLA GUERRA:
OBIETTIVI, MOTIVI PROPAGANDISTICI, CONTRADDIZIONI INTER-BORGHESI

Indice


La guerra del Golfo ha una posta per così dire immediata e "regionale": il controllo sulla, quantità e sul prezzo degli approvvigionamenti petroliferi per l'Occidente e la "normalizzazione" del Medio Oriente. È però, al contempo, il prologo di una più ampia guerra di lungo periodo che ha una posta di portata storico-mondiale: o, se a vincere sarà la borghesia, un "nuovo ordine internazionale" capitalista e imperialista; o, se a vincere saranno il proletariato e le masse oppresse, la instaurazione della Comune mondiale. Quello in corso nel Golfo, oltre ad essere uno scontro tra "Nord" e "Sud", è anche un conflitto, dentro il "Nord", tra capitalismi predoni e dentro il "Sud" tra classi borghesi e piccolo-borghesi che si contendono "spazi vitali" a stabilizzare in qualche modo i loro precari regimi, ed è un conflitto di classe tra sfruttati e sfruttatori tanto nelle metropoli che nei paesi dominati, al quale si intrecciano irrisolte questioni di autodeterminazione nazionale.

Risultato della complicazione ed acutizzazione di tutte le contraddizioni e gli antagonismi del capitalismo ed a sua volta di questi moltiplicatore, lo scontro per il Golfo segna anzitutto un salto di qualità dell'oppressione imperialista sulla regione medio-orientale. Le vecchie potenze ex-coloniali, con alla testa la superpotenza yankee, tornano in forze in armi nel mondo arabo. L'imperialismo europeo, com'è noto, si era dovuto ritirare militarmente dal mondo arabo, non senza avere fatto pagare dei costi altissimi ai popoli ex-coloniali, in forza dei moti rivoluzionari di liberazione nazionale. Ma va anche detto che in questo affrancamento dal vecchio colonialismo giocò il ruolo… "anti-imperialista" degli USA, interessati a scalzare dall'area i vecchi suoi padroni per potervisi poi installare con le risorse del proprio nuovissimo colonialismo della finanza e delle cannoniere (simul stabunt…). L'anti-imperialismo "a metà" delle borghesie nazionali ha così scalzato un dato personale ed una data forma del dominio imperialista senza potersi e volersi scontrare con quella superiore chiamata a succedergli. Questo compito è quello che oggi viene al dunque.

Per tutta una fase il nuovo e più agguerrito padrone imperialista, aiutato dalla inconseguenza delle borghesie "rivoluzionarie", ha operato con gli strumenti della sua supremazia finanziaria per vanificare ogni tentativo di rafforzamento "indipendente" dei giovani capitalismi. Iniziando a venire al pettine i nodi della crisi storica del sistema capitalistico, il capitale imperialista non può fare a meno di intervenire direttamente laddove la minaccia alla sua dominazione si faccia, pur se ancora localizzata, diretta. Tanto più se in questione è un'area di importanza strategica come il Golfo. Già lo si era visto con la spedizione navale contro l'Iran; si torna ora a vederlo con uno spiegamento di forze che è "improvvisamente" di tutt'altro livello (a fine settembre il corpo di occupazione americano in Arabia sarà di poco inferiore all'intera forza da sbarco degli Alleati in Normandia!).

Questo intervento militare non sarà di breve termine. Le proposte americane di costituzione di una nuova Nato per il Medio Oriente sulla falsariga del famigerato "Patto di Baghdad" ovvero l'insistenza di tutte le potenze imperialiste sulla necessità di istituire nell'area un meccanismo di "sicurezza permanente" anche dopo ed indipendentemente dalla "soluzione" della attuale crisi, sono esplicite in tal senso. Tutte le fumisterie socialdemocratiche o pacifiste sulla necessità di stabilire un nuovo rapporto di "cooperazione" e di "pace" tra Nord e Sud del mondo non valgono un soldo bucato. Sì, è vero, c'è interdipendenza tra economie "nazionali" e stati sul mercato mondiale; ma questa interdipendenza, nel sistema capitalistico, non è mai stata né sarà mai "cooperazione" tra "eguali" non più almeno di quanto la "interdipendenza" tra capitale e lavoro possa essere cooperazione invece che sfruttamento. Sistema unitario, sì, il capitalismo mondiale, ma in quanto combinazione di parti diseguali. Il capitalismo nel suo stadio imperialista, è la sintesi di Lenin, divide il mondo "in un piccolo gruppo di stati usurai e in una immensa massa di stati debitori" e i primi difendono il proprio "diritto" a rapinare con metodi imperialisti i secondi tramite, in ultima analisi, la violenza, quella "politica delle cannoniere" che tramonterà solo e soltanto con la distruzione del sistema capitalistico. L'Occidente torna in armi in Medio Oriente nel tentativo, sul piano storico condannalo a immancabile sconfitta, di mantenere sotto il proprio tallone le masse sfruttate.

Le menzogne dominanti

Questa sostanza brigantesca dell'intervento militare occidentale è avvolta, come sempre, nei sette veli di rivoltanti mistificazioni.

L'Occidente sarebbe nel Golfo a tutela del "piccolo Kuweit" brutalizzato dall'orco iracheno. Omettono di raccontare - però - i megafoni di corte, in base a quali interessi ed intrighi coloniali è stata spartita la regione medio-orientale. Quale dinamica ha portato alla costituzione del Kuweit come "stato"? La pressione, fosse pure solo virtuale, di una "nazione" o di un "popolo" kuweitiano distinto e separato da quello iracheno o arabico? o non piuttosto i deliberati di Londra e Washington presi su impulso e a protezione della Anglo-Persian Oil Company, o della Gulf Oil Corporation? E come mai i generosi protettori del debole, freschi reduci (o complici) delle invasioni di Grenada o di Panama, iniziano la loro opera altamente umanitaria spiegando alle masse palestinesi (non si negherà che siano oppresse, vero?) che vengono "retrocesse alla casella zero per avere osato manifestare la loro avversione all'imperialismo? Come mai della irrisolta questione del martoriato popolo curdo le centrali imperialiste si guardano bene finanche dal far parola?

L'Occidente va nel Golfo, e dovrà andare un po' dovunque nel Terzo mondo, - ci si informa - per contrastare e punire i molti "piccoli Hitler" che vi prosperano. Basta con queste barbare dittature!

Non saremo noi a negare che feroci dittature borghesi, di norma infeudate all'Occidente, vi alberghino. Ma cosa si vuole introdurre in loro vece? Non è forse ad un diretto dominio della "democrazia" imperialista che si mira? E quale sarebbe la politica di questi neo-crociati democratici se le masse sfruttate facessero una "democrazia" rivoluzionaria a modo loro? si può forse dubitare che avrebbero un trattamento simile a quello riservato alle masse del Nicaragua soffocate dal blocco economico e dalla guerra civile finanziata dalla democrazia n. 1 al mondo proprio per essersi liberate da una sanguinaria dittatura borghese compradora che di quella democrazia era la longa manus?

I tutori di Israele; quel Mitterrand che da ministro della Francia coloniale affermava: "Il solo negoziato da aprire con l'Algeria è la guerra"; quell'amministrazione americana che con lo sbarco del '58 in Libano gettò il seme (l'humus lo aveva preparato la Francia con la abominevole creazione dei "cantoni" confessionali) della distruzione totale di questo paese proprio per difendervi una cricca prevaricatrice; i padrini di Hussein di Giordania macellaio del "settembre nero"; i foraggiatori e gli attizzatori del macello tra Iran e Iraq, fanno sapere di andare nel Medio Oriente a far sì che finiscano le prevaricazioni "tra arabi", ad "insegnare agli arabi la cultura della pace" e della risoluzione pacifica delle contraddizioni. Non c'è bisogno di rispondere ai lacche delle nazioni "civili" che hanno scuoiato vive le masse dei paesi oppressi. C'è solo da dire che a risolvere le prevaricazioni dei regimi borghesi e pre-borghesi arabi contro gli sfruttati, potranno e dovranno provvedere in prima persona gli sfruttati stessi, unendosi, rovesciando i propri regimi e affratellandosi in una Federazione dei soviet del proletariato e degli oppressi del Medio Oriente; solo così, attraverso un lavoro di generazioni e l'apporto determinante del proletariato occidentale ridestatosi dalla sua attuale ipnosi, si potrà superare l'infausta eredità di artificiose divisioni lasciate dalla dominazione imperialista.

Si dice, infine, che si va nel Golfo a punire uno dei massimi signori del petrolio. Quella di Gheddafi o di Saddam sarebbe "petrolcrazia militarizzata", e dunque, smantellandola, l'Occidente agirebbe nell'interesse universale, ed in particolare dei paesi più poveri. L'ineffabile Ronchey è arrivato a chiamare in causa la teoria del valore "per misurare la differenza tra rendita parassitaria e profitto del mondo industriale del nostro tempo" e, in sostanza, per giustificare davanti ai lavoratori e fors'anche 'ad un certo genere di "marxisti" (a che altro può servire un tale sinistro richiamo a Marx?), che colpire i fruitori dell' "eccesso di rendita" petrolifera tutto sarebbe fuorché un misfatto. Tanto più, conclude su questa falsariga F. Cerutti su "l'Unità" del 17 agosto, che più petrolio in mano a Saddam Hussein o a Gheddafi non significa "più latte per i bambini del Sud".

Non staremo certo a spiegare a gente come Ronchey che, fermo restando il riconoscimento della funzione storicamente progressiva del capitalismo nei confronti dei precedenti modi di produzione (non già - evidentemente - dell'imperialismo nei confronti dell' "arretratezza" dei paesi dominati), non è del marxismo, bensì dei revisionismo la contrapposizione tra profitto buono e rendita malvagia, ovvero tra rendita accettabile ed eccesso di rendita. È del marxismo, invece, la tesi scientifica che è proprio il sistema sociale basato sul profitto (incapace di sopprimere la rendita, che è una seconda "detrazione" sul lavoro salariato) che va soppresso perché la si possa fare finita definitivamente con tutte le forme di prelievo parassitario sul lavoro vivo.

Obiettiamo invece: 1) che il vertice della "petrolcrazia militarizzata" è proprio qui nell'Occidente, presunto "liberatore" dalle rendite petrolifere; 2) che la massima parte della rendita petrolifera (mai sentito parlare di petro-dollari?) è stata risucchiata a proprio vantaggio dagli stati, dalle banche, dalle multinazionali dell'Occidente; 3) che la macchina bellica occidentale è nel Golfo a presidio esattamente di quegli "stati", come il Kuweit, l'Arabia Saudita, gli Emirati che più di qualsiasi altro stato arabo hanno trasferito i loro proventi petroliferi nell'Occidente affamatore del Sud del mondo; 4) che per conseguenza dovranno e potranno essere solo le classi sfruttate arabe che oggi tornano a sollevarsi contro l'imperialismo, a fare i conti (sulle rendite, sul latte e… sul potere anche) con le proprie borghesie, incluse quelle che a parole si sono erte a guida della loro liberazione.

Ovest contro Ovest

Se da un lato le potenze imperialiste sono realmente unanimi nel loro attacco contro i popoli del Medio Oriente e contro il proprio "nemico interno", *dall'altro la crisi del Golfo segna un ulteriore passo in avanti nello scontro interimperialistico per la ridivisione del mercato mondiale che, mai cessato neppure nei periodi di massima "distensione" e di incontrastato dominio americano, si è fortemente acuito, in un quadro di progressivo indebolimento degli USA, con la "ritirata strategica" dell'URSS e la decomposizione totale del "campo socialista". La fine del cosiddetto bipolarismo a seguito del cosiddetto bipolarismo a seguito del compimento della nefasta opera di smobilitazione della rivoluzione proletaria compiuta dallo stalinismo, nou dischiude le porte, come nelle farneticazioni di Occhetto o di Ingrao, un "governo mondiale" capace di risolvere pacificamente tutti i conflitti sociali o nazionali, bensì ad un processo che va in direzione del tutto opposta. "Non manderemo i nostri ragazzi a farsi ammazzare nel deserto perché tedeschi e giapponesi possano comodamente fare il pieno", ha dichiarato un funzionario del governo statunitense. Non ne dubitavamo. "Gli USA non hanno amici, hanno soltanto interessi", ammise una volta il segretario di stato americano Foster Dulles. Verissimo; come tutte le potenze imperialiste, che, coprendosi dietro i "valori" di "pace", "democrazia", "civiltà" o altro, non fanno che perseguire i propri interessi di rapina e di oppressione. Gli "amici" della CEE non hanno avuto problemi nel respingere al mittente la richiesta di Washington di dividere i costi dello "scudo nel deserto"…

Nella guerra del Golfo ogni stato imperialista seconda prioritariamente gli interessi del proprio capitalismo, ed in tanto stringe alleanze (reversibili) con altri stati imperialisti, in quanto si accordino con il proprio tornaconto. Il massiccio dispiegamento delle forze USA in Arabia è anche contro la progressiva "pacifica" penetrazione nel Golfo dei suoi due più pericolosi concorrenti: Germania e Giappone. E viceversa: l'assenza dalla scena di Germania e Giappone è soltanto apparente. La Germania, che ha sempre avuto in Medio Oriente interessi contrastanti con le vecchie potenze coloniali maggiori ed ha cercato e talora ricevuto per questo una certa simpatia nella "nazione araba" (fu Guglielmo II, con buon anticipo su Mussolini, a proporsi quale "protettore dei musulmani" in alternativa all'oppressione di Francia e Gran Bretagna) e ha ora plurime ragioni di contrasto con gli USA, batte non a caso sul tasto del "dialogo" euro-arabo, che avrebbe come perno la Germania. Sollecitato da Bush a dividere le spese (si badi che l'amministrazione americana non ha chiesto - e per lo meno, non ha chiesto con convinzione - un più ingente invio di truppe eurogiapponesi, bensì il massimo di copertura politico-finanziaria e l'appoggio logistico per la propria armata), il Giappone ha protestato di non poter essere "la macchina che dispensa denaro" per… il Pentagono e, beffardamente, ha deciso di partecipare alle spese... inviando aiuti medicinali ed "umanitari" a Egitto, Turchia e Giordania, prendendo cioè "in cura" per sé paesi dell'uno e dell'altro fronte. Se la Gran Bretagna è in prima fila nell'impegno bellico, lo è per "onorare" gli interessi della City duramente colpiti dall'annessione irachena del Kuweit. Se l'Italia è in ultima, lo è - nessuno s'illuda su una sua maggiore benevolenza verso gli oppressi arabi! - per il suo tradizionale doppiogiochismo al confine tra i differenti schieramenti, che fu proprio, fino ad un certo punto, anche del fascismo. La stessa URSS non è vittima di alcunissima resipiscenza "anti-imperialista" quando sospinge innanzi come può la "soluzione politica" della crisi del Golfo. Essa prende parte come forza di complemento e di copertura dell'Occidente all'attacco contro gli sfruttati del "Sud" e sostiene senza riserve le strangolatorie deliberazioni dell'ONU; solo che vorrebbe che la vittoria dell'Occidente imperialista fosse conseguita evitando, per quanto possibile, il precipizio bellico immediato. A tanto la spinge la sete di capitali e di tempo per la ristrutturazione della sua disastrata economia ed il tamponamento delle sue esplosive contraddizioni sociali.

Alla guerra contro gli sfruttati del Medio Oriente si intreccia, dunque, un conflitto senza esclusione di colpi tra le grandi potenze capitalistiche che deciderà se il protettorato occidentale sul petrolio e sull'area dovesse essere in un modo o nell'altro ripristinato, a quali stati, a quali banche, a quali imprese dovranno andare in proporzione gli utili. Uno dei consiglieri militari del governo italiano, L. Caligaris, lo ha scritto a chiare lettere per richiedere un più massiccio intervento di mezzi da guerra: "A crisi ultimata, nel ricordo dell'impegno di ognuno, (USA, Francia e Gran Bretagna) riscriveranno la mappa della suddivisione dei ruoli (e cioè: del tesoro, n.) e, con essa, la lista dei Paesi "deferenti" o "influenti", a prescindere dal loro potenziale politico-economico" ("Corriere della sera", 9 settembre). Ergo, per partecipare adeguatamente anche "noi" alla spartizione del bottino, assumiamoci i corrispondenti oneri e rischi bellici.

Questo è il capitalismo reale. Nessun "super-imperialismo" capace di fondere tra loro i capitalismi più forti, sì da far passare in archivio la guerra inter-imperialista. Bensì la "solita" lotta a coltello tra capitalismi, sulla pelle del proletariato, per la ridivisione del mercato mondiale che, in ultima analisi, si deciderà con la forza. Finita la cosiddetta guerra fredda, inizia la transizione ad una fase storica di aspri conflitti la cui risultante ultima è nell'alternativa: guerra imperialista o rivoluzione socialista. Questa transizione si è aperta eloquentemente con la direttiva dei ministri economici della CEE: "economia 'di guerra' contro Saddam". Questa guerra ci riguarda in pieno come proletariato: è una guerra contro i nostri fratelli di classe supersfruttati e diseredati del mondo arabo-islamico, è una guerra contro tutto il proletariato. La risposta comunista ad essa è: rompere il fronte interno! rilanciare la lotta al capitalismo! dare sostegno incondizionato alla lotta degli oppressi dall'imperialismo! trasformare la guerra imperialista in guerra di classe!