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Sull’indifferentismo

L'"indifferentismo" si barrica oggi dietro il pretesto che i moti coloniali sono di origine e di contenuto ideologico (e in parte anche sociale) borghese e si prestano ad essere manovrati dai blocchi contrapposti dell'imperialismo.

E' qui la turpe insidia: è appunto l'indifferenza (che poi, sul terreno delle lotte di classe, significa passaggio al nemico) del proletariato rivoluzionario e, peggio ancora, del suo Partito, che blocca il processo di radicalizzazione dei moti coloniali, che ne restringe le possibilità nell'ambito di programmi e di forze sociali borghesi e quindi li espone alla possibilità di un cinico sfruttamento ad opera del grande capitale arroccato sugli spalti della Casa Bianca o del Cremlino!

E' la rinunzia ad assumersi la missione affidatagli non da Marx, Engels, Lenin, ma dalla storia di cui essi furono i portavoce, che inaridisce un fenomeno storico così gravido di potenzialità avvenire.

Da anni, quasi giorno per giorno, il pugno rude dei "colorati" batte alla porta non dei borghesi, ma dei proletari metropolitani, e non è un battere metaforico, perché i proletari belgi 1961 o francesi dei grandi scioperi di anni trascorsi rispondono e rispondevano, lo sapessero o no poco importa, all'"ondata di disordine" emanante dalla boscaglia congolese o dal Bled algerino; la risposta viene a sussulti nella grande estensione della classe proletaria, non viene dal suo partito o, quando viene, è la belante risposta democratica, conciliatrice, diplomatica, patriottica, o è la non meno turpe risposta dell'altezzosa e sufficiente "indifferenza".

Moti borghesi! E, tuttavia, la prima campana a stormo nel Congo, nel 1945 come nel 1959-60, è venuta da giganteschi scioperi non certo di borghesi, ma di proletari autentici; e non da oggi ricordiamo su queste pagine la storia delle organizzazioni rivoluzionarie algerine a sfondo anche socialmente proletario, che solo la capitolazione del comunismo metropolitano di fronte alla democrazia, al fronte popolare, alla resistenza, a De Gaulle, ha permesso di soffocare e di distruggere. O non era borghese, l'orizzonte del febbraio 1848 e del febbraio 1917? Non sarebbe caduta definitivamente preda dell’imperialismo e della guerra la "prima rivoluzione" russa, se i bolscevichi non avessero fatto proprio il compito di portarla di là da se stessa, e si fossero chiusi nella stupida roccaforte dell'"indifferenza"?

Il proletariato rivoluzionario occidentale deve riguadagnare il tempo e lo spazio tragicamente perduti nel rincorrere il miraggio di soluzioni democratiche che, alla scala del mondo, solo la rivoluzione comunista può sciogliere. Esso non può chiedere ai moti coloniali ciò che solo da lui dipende. Ma anche così li saluta con passione divorante: anche così, perché unica scintilla di vita in un mortifero presente, scardinano l'equilibrio internazionale dell'ordine costituito (vedremo più oltre come lo stesso "sfruttamento imperialistico dei moti coloniali" vada preso con molte riserve), perché catapultano nell'arena della storia gigantesche masse popolari - e in esse sono comprese masse proletarie -finora vegetanti in un "isolamento senza storia", perché, quand'anche potessero ridursi - ma la dialettica marxista si rifiuta di ridurli - a moti puramente borghesi, essi alleverebbero nel proprio seno i becchini che il putrido occidente, sommerso in una prosperità beota e assassina culla in un sonno più ottuso di quello provocato dalla "soporifera droga chiamata oppio"; perché, insomma, sono, nella tradizione della storia d'oltre un secolo, "rivoluzionari malgrado se stessi". ("Programma Comunista", nn. 1/2 dei 1961)


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