Da dove provengono i guai della classe lavoratrice?
Veniamo da anni di continui sacrifici. E non è finita. La crisi che ha
terremotato il sud-est asiatico e la Russia, bussa con insistenza alle porte dell'Europa e
dell'Occidente. Andiamo verso anni ancor più difficili. Chi vive di salario, di modesti
stipendi o -peggio- di pensione, o anche di una piccola attività "autonoma"
(che è in realtà nella maggior parte dei casi totalmente dipendente dal grande capitale,
dal sistema bancario e dallo stato), lo avverte istintivamente.
Su questo siamo certamente d'accordo. Ciò su cui c'è invece da ragionare, è su da dove
provengono i guai della classe lavoratrice, e come uscirne.
Voi siete convinti che i guai dei lavoratori, per lo meno di quelli del Nord, vengono
tutti dallo stato centralista, che sottrae grandi risorse alla produzione e al Nord per
riversarle nelle casse senza fondo della burocrazia romana e dell'assistenzialismo al Sud.
Di conseguenza la sola via d'uscita praticabile che vedete è la secessione o la
indipendenza (o devolution) della Padania.
Ora, che lo stato italiano sia un enorme apparato parassitario e di dominio che si
ingrassa sulle spalle delle classi lavoratrici (della città e della campagna); e che
esso sia tanto esoso e inefficiente nel dare servizi quanto efficiente nel torchiare alla
fonte i lavoratori e nel colpire la lotta e l'organizzazione di classe: su tutto questo,
non ci piove.
Ci sono, però, almeno tre questioni da esaminare.
Stato ladrone, di una "classe ladrona"
Prima questione: siamo proprio sicuri che lo stato rubi al Nord preso
nel suo insieme (gli Agnelli, i Cuccia, i Berlusconi, i Costa, i Pirelli, i Del
Vecchio, i 40.000 detentori di depositi bancari superiori ai 500 milioni, ed i loro simili
sono forse dei derubati?) per dare al Sud preso nel suo insieme, al blocco
burocrati-capitalisti-mafia-agrari allo stesso modo che agli operai, ai disoccupati, ai
braccianti, agli artigiani o ai contadini del Sud?
Noi crediamo che le cose stiano in un modo un tantino diverso. E cioè che la prima e
fondamentale beneficiaria del prelievo fiscale dello "stato ladrone" (così come
dei servigi dello stato-manganello) sia una "classe ladrona": la classe di
quanti vivono del lavoro altrui, la classe capitalistica, tanto del Nord quanto del Sud. E
con essa tutta la sua corte di burocrati, generali, magistrati, scribacchini, etc.,
reclutati questi ultimi, certo, per le note ragioni storiche, più al Sud che al Nord, ma
come servi.
Del resto, proviamo a domandarci: chi comanda lo stato italiano, chi lo ha realmente in
pugno? E sentiamo cosa risponde lo stesso Bossi ("la Padania" del 2 gennaio):
"Per chiarire il rapporto tra potere politico e potere reale va sottolineato che lo
Stato non è affatto anonimo come viene fatto apparire, ma esso ha dietro di sé, i suoi
padroni. A volte essi sono ben nascosti, ma sono sempre rintracciabili se si risale con
cura le proprietà del sistema bancario e finanziario ed i loro rapporti con la politica.
A dirla senza mezze frasi, i padroni d'Italia (e cioè anche i padroni dello stato
italiano -n.n.) risultano le grandi famiglie (del capitale), la mafia e la finanza
cattolica".
Sì, a dirla davvero senza mezze frasi, lo stato italiano è lo stato del grande
capitale industriale, bancario e finanziario, sia del Nord (sono del Nord, da sempre,
le grandi famiglie del capitalismo italiano, non è vero? è potentissima anche al Nord la
finanza cattolica, non è vero?) che del Sud (la stessa mafia non è che una rete
di imprese capitalistiche operanti secondo le regole del mercato). Lo stato italiano è il
braccio armato, amministrativo, ideologico, fiscale di tutte le componenti della classe
ladrona per eccellenza: la classe degli sfruttatori del lavoro, che è la vera
"proprietaria" collettiva dello stato e la beneficiaria delle sue entrate e
delle sue uscite.
Ecco perché la denuncia contro lo stato ladrone, se non si rivolge anche contro la classe
ladrona, manca totalmente il bersaglio. O, peggio, finisce proprio per ri-legittimare la
classe ladrona. Tangentopoli è stata una falsa "rivoluzione" proprio perché ha
liquidato i Craxi, i Forlani, i De Lorenzo, etc., cioè i "servitori" politici
del grande capitale, lasciando intatti ed addirittura rafforzati i veri centri del potere:
Fiat, Bankitalia, etc., quei "poteri forti" capitalistici che sono
l'incarnazione stessa del grande parassitismo (quello che si calcola a migliaia di
miliardi alla volta, e non a sussidii di fame).
Contro i "poteri forti". Ma sul serio.
Qui sorge una seconda questione: si può spezzare la morsa dello stato
parassita, si può sfuggire al peggioramento delle condizioni di vita e di
lavoro, alleandosi con i "poteri forti" capitalistici che hanno in pugno lo
stato?
Una domanda del genere dovrebbe suonare provocatoria. Potrebbe mai esserci
una seria lotta alla mafia sotto la guida degli Andreotti, dei Berlusconi, dei
Riina? Potrebbe mai esserci una seria azione di attacco alla macchina Parassitaria dello
stato fianco a fianco della Fiat, dei grandi banchieri, dei De Benedetti, etc., che dei
servizi di questa macchina e delle sue voci di spesa (interessi sul debito pubblico,
appalti, incentivi, rottamazione, etc.) sono i massimi beneficiari? Si potrebbero mai
tagliare i mille tentacoli neri della finanza vaticana mettendo l'accetta per troncarli
nelle mani di brutti ceffi democristiani come Cossiga o Buttiglione che hanno speso una
vita e altre dieci ne spenderebbero, se potessero, a proteggerla?
Non dovrebbe esserci il minimo dubbio, in proposito. Una seria lotta contro il
parassitismo ed il peggioramento delle condizioni di vita della classe proletaria (ma pure
degli artigiani, degli agricoltori, dei piccoli esercenti, etc.) non può che essere
rivolta innanzitutto contro i "poteri forti" capitalistici, interni ed
internazionali. Altrimenti, ci si prende per i fondelli. Eppure...
Eppure la dirigenza della Lega va sventolando ora davanti agli occhi dei lavoratori
leghisti la possibilità di una seconda alleanza con i "poteri forti", dopo
quella del '94 con il "mafioso" (lo dite voi, no?) Berlusconi. La massa della
gente comune, e cioè dei lavoratori, da sola non può far mai nulla; necessita l'appoggio
di qualche boss, della gente che conta, che ha i soldi, di qualcuno di quelli, se non di
tutti quelli, contro cui si dovrebbe lottare... Eh, la conosciamo bene questa canzone.
Nel secondo dopoguerra i lavoratori del PCI -che non erano certo meno combattivi
e pieni di fede di voi credettero alla favola, raccontata da Togliatti, della alleanza
"tattica", "furba" con la parte "progressista" della
borghesia italiana, quella che tac, da un giorno per l'altro, non era più fascista (dopo
esserlo stata per vent'anni). Ne è venuto fuori un cinquantennio di assoluto dominio dei
"poteri forti", yankee, romani e padani, e di schiacciamento del
proletariato e delle classi lavoratrici, che devono solo a sé stessi e alle proprie lotte
tutto ciò che hanno conquistato.
Più di recente: cosa di buono è venuto ai lavoratori dalla furbissima
"alleanza tattica", dal "blocco liberista" della Lega con Forza Italia
e AN? o dal nuovo "blocco progressista" della "sinistra" di D'Alema e
Bertinotti e di Cgil-Cisl-Uil con i Dini, i Ciampi, i Prodi, uomini del grande capitale,
del capitale, nazionale e internazionale?
In tutti questi casi l'unico risultato che si è conseguito è stata la completa
subordinazione degli interessi, dei bisogni delle aspettative de lavoratori agli interessi
della classe de denaro e del suo stato. Uno stato che la "sinistra" del Pds e d
Rifondazione vede per tradizione (la tra dizione del riformismo e dello stalinismo), come
possibile protettori dei lavoratori, e chi noi, secondo la nostra tradizione (la
tradizione del marxismo, vediamo invece come stato protettore solo ed esclusivamente delle
classi sfruttatrici e parassitarie.
Globalizzazione = globalizzazione dello sfruttamento e del parassitismo
C'è poi una terza questione con cui fare i conti: la dimensione
internazionale del parassitismo e dello sfruttamento del lavoro.
"Roma", lo stato italiano, non sono affatto delle eccezioni. Sono niente altro
che un anello di una catena che tiene in schiavitù tanto i lavoratori padani
quanto, con modalità diverse, i lavoratori del Sud e quelli di tutto il mondo. Questa
catena mondiale, che ha i suoi anelli forti nelle più grandi borse del mondo, nel FMI,
nella Banca mondiale, nei più grandi stati capitalistici, il super-stato statunitense
davanti a tutti, è la catena del mercato mondiale, del capitalismo globalizzato.
E' da lì, dal capitale finanziario internazionale, che provengono i diktat liberisti che
stanno falciando salari, assistenza sanitaria, pensioni, "diritti" dei
lavoratori ad esclusivo vantaggio dei profitti. Le finanziarie di Amato, Ciampi,
Berlusconi, Dini e Prodi che in 7 anni ci hanno espropriato 500.000 miliardi di lire, sono
state scritte materialmente e approvate formalmente a Roma, ma sotto dettatura e rigido
controllo dei mercati internazionali, del capitale globalizzato che ha in pugno (senza
bisogno di elezioni) il parlamento e il governo di Roma. Perciò la lotta contro il
parassitismo e lo sfruttamento del lavoro, se non vuole finire in un nulla di fatto, deve
dirigersi anche contro le forze, i centri di potere e le leggi che dominano e regolano il
mercato mondiale.
Altrimenti si può incappare nella non invidiabile sorte dei croati, degli sloveni o dei
bosniaci che si sono scrollati di dosso il mini-"parassitismo" di Belgrado solo
per essere schiacciati e ridotti all'indigenza dal feroce maxi-parassitismo di Wall Street,
di Bonn e dell'Europa tutta, e dover fuggire a migliaia dalle loro terre per guadagnarsi
il pane. Credano di trovare la propria terra promessa in uno stato di
"consanguinei", etnicamente più "puro", e vi hanno trovato una nuova,
non migliore, prigione.
Una cosa è certa: in un mercato globalizzato, in un capitalismo mondiale che sprofonda
sempre più nel caos, isole felici in cui porsi al riparo dalle tempeste come sull'arca di
Noè, non ce ne sono oggi e meno ancora ce ne saranno domani. La Padania indipendente
sarebbe, sì, libera da "Roma", ma -lo scoprirebbe molto presto- sarebbe pure
più (non meno) dipendente, in quanto stato a minor popolazione e con minor forza, dalle
ferree leggi del mercato mondiale e dai loro esecutori. Ogni altra differenza a parte,
dovrebbe pur dire qualcosa a riguardo il trattamento strangolatorio che i mercati
internazionali e il FMI stanno riservando in questi giorni alla stessa Russia di Yeltzin
(che è la "Padania" dell'ex-URSS, 150 milioni di abitanti, una quantità di
industrie, una miniera di materie prime, una grande potenza politica e militare...).
E' impossibile, per i lavoratori di qualsiasi paese del mondo, e quindi anche per quelli
italiani o padani, liberarsi dal giogo del parassitismo e dello sfruttamento senza
affrontare questo giogo nella sua dimensione internazionale. Ma insieme con chi affrontare
questo scontro?
Per i lavoratori padani il solo blocco naturale è quello con tutti gli altri lavoratori.
I lavoratori del Nord in marcia per la propria liberazione potranno
trovare "alleati" in questo scontro solo e unicamente tra gli altri
lavoratori. In Italia e nel mondo. E' questo il solo "blocco"
liberatorio, tutti gli altri costituendo un suicidio annunciato (e non nuovo).
Guardiamo per in istante oltre le Alpi e al di sotto del Po. Vedremo legioni di lavoratori
alle prese con i nostri stessi problemi. E non parliamo dei palestinesi, degli
indonesiani, o dei curdi, dei popoli oppressi dall'imperialismo, che vivono contraddizioni
ancor più drammatiche delle nostre. Parliamo dei lavoratori statunitensi che da
vent'anni, nel paese più potente del mondo, vedono aumentare i propri orari di lavoro e
diminuire il potere d'acquisto dei salari (il 30% di loro, nel 1997, ha sperimentato
almeno due mesi di povertà!). Parliamo dei lavoratori tedeschi, colpiti da una
disoccupazione crescente e costretti a passare dalle 35 alle 40 ore settimanali (per ora).
Parliamo dei lavoratori svizzeri, che stanno perdendo tutte le loro invidiate
"garanzie" di un tempo e tra i quali, non a caso, c'è il massimo di agitazioni
sindacali da settanta anni in qua. E si tratta di tre stati non "centralisti",
ma federalisti, a riprova del fatto che il problema di fondo non è la struttura dello
stato, ma la struttura del mercato, la dura legge del profitto che -come quel dio
pagano pretende sacrifici umani.
Li pretende, e come!, anche nel Sud d'Italia. Dove per un lavoratore miseramente assistito
dalla spesa statale (che è finita al 90% nelle tasche dei grassatori alla Cirino Pomicino
o alla Mastella, esponenti di quell'Udr così tanto coccolata dai vertici della Lega), ce
ne sono almeno cinque che si spezzano la schiena nelle fabbriche di Agnelli (la
fabbrica più produttiva d'Europa, ricordiamolo, si trova nel Sud: è la Fiat di Melfi), o
che producono per gli sfruttatori "padani" Benetton, Stefanel, etc. per meno di
un milione al mese nei laboratori contoterzisti.
Li pretende, più ancora, nei paesi del Sud del mondo strozzati nelle loro possibilità di
sviluppo prima dal vecchio colonialismo e ora dalla globalizzazione neo-colonizzatrice, e
che per questa sola ragione continuano a mandare emigranti verso i paesi che li hanno
spogliati e continuano a spogliargli di tutto.
E' soltanto tra le masse di chi vive realmente del proprio lavoro, o di chi è addirittura
privato forzatamente dello stesso accesso al lavoro, che i lavoratori del Nord potranno
trovare dei veri fratelli e compagni di lotta. E' solo con gli altri lavoratori di tutte
località, di tutte le nazioni e le razze che potranno fare davvero unità e comunità
di ideali e di organizzazione perché comuni sono le condizioni di esistenza, e comuni
sono gli interessi. Se è vero che il sistema di torchiatura del lavoro a beneficio
delle classi che non lavorano è mondiale, mondializzata deve essere anche la risposta di
lotta unitaria dei lavoratori.
In caso contrario se, come pretendono i "poteri forti" capitalistici italiani ed
internazionali, ci metteremo gli uni in concorrenza ed in conflitto con gli altri,
lavoratori del Nord contro lavoratori del Sud, proletari italiani contro proletari
tedeschi o giapponesi, proletari europei contro proletari immigrati, allora quello che ci
aspetta è l'inferno, una nuova Bosnia universale. A beneficio degli sfruttatori
e dei parassiti di tutto il mondo.
La vera via di uscita
Ecco perché non crediamo che la soluzione dei problemi dei lavoratori
del Nord possa essere la costruzione di uno stato padano. Non perché si romperebbe lo
stato italiano, del quale non ci frega nulla. Ma perché già da anni, prima ancora di
realizzarsi, questa prospettiva sta corrodendo l'unità e la solidarietà organizzativa e
psicologica tra i lavoratori del Nord e del Sud. Un'unità che si era venuta formando
in decenni e decenni di lotte comuni contro nemici comuni, e che è stata preziosa perché
ha reso più forte davanti allo stato, davanti alla Confindustria, davanti alla mafia,
l'intera classe lavoratrice, al Nord e al Sud. Fateci caso: più i lavoratori del Nord
e del Sud sono stati uniti, come negli anni '60 e '70, più si è fatto qualche passo in
avanti; più i lavoratori del Nord e del Sud si stanno allontanando tra di loro
nell'illusione di poter meglio risolvere i propri problemi a scala locale, più bastonate
stanno prendendo, tanto al Nord che al Sud, tanto dal capitale che dallo stato (cariche di
polizia a Nord contro i dipendenti Postalmarket e gli allevatori, cariche di polizia a Sud
contro i disoccupati, cariche di polizia a Roma contro gli operai...).
E' una grande illusione che un nuovo "stato padano", solo perché "di
padani", porterebbe i lavoratori del Nord alla terra promessa della loro
libertà.
Di che natura sarà quello stato? Quale classe lo comanderà? A quali regole obbedirà? Si
baserà anch'esso sulla finta eguaglianza davanti alla legge (e davanti all'urna) di
Agnelli e dell'operaio Fiat, di Berlusconi e della commessa della Standa, di Benetton e
del suo artigiano contoterzista, di Gnutti e dei "suoi" operai? Allora sarà un fac-simile
dello stato italiano di oggi, perfino più ingannevole di quello attuale perché,
sotto la finzione della "comune appartenenza padana" di sfruttati e sfruttatori,
si riprodurranno lo sfruttamento e il parassitismo di oggi, anche senza il Sud.
Il nuovo stato accetterà le sacre regole del mercato globale? Allora sarà, come gli
altri stati occidentali, una macchina di assistenza per le classi sfruttatrici e sarà il
loro randello sulle schiene dei lavoratori padani. Taglierà le pensioni (leggetelo
bene: Pagliarini, lodando la riforma del fascistone Pinochet, già lo preannuncia),
taglierà i salari, taglierà i posti di lavoro, la spesa sociale e tutto il resto,
proprio come FMI e borse mondiali ordinano.
Stati più piccoli non significano affatto stati più controllati dal basso, bensì,
tutt'al contrario, stati più controllati dall'alto. Dall'alto dei poteri forti
internazionali, che sono gl'incontrastati despoti degli stati piccoli e medio-piccoli; e
dall'alto di piccole cricche di potere locali, che monopolizzano e rapinano le risorse
nazionali. Nella Croazia "autodeterminata" e governata dal "blocco
croato", si tratta addirittura di una sola famiglia "legale", quella del
presidente della repubblica Tudjman, più alcune famiglie mafiose dell'Erzegovina. C'è
bisogno di dire quale sarebbe la "grande famiglia" dominante di una futura
Padania capitalista? Non è forse la stessa che governa oggi, realmente, I'Italia? E i
lavoratori del Nord dovrebbero separarsi da quelli del Sud, 0 addirittura scannarsi con
loro solo, per dare agli Agnelli ed ai loro soci più potere sulle nostre vite di
quanto già non ne abbiano, lasciando nel contempo più soli e più deboli i
lavoratori del Sud davanti all'infame borghesia meridionale?
Lavoratori della Lega,
noi comprendiamo e apprezziamo il vostro desiderio di cambiamento, la
vostra impazienza, la vostra decisione di scendere in campo in prima persona. Non vi
diciamo: "tornate a casa, tanto non cambierà mai nulla". Vi diciamo, al
contrario: marciamo insieme con tutti gli altri lavoratori, riunifichiamo -non dividiamo-
il fronte dei lavoratori a scala nazionale e internazionale per scagliare la nostra forza
concentrata e organizzata contro la classe che succhia il nostro sangue e contro tutti i
suoi stati. Non costruiamoci con le nostre stesse mani delle nuove prigioni!
Realizziamo finalmente quello che è stato il "sogno" anche delle passate
generazioni del lavoro (è questo il terreno su cui affondano realmente le nostre radici):
la classe che tutto produce, la classe lavoratrice, prenda interamente nelle sue
mani il potere, e trasformi la società mercantile in una vera associazione di liberi ed
eguali, tale perché fondata sull'abolizione dello sfruttamento del lavoro da parte del
capitale e sulla distruzione dell'oppressione di classe e di razza.
E' questa la sola battaglia (non parlamentare, non "etnica", non localistica)
che merita davvero di esser fatta!
ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA
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