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La legge finanziaria per il 2001 si presenta con i caratteri di una manovra che non taglia le spese sociali, ma anzi restituisce qualcosa ai lavoratori: alleggerimenti dell’Irpef, aumento di detrazioni e delle pensioni al minimo, riduzione e abolizione di tickets sanitari. Negli anni precedenti il governo ha "risanato" i conti pubblici con manovre economiche che hanno rastrellato -soltanto negli ultimi otto anni- la bellezza di 550mila miliardi di lire dalle tasche dei lavoratori (un vero e proprio travaso di ricchezza in favore del capitale). Ora, con la legge finanziaria per il 2001 il governo continua a destinare ingenti flussi di denaro a vantaggio del padronato, con la riduzione dell’Irpeg e con mille altri sgravi e agevolazioni. Le forze politiche di governo tessono le lodi di questa manovra in vista delle prossime elezioni politiche. Noi vogliamo invitare i lavoratori a non considerare semplicemente i ritorni immediati di questa manovra, (in ogni caso, solo una piccolissima parte che viene ridata dopo il grosso che è stato tolto), ma a valutare complessivamente se la loro condizione generale di classe è migliorata o è peggiorata grazie all’opera in questi anni dei governi Prodi, D’Alema e Amato. Se, in altre parole, l’essersi affidati mani e piedi ad una politica di passiva accettazione del "meno peggio", con la conseguente astensione da qualsiasi iniziativa autonoma di difesa e di lotta, sia stata benefica o controproducente per la tenuta unitaria di tutta la classe.
Se ragioniamo sui dati reali, vediamo che in questi cinque anni di "governo amico" l’attacco padronale non solo non si è fermato ma è andato molto a fondo Il processo di disgregazione e divisione generale della nostra classe si è accentuato. In moltissime fabbriche gli operai che la mattina entrano al lavoro non indossano più una sola tuta, ma fino a 9 – 10 tute diverse: ciò significa che questi lavoratori, nella stessa fabbrica, sono dipendenti di altrettanti differenti padroni. Segno che in questi anni il processo di divisione materiale è marciato inesorabile, con tanto di contratti, paghe, inquadramenti, orari, condizioni differenziati e con il generale abbassamento delle tutele collettive per tutti. Questa situazione ha creato uno spaventoso aumento degli incidenti e degli omicidi bianchi. Contro gli omicidi in fabbrica i lavoratori hanno scioperato nelle scorse settimane in Lombardia, Umbria e Toscana. I dati ufficiali parlano di cento lavoratori che ogni mese non tornano più a casa e di altre migliaia che vengono resi invalidi in modo più o meno grave. Una vera e propria strage nel nome del dio mercato, del dio profitto, del dio capitale!
Se ciò accade è proprio grazie alle politiche condotte dai vari governi di centrosinistra che, avvalendosi dell’azione delle direzioni sindacali volta a smobilitare la forza dei lavoratori, hanno, da un lato, assecondato la spinta padronale a rimettere in discussione tutte le tutele generali dei contratti collettivi nazionali di lavoro e, dall’altro, hanno sancito per i nuovi occupati condizioni di estrema ricattabilità, precarietà e flessibilità. I governi di centrosinistra hanno attaccato la classe operaia gradualmente, puntando essenzialmente a indebolirla, a imbrigliare ogni sua capacità di reazione, a favorire un lento processo di disarticolazione politica e sindacale, che pone oggi l’intero proletariato in una situazione di difficoltà, visto il fossato che si è aperto tra lavoratori giovani e anziani, occupati e disoccupati, "garantiti" e senza tutele, uomini e donne, del Nord e del Sud, italiani e immigrati. La politica di passiva accettazione del "meno peggio" -favorita dalle direzioni sindacali e dalle "sinistre" di governo e di opposizione tutte attente alle conte elettorali- prepara in realtà il peggio del peggio. Se non si cambia rotta di 180 gradi, quando il padronato e la borghesia daranno il benservito alla "sinistra responsabile" e torneranno, con un governo di destra, ad attaccare frontalmente e a fondo i lavoratori, ci troveremo senza la necessaria forza per poter rispondere. Questo è uno scenario inevitabile, se non si inverte sin da ora l’attuale situazione di passivizzazione, dispersione e frantumazione delle forze di classe.
Di fronte a questo attacco, alcuni settori del proletariato hanno incominciato a rispondere con la lotta. I lavoratori della Fiat dopo tredici anni hanno scioperato in massa negli stabilimenti di tutta l’Italia per il rinnovo del contratto integrativo. Lo sciopero in Fiat vede ridiscendere in campo il settore centrale della classe operaia italiana e soprattutto vede protagonisti gli operai di Melfi e di Avellino, che nella filosofia aziendale della Fiat dovevano servire come arma di ricatto verso tutti gli altri lavoratori (sulla base di un trattamento differenziato e peggiorativo per i lavoratori meridionali, da utilizzare poi per intaccare anche le condizioni "migliori" di quelli del Nord). Queste prime lotte sono il segnale che qualcosa si è incominciato a incrinare anche in fabbriche (il "modello Melfi") concepite e costruite per "la compartecipazione dei lavoratori ai risultati aziendali" (obiettivo tanto caro a tutte le direzioni aziendali). Oggi i lavoratori Fiat del Sud tendono la mano ai compagni del Nord. Dovrà essere cura dei lavoratori del Nord stringerla fortemente e non farsela sfuggire, per equiparare con la lotta le attuali differenti condizioni di salario, orario, ritmi, sicurezza del lavoro e difendersi unitariamente contro un attacco complessivo (la Fiat ha dichiarato altri 1.000 esuberi negli uffici del Nord e ha licenziato per rappresaglia due delegati sindacali di Avellino).
Alla Zanussi di Pordenone i lavoratori hanno bocciato l’accordo, già firmato da Cisl e Uil, che istituiva "l’operaio a chiamata", ribattezzato in modo offensivo dalla stampa borghese come "operaio squillo": "una nuova figura professionale" alla quale non è garantito il lavoro continuativo, ma che deve tenersi sempre pronta e presentarsi in fabbrica su chiamata telefonica dell’azienda. Ma anche nei "nuovi" settori della cosiddetta "new economy", dove la flessibilità la fa da padrone, ci sono stati i primi segnali di risposta dei giovani lavoratori precari (soprattutto donne) che si oppongono alla completa dipendenza delle loro vite dalle esigenze delle aziende e del mercato: i supersfruttati lavoratori del gruppo Ikea e quelli dei Mc Donald’s di Firenze, Roma e Catania sono scesi in sciopero, mentre anche nei "call-center" (dove i rapporti di lavoro sono prevalentemente "atipici") i lavoratoti hanno iniziato a organizzarsi attorno a una propria piattaforma di rivendicazioni.
Si tratta indubbiamente di primi segnali di ripresa. Ma essi sono importanti perché sono indice di una insofferenza ormai generalizzata tra i lavoratori per le proprie condizioni di vita e di lavoro sempre più schiacciate dalle necessità e dalle esigenze del profitto. Quelle esigenze che la politica dei governi di centrosinistra asseconda a 360 gradi: con la riforma della scuola, che apre la strada a una ancor maggiore selezione di classe nell’istruzione; con la "riforma federalista" che punta a dividere i lavoratori e accelera la tendenza a tagliare e privatizzare sanità, servizi sociali e quant’altro, legandoli sempre più strettamente ai profitti del capitale; con la politica sull’immigrazione che, negando la regolarizzazione e criminalizzando gli immigrati, concede al padronato un odioso potere di ricatto su questi lavoratori. E’ la stessa politica che ha portato il governo di centrosinistra a bombardare per mesi la Jugoslavia e il Kossovo con micidiali proiettili all’uranio.
Contro tutto questo occorre rispondere in modo unitario, generale, di massa a scala internazionale come hanno cominciato a fare gli operai sia a Seattle che a Nizza. Infatti i problemi che i lavoratori hanno di fronte non possono essere più affrontati in termini solo sindacali o nazionali. Per poterci difendere e dare battaglia generale contro il capitale, è necessario lavorare sin d’ora per riconquistare la nostra distinta organizzazione di classe. Dobbiamo dotarci di un vero sindacato di classe. Dobbiamo dotarci del nostro autonomo partito comunista internazionale, che assuma su di sé il compito di aggredire tutte le contraddizioni che il sistema capitalistico sta portando al loro apice! Un partito che riprenda la battaglia contro l’offensiva complessiva di governo e padroni, ritessa i fili dell’unità di classe con tutti i settori del proletariato (precario, disoccupato, immigrato) e getti i ponti di lotta e di organizzazione al proletariato internazionale e alle masse oppresse dall’imperialismo.
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