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La settimana scorsa in Bangladesh - nella città di Shippur - più di cinquanta operai (per lo più donne e bambini) sono morti soffocati nell’incendio della fabbrica tessile dove erano rinchiusi a lavorare in condizioni di autentica schiavitù. Nel momento in cui si sono sviluppate le fiamme erano al lavoro nel maglificio circa novecento operai (il numero dei morti con ogni probabilità è tristemente ben superiore a quello fornito dalle versioni ufficiali) e tutte le vie d’uscita dello stabilimento erano state criminalmente sbarrate dall’esterno dal padrone affinché nessuno potesse allontanarsi dal lavoro: si è così consumata un’orribile ed infame strage. Lo scorso 18 Novembre in un’azienda chimica di Johannesburg, in Sud Africa, identica tremenda scena: incendio, porte sbarrate dall’esterno per "motivi di sicurezza", dodici operai arsi vivi.
Queste tragedie non sono casuali né costituiscono delle eccezioni. In tutto il Sud del mondo centinaia di milioni di uomini, donne e bambini di ogni età sono infatti costretti dalla fame e dalla miseria a lavorare nell’industria, nelle miniere e nei campi in regime di sfruttamento bestiale ed in assenza di ogni sia pur minima misura di sicurezza. I primi veri ed autentici responsabili di tutto ciò stanno qui in "casa nostra": sono le banche, le multinazionali ed i governi occidentali che attraverso i meccanismi usurai del mercato e della finanza internazionale schiacciano sotto il loro tallone assassino ed affamatore i paesi e le masse lavoratrici in tutto il terzo mondo. In Bangladesh l’intera industria tessile (più di un milione e mezzo di addetti) lavora al servizio - diretto o indiretto - dei grandi marchi dell’abbigliamento occidentale, in Sud Africa le miniere e le industrie producono per conto delle Holding americane ed europee, ovunque nel Sud del mondo si spreme il sudore ed il sangue dei proletari innanzitutto per il profitto dei signori del dollaro, della sterlina e dell’euro.
Il regime di sfruttamento schiavistico a cui sono costrette le masse del Sud del mondo non solo si traduce in enormi guadagni per le grandi compagnie multinazionali, ma viene anche utilizzato per ricattare ed indebolire a tutto campo e pesantemente gli stessi lavoratori occidentali con la costante minaccia di trasferimento degli impianti e delle produzioni all’estero e con il "confronto" con salari, orari e complessive condizioni di lavoro al limite della umana sopportazione.
L’insegnamento che viene fuori dagli avvenimenti di questi anni è che quanto più l’imperialismo (cioè quel pugno di nazioni ricche - con l’Italia nelle prime fila - che domina il mondo) affonda i suoi artigli nelle carni degli sfruttati del Sud e dell’Est del mondo, tanto più esso schiaccia anche i proletari d’occidente: questo insegnamento deve essere prontamente fatto nostro. Nessuna reale e stabile tutela delle nostre condizioni lavorative e salariali, nessuno stop al continuo aumento dello sfruttamento (con il suo carico di morti sul lavoro), nessun argine al dilagare della precarietà e del lavoro "nero" ed alla ripresa in sempre più grande stile dello sfruttamento minorile anche qui in Italia ed in occidente, nessuna stabile e reale barriera contro l’offensiva capitalistica insomma potrà mai essere eretta a nostra difesa fino a quando permetteremo - anche con la nostra indifferenza e passività - che nei restanti tre quarti del pianeta i nostri stessi padroni mettano alla frusta e schiavizzino (direttamente o con la complicità delle borghesie locali) milioni di uomini, donne e bambini.
L’imperialismo mette in concorrenza i lavoratori del Sud del mondo con quelli del Nord, quelli occidentali con quelli immigrati (cioè con quei proletari che proprio dall’opera di rapina dei "nostri" capitalisti sono costretti ad abbandonare i loro paesi), al fine di approfondire la separazione tra queste varie sezioni della nostra classe. Per questa via punta, a scala nazionale e mondiale, ad azzerare la forza politica del proletariato e ad imporre a tutte le latitudini e con sempre più violenza il proprio ordine fatto di sangue e profitto.
Contro tutto ciò per i lavoratori occidentali vi è una sola strada: quella di separare e contrapporre i propri destini da quelli della "propria" nazione e del "proprio" capitalismo e, al contrario, di ricongiungersi in un unico esercito di classe con gli sfruttati del Sud del mondo. Andare in questa direzione è urgente e significa iniziare ad appoggiare sin da subito ed incondizionatamente le lotte che le masse oppresse del pianeta conducono contro l’"ordine occidentale", significa battersi a fondo contro ogni "umanitaria" aggressione militare che (come in Iraq e Jugoslavia) l’imperialismo scaglia contro i popoli che non si piegano ai suoi diktat, significa appoggiare senza condizioni il processo di organizzazione e lotta dei lavoratori immigrati, significa denunciare le stragi come quelle avvenute in Bangladesh sentendole e vedendole per quelle che esse realmente sono: dei crimini che l’imperialismo compie contro la nostra classe, contro noi stessi.
E’ solo per tale via che potremo riconquistare un programma ed un partito autenticamente classista ed internazionalista attorno a cui serrare le fila del proletariato mondiale per resistere e dare guerra a tutto campo al capitalismo e per sotterrarlo con tutte le sue leggi di mercato, morte e miseria, in nome e nella prospettiva del socialismo internazionale.
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