PER UN PIENO PROTAGONISMO POLITICO DI MASSA DEL PROLETARIATO
 RILANCIAMO LA LOTTA E L’ORGANIZZAZIONE DI CLASSE


Un primo bilancio sulla mobilitazione a difesa dell’articolo 18.

L’attacco del governo Berlusconi é la versione italiana dell’offensiva globale del capitalismo mondiale che punta a perpetuare lo schiacciamento più indiscriminato di interi popoli e continenti del Sud del mondo come anche di procedere alla drastica erosione dei diritti conquistati dai lavoratori in Occidente.

Lo sciopero generale del 16 aprile ha messo in campo la disponibilità dei lavoratori a battersi. Per vincere occorrono un indirizzo e un programma adeguati. Tutti i lavoratori, i giovani, le donne, gli immigrati devono sentirsi impegnati in prima persona a prendere in carico collettivamente le necessità di organizzazione, di politica, di programma che avanzano dalla stessa iniziativa di massa dei lavoratori. Insieme ai numeri, dobbiamo riconquistare e mettere in campo il pieno protagonismo politico dei lavoratori e di tutti gli sfruttati come classe "per sé", che difende con determinazione i propri diritti, che vive e lotta per la propria distinta e contrapposta prospettiva di liberazione dalla schiavitù del capitale.

Unificare la lotta dei lavoratori occidentali con la resistenza anti-imperialista
degli sfruttati del Sud del mondo.

I centri di potere del capitalismo mondiale, quando vedono minacciati i propri profitti, non conoscono tutele per chi lavora e anzi pretendono il crescente sfruttamento del lavoro alla scala mondiale, non fermandosi di fronte ai disastri ambientali, alle guerre e ad ogni sorta di distruzioni pur di imporre i propri interessi. L’offensiva del governo Berlusconi è parte di questo attacco. Per questo è necessario che la mobilitazione dei lavoratori sappia identificarsi con le ragioni di un’unica battaglia del proletariato internazionale contro il capitalismo mondiale, con la lotta degli sfruttati di ogni continente e nazione, con la resistenza delle masse del Sud del mondo oppresse dall’imperialismo.

Finora i governi e gli stati del democratico Occidente si sono "limitati" a scaricare il peso maggiore della loro torchiatura sui popoli oppressi del Sud e dell’Est del pianeta. Ma come è possibile evitare qui continui peggioramenti delle nostre condizioni di lavoro, se si consente ai "nostri" governi di imporre salari da fame e condizioni inumane ai lavoratori della Corea, dei Balcani, del Medioriente, dell’America Latina? Oggi l’imperialismo occidentale deve iniziare ad attaccare in profondità anche i lavoratori occidentali e a vincolare l’illusione di eventuali sconti alla partecipazione dei lavoratori d’Occidente, come carne da cannone, alle guerre necessarie per mantenere il saccheggio neo-coloniale e per tentare di schiacciare nel sangue la resistenza dei lavoratori e degli sfruttati che nel mondo intero vi si oppongono: dall’Iraq alla Palestina, dall’Afghanistan all’Argentina. Ma "un popolo che opprime un altro popolo non potrà mai essere libero": i lavoratori occidentali, se non vogliono rinunciare a difendere se stessi, devono prendere in carico la denuncia e la lotta contro i ricatti economici, gli embarghi e le guerre dell’Occidente e dell’Italia contro i popoli del Sud del mondo; devono riconoscere e valorizzare la resistenza degli oppressi (dalla Palestina … all’Argentina) e lavorare per unificarla idealmente e materialmente alla propria lotta contro un nemico che è comune e che sta qui. Difendere l’articolo 18 vuole dire respingere la vergognosa campagna che addita i popoli che non si piegano ai diktat imperialisti come "incivili criminali" da sterminare; vuole dire respingere le campagne d’odio e discriminazione contro i lavoratori immigrati e scendere in campo per rivendicare insieme a loro parità di diritti; vuole dire iniziare a separare il destino della classe lavoratrice da quello dei propri stati e governi, che puntano a coinvolgerci non solo nella rinuncia ad ogni difesa dei nostri diritti ma anche nel massacro di altri lavoratori. La guerra infinita di Bush, Blair, Berlusconi (come ieri di D’Alema nei Balcani) conduce la classe lavoratrice mondiale verso il suicidio e l’intera umanità verso la barbarie.

Per questo l’Intifadah palestinese ci riguarda direttamente: essa rappresenta il livello estremo, all’oggi, dell’oppressione del capitale sugli sfruttati del mondo intero; essa è una delle facce, la più cruda, dell’offensiva globale del capitalismo, quella che punta a tenere l’intero mondo arabo-islamico sotto il tallone di ferro occidentale per poter disporre di petrolio e braccia a costo zero per i propri affari miliardari. Se i lavoratori occidentali non sapranno impedire, con la propria iniziativa di lotta a sostegno delle masse palestinesi e arabo-islamiche, la realizzazione dei piani imperialisti, lungi dal "guadagnarne", si troveranno a fronteggiare anche in casa propria un fronte imperialista e padronale più forte e galvanizzato nell’imporre ovunque e contro tutti la supremazia dei propri interessi di profitto.

Battere in piazza il governo Berlusconi e la complessiva politica del capitale.

I dirigenti sindacali e i rappresentanti della "sinistra" sono ovviamente di tutt’altro avviso. Essi appoggiano la politica estera del governo e, purché venga stralciata la contro-riforma dell’articolo 18, si dicono pronti a dialogare "su tutto il resto". In questo modo essi sminuiscono la portata e i contenuti reali dell’attacco e, invece di organizzare la riposta dei lavoratori sul terreno suo proprio, la indirizzano sin da oggi verso la smobilitazione della piazza. Invece l’attacco sull’articolo 18 potrà essere respinto solo mandando a casa il governo Berlusconi sulla spinta della mobilitazione di piazza. E perché la piazza maturi una tale spinta, la mobilitazione deve rispondere su tutti i piani all’offensiva del governo: il NO alla "libertà" di licenziare potrà essere vincente solo se avrà la capacità di organizzare nei posti di lavoro, nella società, nelle piazze il NO complessivo e generale all’intera politica del capitale. Per vincere sull’articolo 18 è necessario contrastare tutte le misure previste nel "libro bianco" del ministro Maroni, che puntano a una flessibilità sempre maggiore del mercato del lavoro e ad ancorare sempre di più alle esigenze del profitto la previdenza, la sanità, la scuola; così come per contrastare il disegno padronale che punta a imporre e generalizzare il contratto individuale, occorre respingere oggi il contratto di soggiorno "usa e getta" previsto per gli immigrati dalla legge Bossi-Fini.

Le direzioni politiche e sindacali della "sinistra" puntano invece a rilanciare la contrattazione con le controparti. Dall’opposizione o dal governo esse perseguono la medesima linea suicida per i lavoratori: quella che presume di poter mettere insieme le esigenze di rilancio della competitività aziendale e del "sistema-Italia" - e annesse richieste di flessibilità del padronato - con la difesa dei diritti dei lavoratori.

In realtà competitività/flessibilità e diritti non possono essere salvaguardati insieme.

Come proseguire la lotta: nell’immediato e nella prospettiva.

Il protagonismo dei lavoratori deve prendere in carico direttamente i contenuti e le modalità per proseguire la mobilitazione, senza attendersi che, fatto lo sciopero, qualcuno per noi vada a trattare e a sistemare le cose. E infatti le direzioni sindacali, come già fecero nel 1984 contro l’attacco alla scala mobile, puntano piuttosto al referendum: questa via smobilita la piazza, invece di organizzarla e dirigerla per mandare a casa il governo antioperaio e le sue "riforme". Così come anche sarebbe fallimentare riporre speranze in una ipotetica rivincita elettorale del centro-sinistra: nel 1994 la mobilitazione dei lavoratori contro la riforma delle pensioni del primo governo Berlusconi fu spenta nelle braccia del "governo amico" dell’Ulivo, che poi realizzò, più gradualmente, la stessa contro-riforma e la stessa politica antioperaia. La logica del "meno peggio" prepara la strada allo stesso ritorno aggressivo delle destre, come dimostrano anche le recenti elezioni presidenziali in Francia.

Contro l’offensiva del padronato, che per voce di un Berlusconi punta spavaldamente a frammentare e dividere sempre di più l’esercito degli sfruttati, noi dobbiamo accentuare il carattere politico e generale della nostra mobilitazione, dobbiamo chiedere l’estensione delle tutele generali come l’articolo 18 ai giovani e agli immigrati, dobbiamo coinvolgere e unire nella lotta "padri" e "figli", uomini e donne, lavoratori italiani e immigrati, del meridione e del settentrione. Dobbiamo guardare e collegarci alle lotte dei lavoratori negli altri paesi e alla resistenza di sterminate masse di sfruttati in tutto il Sud del mondo.

L’assenza di una alternativa politica immediata non deve paralizzarci. La nostra vera alternativa la costruiamo iniziando a riconquistare e a far vivere nelle lotte la consapevolezza che rivendica alla nostra classe - la classe che produce l’intera ricchezza sociale - tutto il potere di decidere sulla società e sulla produzione. Contro la barbarie alla quale ci sta portando il capitale, i lavoratori sono chiamati a rivendicare con orgoglio la propria storica prospettiva di un altro mondo possibile, senza e contro il capitalismo, dove la produzione sociale sia finalmente sottratta all’appropriazione e ai profitti di una ristretta cerchia di sfruttatori e restituita all’intera collettività mondiale per soddisfare i bisogni umani. All’immediato la nostra prospettiva politica deve essere quella di battere in piazza tutti i governi, siano di centro-destra o di centro-sinistra, che proseguano l’attacco contro i nostri diritti, come ci insegna la formidabile sollevazione delle masse proletarie in Argentina.

Opponiamo dunque alle mille varianti, di "destra" e di "sinistra", del programma del capitale un programma di difesa intransigente degli interessi proletari! Lavoriamo in prima persona per far rinascere un vero partito dei lavoratori! Per il comunismo!

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA