Gli allevatori di mucche da latte sono in
agitazione e promettono di rimanervi fin quando il governo non dispone di restituire tutti
i soldi che le aziende acquirenti di latte hanno trattenuto per pagare le multe decise
dallUnione Europea.
Contro di loro il governo non ha esitato a scatenare la polizia. Anche in ciò il
governo Ulivo-Rifondazione s'è dimostrato identico ai precedenti: violenza di stato
contro le proteste di allevatori, studenti, disoccupati, così come per reprimere
dei proletari che per gridare la loro stanchezza di subire le vessazioni economiche e
sociali dello stato hanno scalato un campanile.
Mentre con una mano picchiava, con laltra il governo offriva di restituire parte
delle multe. Gli allevatori non sono soddisfatti. Essi non si sentono responsabili per lo
sforamento del tetto produttivo imposto dall'Unione Europea, e sostengono che la
responsabilità è della gestione dello stato e degli organi addetti al controllo e
all'assegnazione delle quote. Pressapochismo, inefficienza, favoritismi, commercio legale
e illegale delle quote hanno prodotto la situazione attuale. Questo è certo, come è
certo che una parte degli allevatori ha approfittato di questa confusione.
Inefficienza dello stato e clientelismo non spiegano, però, lintera vicenda.
Infatti, dalla politica delle quote hanno guadagnato non solo i "soliti
protetti" dal clientelismo, ma le grandi aziende che ritirano il latte per
immetterlo in consumo o trasformarlo in altri prodotti. Una filiera produttiva e
commerciale su cui dominano pochi grandi gruppi con capitale italiano o straniero,
che hanno importato latte facendolo risultare italiano, o hanno dichiarato come latte il
prodotto ottenuto dal latte in polvere. E ci hanno guadagnato anche i grandi allevatori,
che hanno continuato a ingrandirsi mentre molti dei piccoli erano costretti a chiudere.
Basti pensare che nell83 c'erano in Italia 424.000 aziende (il 64% con meno di 5
capi), oggi sono 105.000! La stessa situazione odierna (multe e stretta produttiva) mette "fuori-mercato"
solo i piccoli produttori, con piccole stalle ove lavorano unicamente con le proprie
famiglie, e non certo le grandi aziende con capitali rilevanti e impiego di manodopera
(spesso extracomunitaria).
Il sistema delle quote non ha, quindi, protetto i piccoli produttori, ma se fosse
sostituito dalla piena libertà di produzione, le loro difficoltà aumenterebbero. Essi,
infatti, hanno una produttività più bassa della grande industria. Per sopravvivere
dovrebbero vendere le merci a prezzi superiori a quelli della grande industria, a prezzi,
cioè, "fuori-mercato". E', quindi, proprio il mercato che distrugge il
piccolo produttore. Tutti i partiti che difendono il mercato e il liberismo (in modo
estremo, come Lega e Polo, o in modo moderato, come Ulivo-Rifondazione) mentono sapendo
di mentire quando promettono protezione ai "piccoli produttori".
Nello scontro tra grande capitale (che domina il mercato) e piccoli produttori, da che
parte deve schierarsi la classe operaia?
Per aiutare i piccoli produttori a conservare i loro capitali, il proletariato dovrebbe
accettare di pagare le loro merci a prezzi più alti di quelli di mercato. Per tutti i
salariati (dipendenti o a partita IVA) sarebbe un bel salasso. Perciò, il proletariato
non ha interesse a lottare per conservare i piccoli capitalisti. Ma, non ha interesse
neanche a schierarsi dal lato dei grandi capitali.
Per far fronte alla concorrenza sui mercati, i grandi capitali cercano di aumentare i
profitti. e, per questo, peggiorano di continuo le condizioni di vita e di lavoro della
classe operaia. La corsa al profitto non risparmia, però, neanche il "lavoro
autonomo", e lo spoglia di quel che ha con la tenaglia che gli stringono al collo
il mercato e lo stato, che, da parte sua, agisce nel diretto interesse dei grande
capitale, anche quando è governato dalla "sinistra".
La classe operaia e i piccoli produttori autonomi hanno, quindi, uno stesso identico
nemico: il capitalismo. La prima è stata sempre schiacciata e sfruttata da questo
sistema. I secondi hanno creduto di potersi scavare delle nicchie di benessere nelle sue
maglie, ma oggi sono duramente ricacciati indietro, alle condizioni di semplici
proletari. Con le loro reazioni di lotta vorrebbero difendere un passato che si
dilegua, vorrebbero difendere quel piccolo capitale accumulato con tanta fatica personale
e dei propri familiari. Ma le forze dei mercati, esercitate tramite la concorrenza,
le banche, gli stati, le grandi istituzioni europee e mondiali del capitalismo, gli sottraggono
ogni briciola del loro capitale e li costringono a un autosfruttamento che
cresce senza sosta.
Il capitalismo dimostra, ormai, tutta la sua carica distruttiva. La difesa dei
profitti non si ferma neanche dinanzi alla vita umana, e provoca contraddizioni che
sembrano assurde. L'Europa, per esempio, è sommersa dalla sovrapproduzione di
latte (come di olio, frutta, ecc.) e cerca di ridurre la produzione, multando chi produce
oltre le quote. Nello stesso tempo tre quarti di umanità ha problemi alimentari, e un
quinto patisce la fame. Sembra assurdo, ma la spiegazione è semplice: non si può
vendere a chi non ha i soldi, non ci sarebbero profitti! Meglio distruggere i
prodotti per mantenere i prezzi artificiosamente alti. La colpa non è dei contadini o
degli allevatori, ma di un sistema di produzione ormai marcio. Un sistema che è
maturo per essere completamente smantellato e sostituito dal comunismo (altra cosa
da quello dell'URSS o della Cina, che era ed è puro capitalismo), ossia da un sistema che
non ha profitto, scambio monetario e mercato, e che può, quindi, produrre tutto
ciò di cui l'intera umanità ha bisogno, e solo ciò di cui essa ha bisogno.Questo
trapasso storico può essere realizzato con l'unione rivoluzionaria tra il proletariato
europeo, americano, asiatico e le masse sfruttate del terzo mondo, ridotte alla
fame mentre la loro agricoltura è costretta a produrre materie prime che il più potente
capitalismo occidentale saccheggia senza freni.
Compagni operai,
riprendiamo saldamente la strada, dura ma necessaria, di lottare senza esclusione
di colpi contro il capitalismo. Per dare vita a organizzazioni sindacali e
politiche, che rispondano unicamente agli interessi della nostra classe.Per
costruire un partito del proletariato che non sia sottomesso al
capitalismo in nessuna forma, che sia veramente e saldamente comunista.
Il nostro appoggio agli allevatori in lotta possiamo darlo così, lottando contro il
capitalismo per i nostri interessi di classe. Solo mettendo in campo tutta l'immensa
forza di cui la classe operaia è dotata potremo attrarre verso noi anche tutte le altre
forze sociali attaccate dal capitalismo, non per garantirgli la conservazione dei
passato, ma per unirle nella lotta per un futuro migliore, che si lasci dietro
il capitalismo e le sue contraddizioni.