La terroristica operazione militare israeliana di questi ultimi giorni non è un "dato eccezionale o improvviso" ma è il naturale approdo dell’interminabile aggressione che l’Occidente imperialistico ed il suo cane da guardia, lo stato d’Israele, conducono da decenni contro le masse palestinesi e tutte le popolazioni arabo-islamiche.
Alla vigilia dello scatenamento della "guerra infinita" Bush aveva promesso uno "Stato palestinese". Tale promessa si è immediatamente dimostrata (e non poteva essere diversamente!) una squallida menzogna finalizzata a dare alle borghesie arabe compromesse con l'Occidente (e, nei fatti, indifferenti alla sorte dei palestinesi) un minimo di legittimazione davanti ai propri popoli mentre si andava ad aggredire l'Afghanistan. Adesso gli occidentali ed Israele presentano il conto. Ad essi non basta più l’arrendevole politica di un Arafat: vogliono di più!
La verità è che ogni (illusorio) processo di pace è morto e sepolto. Seppellito non solo dal giro di vite durissimo contro i palestinesi, ma dal contestuale rilancio in grande dell'aggressione all’insieme del mondo arabo-islamico come dimostrano le minacce americane contro l’Irak e gli altri paesi catalogati alla stregua di "stati canaglia": A dimostrazione dello stretto legame che intercorre tra la lotta palestinese e le sorti delle masse dell’intera area medio-orientale.
La guerra in atto in Palestina non è infatti un terribile e sanguinoso scontro da circoscrivere alla sola brutalità di quel macellaio di Sharon, non è una aggressione diversa da quella che hanno subito gli sfruttati, ieri in Jugoslavia, oggi in Afghanistan e domani in Iraq e magari in Libano o in Siria. E’ un’aggressione tra l’ordine "mondiale" capitalista e terrorista di Bush e di tutti gli altri Stati occidentali contro ogni istanza di lotta e liberazione degli sfruttati. E’ parte integrante di quella "guerra infinita" che il capitalismo e l’imperialismo hanno dichiarato contro tutti gli oppressi, per sfruttarne sudore, lavoro, territori e risorse. In ballo c’è – ancora una volta – oltre al controllo del petrolio dell’intera regione - la necessità, da parte di tutti gli stati occidentali, di strozzare l’intifada, intesa non già solo come l’anelito di rivolta di un popolo per il proprio riscatto nazionale e sociale, ma come un potente segnale di resistenza degli oppressi ai piani di sfruttamento dell’intero imperialismo.
Ed allora, i palestinesi non stanno versando il loro sangue solo per la loro "terra" ma per l’intero proletariato mondiale.
Per la classe operaia occidentale e per le sue nuove generazioni che non possono illudersi di difendere, anche solo l’articolo 18 o gli effetti più devastanti della globalizzazione, senza fare i conti con questa bestiale e sanguinaria aggressione, importante tassello dello scontro internazionale tra proletariato e capitalismo;
per le stesse super-sfruttate e super-oppresse masse arabo-islamiche, che devono iniziare a fare i conti con le loro sempre più bancarottiere direzioni politiche, dalla stessa OLP, alla Lega Araba, alla assai (apparentemente) più radicale Al Quaeda;
per lo stesso proletariato ebraico, trascinato in questa guerra dal proprio Stato a rinunciare ad ogni sua autonoma posizione di classe, ad ogni suo anelito di liberazione e di riappropriazione di un senso di umanità e dignità, ma sempre più necessitato a porsi la scelta di separarsi da esso, previo il suo totale annullamento.
Ma prima di aspettarsi questi passaggi dai proletari palestinesi, arabo-islamici e perfino ebrei, non abbiamo noi, forse, che viviamo nel cuore delle roccaforti imperialiste di questa aggressione - il compito di chiederci cosa fare? E’ possibile che il nostro senso di "real politik", il nostro presunto "concretismo" ci faccia pensare che veramente l’Europa, l’Italia con i suoi Tremaglia, Berlusconi, Dini ed Andreotti siano oggi i nuovi "eroi" della lotta palestinese? E’ possibile pensare che l’aggressione imperialista alla lotta del popolo palestinese possa essere contrastata dalle forze di "interposizione" dell’Europa e dell’ONU, quelle stesse forze che hanno ratificato ed appoggiato le aggressioni alla Somalia, alla Albania, all’Iraq e alla Jugoslavia? E’ possibile pensare di allargare il nostro "fronte" di resistenza all’imperialismo chiedendo allo stesso imperialismo di casa nostra di farci da garante?
Certo gli interessi dei singoli stati imperialisti non sono univoci, sono spesso conflittuali tra di loro, ma su una cosa hanno un "comune ed istintivo sentire": reprimere, schiantare e annullare ogni resistenza e lotta di classe.
Il capitalismo non è un terribile "Moloc" invincibile ed indistruttibile contro il quale scegliere – per necessità – "il male minore", l’Europa contro gli Stati Uniti, o "il centro contro l’estrema destra". Le loro finalità sono le stesse, seppure a volte perseguite in maniera differente, per tempi e modalità. Una resistenza popolare si può tentare di stroncarla con le bombe, i carri armati, o semplicemente con gli embarghi, i piani "Marshall" e le leggi "invisibili" del WTO.
L’intifada è stata fino adesso isolata, ma soprattutto perché qui, si continua a pensare che il "massimo" a cui si può puntare "realisticamente" è ad una incrinatura sempre più profonda tra gli schieramenti imperialisti (puntando sull’Europa o sul Vaticano), invece di combatterli quali degni compari della cordata imperialista israeliano-americana le cui mano grondano del sangue dei palestinesi e degli sfruttati del sud del mondo. E qui vanno innanzitutto denunciati e lottati.
E quindi, altro che forze di "interposizione", evocate da D’alema, Dini, e perfino Berlusconi, forze che farebbero da interposizione e deterrenza solo alla volontà di resistenza delle masse sfruttate a battersi contro l’imperialismo, ma lotta senza quartiere al nemico in "casa nostra".
Vogliamo domandare ai compagni che si affidano in buona fede ai vari Bertinotti, Agnoletto, Casarin & Co. perché dovremmo batterci per il ritiro delle truppe italiane in Afghanistan e contemporaneamente chiedere al Parlamento italiano di inviare truppe in Palestina? Perché dovremmo chiedere a quel parlamento che si appresta a varare le "riforme" sull’articolo 18 e la criminale Legge Bossi-Fini contro gli immigrati di fare da "garante", con le sue delegazioni, del diritto di sopravvivenza del popolo palestinese? Perché dovremmo pensare che chi ha legittimato come l’Ulivo, dopo l’11 settembre, "l’uso della forza per combattere il Terrorismo" (ossia l’uso della forza contro gli oppressi) e questa ha praticato direttamente in Somalia, in Albania e nei Balcani, possa oggi essere un nostro credibile alleato contro la belva israeliano-americana?
E perché dovremmo accettare il ricatto che l’imperialismo tutto ci impone tra "terrorismo" e "democrazia", per imporci una sorta di equidistanza tra i combattenti palestinesi (che continuano a chiamare "kamikaze") e la violenza e la potenza di fuoco di uno degli eserciti più potenti del mondo? Noi dobbiamo rifiutare questa criminale equazione, questo criminale tentativo di mettere sullo stesso piano la violenza degli oppressi a quella degli oppressori, la violenza di popolo a quella degli Stati e finalizzata solamente ad impedire che gli sfruttati si ribellino e si difendano dalla violenza organizzata e concentrata del capitalismo.
Scendere in campo a fianco dei palestinesi ci chiama a dire innanzitutto che il nemico è in casa nostra! I primi veri mandanti dell'oppressione e del massacro del popolo palestinese sono gli stessi che qui (sia pure in maniera differenziata) attaccano quotidianamente le nostre condizioni di vita e lavoro, sono gli stessi che varano le leggi razziste contro i lavoratori immigrati, sono le "nostre" istituzioni finanziarie e politiche, i "nostri" Stati ed i "nostri" governi: la nostra battaglia deve rivolgersi contro di essi ed incondizionatamente a fianco della lotta degli sfruttati di Palestina e di tutto il Sud del mondo.
E' questa la solidarietà di cui hanno bisogno le masse di Gaza, della Cisgiordania e di tutto il Medio Oriente. E' questa la solidarietà che può realmente aiutare ad andare verso l'unica soluzione che può portare ad una vera pace ed una vera giustizia: cioè verso l'unificazione degli oppressi di tutta l'area sulla base di un unitario programma di liberazione sociale per la distruzione dello Stato d'Israele, la cacciata dell'imperialismo dal Medio Oriente e per l'instaurazione di una federazione dei soviet dei lavoratori (tanto arabi, quanto kurdi o ebrei) nella regione.
Le masse palestinesi e di tutto il Sud del mondo stanno, da sempre, facendo eroicamente la loro parte. Spetta al proletariato occidentale raccoglierne l'urlo di lotta e scendere in campo col suo decisivo peso nella battaglia contro l'imperialismo e per il socialismo internazionale.
Per contribuire a questa prospettiva, uno dei nostri compiti, oltre le mobilitazioni di questi giorni, dovrà essere quello di far vivere la nostra incondizionata solidarietà di classe a fianco della lotta delle masse palestinesi in ogni nostra battaglia sindacale e politica, nei nostri posti di lavoro, nei quartieri, nelle scuole, nella Perugia-Assisi come e soprattutto nello sciopero generale del 16 aprile contro il governo Berlusconi, contro uno dei governi che arma la mano del boia israeliano.