ALLA FAME, ALLA MISERIA, ALLE GUERRE ED AI MOSTRI ALIMENTARI PRODOTTI DALLA GLOBALIZZAZIONE CAPITALISTICA 
RISPONDIAMO GLOBALIZZANDO LA LOTTA E L’ORGANIZZAZIONE DI CLASSE PER IL COMUNISMO

 

Negli ultimi venti anni il numero delle persone affamate nel mondo è cresciuto fino a giungere oggi alla cifra di oltre ottocento milioni, la concentrazione della proprietà terriera è aumentata e con essa è avanzato il parallelo processo di espropriazione e spoliazione delle masse contadine, la desertificazione del territorio è progredita senza sosta e lo stesso equilibrio ecologico del pianeta da cui dipende la vita della nostra specie ha subito duri colpi. Oggi, sulla scia di Seattle e di Genova, siamo in massa qui – lavoratori, giovani, donne e contadini provenienti dai vari angoli della terra – per batterci contro tutto ciò e per affermare con la lotta il diritto ad un’esistenza in cui ogni essere umano sia libero dai morsi della fame e della miseria.

Si produce troppo poco cibo?

In Europa e negli USA i granai sono stracolmi, le celle frigorifero traboccano di immense quantità di carne e di burro, si produce "troppo" frumento e "troppo" latte, le mucche devono essere abbattute e la frutta mandata al macero, ma nel resto del pianeta la sotto alimentazione è cronica e crescente. La scienza e la tecnica applicate all’agricoltura ed alla zootecnia fanno passi enormi, eppure per l’immenso Sud del mondo ciò comporta solo impoverimento, denutrizione e crescente dipendenza alimentare. Mai come oggi si è assistito ad un crimine di tale portata per cui di fronte a tanta reale (ed ancor più potenziale) abbondanza quattro quinti dell’umanità sono ricacciati nella più nera indigenza. Hanno ragione le masse rurali latino americane, asiatiche ed africane quando con le loro lotte dicono che la fame non è generata dalla penuria di prodotti agricoli o dalla scarsezza di terra e di mezzi esistenti, ma dalla loro distribuzione e dal loro utilizzo.

E’ la globalizzazione capitalista che genera la fame e…

Secoli di continua e crescente rapina coloniale e neo coloniale hanno portato alla concentrazione di tutte le risorse produttive (alimentari e non) nelle mani del capitale statunitense ed europeo. La globalizzazione capitalista, figlia ed erede legittima proprio di questi processi, li accelera, estende, approfondisce ed intensifica a livelli assolutamente sconosciuti prima. Ogni anno milioni di lavoratori delle campagne vengono a viva forza sradicati, espropriati ed allontanati dai loro appezzamenti e gettati nell’inferno delle baraccopoli o costretti ad emigrare qui in Occidente dove ad attenderli trovano razzismo, altro sfruttamento ed altra oppressione. Il latifondo - in perfetta alleanza e simbiosi con gli interessi delle multinazionali – è vivo e vegeto più che mai ed i contadini (non sempre solo quelli poverissimi) vengono sempre più completamente sottomessi dalle necessità dei "poteri forti" mondiali e trasformati progressivamente in precarissimi salariati agricoli. La produzione di alimenti, al pari di ogni altro tipo di produzione, viene totalmente finalizzata alle necessità di profitto e di mercato delle corporation agroalimentari e della finanza internazionale. Necessità il cui inevitabile corollario è costituito dal crollo provocato dei prezzi dei prodotti agricoli del Sud del mondo, dalla bassissima remunerazione (spesso al di sotto del livello di sussistenza) del lavoro delle masse rurali, dalla progressiva desertificazione di intere regioni e da altre "delizie" del genere.

… che produce mostri alimentari

Ma le necessità del profitto e del mercato cominciano a far sentire, sia pur se in altro modo, le loro carezze anche qui nel dorato Occidente. Mucche pazze, polli alla diossina, bistecche agli ormoni, ortaggi e frutta geneticamente modificata ad alto rischio di nocività: le tavole ed i super mercati sono sempre più invasi da porcherie d’ogni genere. Mentre l’uso esponenzialmente crescente di disserbanti e di nuovi agenti chimici provoca sempre più gravi danni alla salute di quanti – contadini, braccianti, operai – sono addetti alle produzioni alimentari. Abbassare i costi di produzione e massimizzare gli introiti fregandosene altamente della salute dell’uomo: ecco l’unico comandamento che, anche nel campo della produzione del cibo, conosce il capitalismo. Anche nel settore alimentare diventa sempre più evidente che la scienza e la tecnica (a cominciare dalla biogenetica) piegate al dominio del profitto, invece di essere (come dovrebbero e potrebbero) dei potenti agenti per sollevare l’umanità dal bisogno, diventano al contrario fattori di peggioramento e deterioramento complessivo della vita della specie.

Intanto, a contorno di tutto ciò, anche gli agricoltori e gli allevatori (non proprio nullatenenti) europei sono sempre più colpiti e costretti a fare i conti con i diktat che il grande capitale emana attraverso le sue istituzioni "comunitarie" e si vedono sempre ridotti a semplici e totalmente subalterne appendici delle multinazionali. Le stesse lotte dei produttori di latte degli scorsi anni costituiscono proprio la dimostrazione di come sempre più oppressivo si faccia il dominio del grande capitale su tutta l’umanità lavoratrice, di come esso inizi a diventare insopportabile persino per queste frange – certamente non denutrite – di lavoratori "autonomi" ("autonomi" sempre più di parola che di fatto). E questa stessa (sia pur limitata e per certi versi non priva di ambiguità) lotta non porta forse in nuce la critica all’assurdità antisociale di un sistema che per "ragioni di mercato" impone la distruzione del latte a fronte di centinaia di milioni di esseri umani che il latte non sanno più neanche cosa sia?

Guerra e fame: due facce della stessa medaglia

Enormi finanziamenti pubblici (gli USA prevedono di stanziare 180 miliardi di dollari in "sussidio" all’agricoltura nei prossimi dieci anni) alla propria grande industria agroalimentare, protezionismo e dumping: il dominio alimentare di un pugno di global company sull’intera umanità è accompagnato, promosso e tutelato dai mostruosi apparati burocratici e militari degli Stati occidentali. E dove non si arriva con le "misure economiche" ecco pronte ad intervenire le cannoniere. I milioni e milioni di esseri umani assassinati ogni anno dalla fame sono l’altro aspetto, l’altra faccia di quella stessa guerra che l’Occidente - dall’Iraq alla Palestina, dall’Afghanistan alla Jugoslavia – conduce senza quartiere contro i popoli che non si inginocchiano di fronte all’ordine del dio profitto e del dio mercato e che osano opporre resistenza alla rapina di ogni loro risorsa e materia prima.

La FAO: un’istituzione con cui dialogare?

Se il WTO, il FMI e la Banca Mondiale vengono giustamente individuati come i principali responsabili della crescente miseria in cui sono sospinti interi continenti, la FAO - dai movimenti e da quanti si vogliono battere contro l’attuale stato delle cose - viene spesso vista come un qualcosa di "diverso", come un organismo con cui dialogare e su cui fare pressione affinché eserciti realmente le sue "funzioni istituzionali" e contribuisca per tal via ad alleviare le sofferenze alimentari dell’umanità. Ma confidare nella FAO per combattere la fame è come confidare nell’ONU per fermare le guerre. Come quest’ultimo, al di là di ogni chiacchiera, si è sempre distinto per aver benedetto e supportato – dalla Corea al Vietnam, dai bombardamenti su Baghdad a quelli su Belgrado - ogni aggressione occidentale, così allo stesso modo l’azione della FAO in tutti questi anni non solo si è dimostrata "inefficace", ma, alla lunga, ha favorito l’indebolimento delle produzioni agricole del Sud del mondo a tutto vantaggio delle Monsanto e delle Fruit Company varie. La FAO non è dunque un’istituzione "alternativa", ma un semplice tentacolo (magari quello meno aggressivo) di quella stessa piovra che domina il mondo e la cui testa risiede nelle cancellerie e nei consigli d’amministrazione di Washington, Wall Street, Londra, Roma e Parigi.

Indietro non si può tornare

"Tutti i popoli devono poter disporre di cibo e di acqua a sufficienza". Quando i movimenti contadini del Sud del mondo rivendicano la "sovranità alimentare" e la sottrazione dell’agricoltura alle regole del WTO e del commercio mondiale, essi formulano con altre parole proprio questa "elementare" e sacrosanta esigenza. Certo, la penetrazione ed il dilagare del dominio delle multinazionali e le "ferree regole" dei mercati internazionali hanno distrutto le originarie strutture economiche e produttive agricole, hanno espropriato della terra e dello stesso "sapere" gli originari produttori, hanno devastato intere regioni e portato la fame a livelli cronici e di massa mai visti prima.

Tutto questo è verissimo e tutto questo va combattuto senza esclusioni di colpi. Ma dopo oltre cinque secoli di colonialismo ed imperialismo che hanno autenticamente dissanguato interi continenti ed unificato (in modo certamente "combinato e diseguale", cioè nei termini più schifosamente possibili a tutto e solo vantaggio del più forte) a scala planetaria l’intero ciclo produttivo, la risposta a tanto enorme disastro non può più essere quella di un "ritorno al passato" in cui ogni paese provvede "individualmente" a se stesso. Per tal via chi oggi ha continuerebbe ad avere sempre più, e chi oggi non ha resterebbe solo con la propria povertà da gestire.

Il mercato alimenta le radici della miseria

Tra coloro che giustamente vogliono opporsi ai vergognosi ed infami "squilibri" prodotti dagli attuali rapporti mercantili, è diffusa l’idea che praticando e sperimentando dal basso un altro tipo di mercato - "equo e solidale" - si possa costruire un argine allo strapotere devastante delle multinazionali. Spesso questa "pratica" viene anche vista come un possibile strumento per avvicinare i popoli del Nord a quelli del Sud del mondo e per dare così respiro e aiuto alle battaglie dei continenti "colorati". Rompere quel maledetto muro di indifferenza che qui in Occidente troppo frequentemente circonda e soffoca le lotte delle masse del Sud del pianeta e, al contrario, promuovere il "contatto" tra i lavoratori ed i popoli è necessario, urgente ed indispensabile. A tal fine è giusto ed utile denunciare in tutti i modi (anche "concreti") come le regole imposte dal WTO, dal FMI e dalla Banca Mondiale siano non solo distruttive per la massa dei piccoli produttori asiatici, africani e latino americani, ma si rivelino dannose anche per i "consumatori" dell’emisfero "grasso". E’ utile denunciare la speculazione commerciale delle multinazionali che fa si che il cacao venga prelevato dal contadino brasiliano a costo zero e qua venduto a peso d’oro. Ma allo stesso tempo è indispensabile sapere che nessuna reale risposta può giungere da un ipotetico ed impossibile "altro commercio". I mercati sono infatti da sempre per loro natura iniqui strumenti di rapina nelle mani di chi possiede masse enormi di capitale e forza militare. Quale scambio equo potrebbe mai esserci tra il piccolo contadino andino e la Fruit Company? Su questo terreno non ci sarebbe proprio partita.

Unifichiamo e centralizziamo le lotte in unico fronte di tutti gli sfruttati

L’unica vera sovranità alimentare in grado di assicurare a tutti i popoli cibo ed acqua può passare solo attraverso l’organizzazione e l’unificazione a scala mondiale delle lotte sulla base di un programma che punti a distruggere alle radici l’attuale assetto capitalistico internazionale ed a riorganizzare sulle sue ceneri l’intera produzione (agricola e non) mondiale finalizzandola non al profitto, ma al pieno soddisfacimento dei bisogni dell’intera specie umana. Una riorganizzazione dell’intera società che si basi sulla fraterna, solidale e non mercantile cooperazione tra i popoli e che sappia e possa mettere al servizio dell’uomo – senza rifiutarle - le scoperte della scienza e della tecnica in campo genetico ed alimentare che oggi invece, in mano ai sacerdoti del dio denaro, assumono funzioni e connotati sempre più distruttivi ed antisociali.

Certo, il socialismo – cioè l’organizzazione sociale di cui parliamo - non è musica delle prossime ore, lo sappiamo bene per primi noi. Ma allo stesso tempo diciamo che le battaglie dei braccianti e dei contadini indiani contro le multinazionali agroalimentari e delle bioteconologie, il sia pur limitato movimento di occupazione delle terre nello Zimbawe, le eroiche battaglie contro il latifondo in Brasile, già sin da ora pongono nei fatti la necessità ed il bisogno di una centralizzazione programmatica ed organizzativa delle lotte contadine e delle masse rurali a scala mondiale. Quando i Sem Terra brasiliani giungono a lanciare esplicitamente il grido "contadini di tutto il mondo unitevi", ciò avviene perché sempre più chiara si fa la percezione tra gli sfruttati e gli oppressi delle campagne che i vari "problemi locali" possono essere affrontati e risolti solo in una più ampia prospettiva, solo unificando le forze - ben al di sopra dei confini nazionali – in difesa di comuni interessi contro un comune nemico. La lotta dei braccianti e dei contadini poveri del Sud del mondo per una reale e radicale riforma agraria, per migliori condizioni di lavoro e per i diritti politici e sindacali, non va infatti a scontrarsi "solo" con i governi e le classi dominanti e sfruttatrici locali, ma soprattutto con i grandi centri del potere economico e finanziario che stanno dietro e sopra esse e che alloggiano qui in Occidente.

Queste spinte già in atto alla comune organizzazione e lotta devono essere rafforzate e supportate in ogni modo affinché non disperdano la loro enorme energia puntando a riformare le irriformabili istituzioni del capitalismo internazionale, ma invece vadano ad intrecciarsi e fondersi con le lotte e le analoghe spinte che iniziano ad esprimersi in tutto il restante mondo degli sfruttati. Con le lotte operaie che - dalla Corea del Sud agli Stati Uniti, dalle miniere del Sud Africa alle fabbriche della "vecchia" Europa - iniziano anch’esse a trovarsi innanzi alla necessità sempre più stringente di dover cominciare a darsi una dimensione internazionale per fronteggiare l’offensiva globalizzata del capitale. Con la lotta delle donne (è femminile, tra l’altro, il 60% della manodopera agricola nel mondo) che rialzano la testa contro lo schiacciamento dei loro diritti e della loro esistenza e che nel 2000 hanno dato vita alla loro prima marcia mondiale "contro la povertà e la violenza". Con le indomite masse palestinesi ed islamiche aggredite dall’imperialismo. Con le masse giovanili che ad un presente e ad un futuro di precarietà e miseria materiale e spirituale cominciano a reagire riempendo le piazze e battendosi contro i potenti del mondo.

A Seattle come a Genova (nonostante il grado, spesso estremamente differenziato, di sfruttamento a cui sono soggette) tutte queste "componenti" dell’universo degli oppressi hanno iniziato a trovarsi fianco a fianco: il metalmeccanico statunitense con il contadino indiano, la lavoratrice brasiliana con quella europea. E’ questa la strada da perseguire e rafforzare per costruire un unico fronte internazionale del proletariato che alla globalizzazione capitalista con il suo carico di fame, distruzione e miseria contrapponga la globalizzazione della lotta e dell’organizzazione di classe per il comunismo.


ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA