DA MELFI UN MESSAGGIO A TUTTI I LAVORATORI
Orari, ritmi e carichi lavorativi bestiali, turni notturni continuati e massacranti, migliaia di provvedimenti disciplinari, salari più che bassi: Melfi per la FIAT è finora stato davvero il “prato verde” dello sfruttamento operaio. La fabbrica “integrata” della SATA è da anni uno degli esempi a cui l’intero padronato italiano (e non solo) guarda e si “ispira” per imporre ovunque un continuo e deciso peggioramento su tutti i piani delle condizioni generali dei lavoratori. Il “modello Melfi” ha fatto scuola non solo nel gruppo FIAT, ma in tutto il settore industriale.
I grandi mezzi di comunicazione stanno tentando di far passare quasi nel silenzio la battaglia dei lavoratori di Melfi proprio perché si ha paura che quanto sta accadendo in Basilicata possa diventare un segnale di mobilitazione e di riscossa per l’insieme della classe operaia e del mondo del lavoro a scala nazionale. Il governo e la Confindustria stanno facendo e faranno di tutto per isolare, indebolire e quindi sconfiggere questa importante lotta. Le apparenti “aperture” di alcuni settori della maggioranza governativa e di altri organi istituzionali (“aperture” comunque imposte solo dagli scioperi di questi giorni) vanno di fatto proprio in questa direzione e puntano a rinchiudere la “questione” nell’ambito del singolo stabilimento o, al più, nell’ambito territoriale e regionale.
Per acquistare maggiore forza, invece, la lotta dei lavoratori SATA deve rifiutare e rompere questi recinti e puntare col massimo dell’impegno a rafforzare la propria unità di base e ad estendere a livello nazionale la discussione e la mobilitazione operaia sui temi del salario, dei carichi di lavoro e dei diritti.
In questo senso bisogna battersi per dar corpo ad un reale coordinamento di lotta tra i vari stabilimenti FIAT. E, contemporaneamente, è necessario rivolgersi con determinazione e continuità verso quel mare di lavoratori che nell’area di Melfi e in tutta Italia sono impiegati nelle medie, piccole e piccolissime aziende dei vari indotti. Verso quei tantissimi operai che, se possibile, vivono condizioni di precarietà e di sfruttamento ancora più pesanti di quelle che si è costretti a subire in FIAT e che, proprio per questo, vengono spesso usati come involontaria ed incolpevole arma di ricatto e pressione contro i lavoratori delle grandi aziende.
Ma la lotta di Melfi chiama l’intero mondo del lavoro anche alla necessità di dotarsi di una propria politica generale realmente di classe. Una politica che rompa con la logica (propria anche dei vertici sindacali) del rispetto delle compatibilità capitalistiche. Che rompa cioè con quella logica che subordina gli interessi dei lavoratori agli interessi di profitto e di mercato delle aziende.
Una politica che inizi a vedere come le leggi e le misure razziste che i governi italiano ed occidentali prendono contro i lavoratori immigrati e come le guerre di rapina e di aggressione (dalla ex-Jugoslavia all’Iraq) che questi stessi governi muovono contro i popoli del Sud del mondo sono in realtà aspetti (gli aspetti più crudi) di quello stesso unitario attacco che il capitalismo italiano e mondiale sta muovendo a livello internazionale contro l’insieme dei lavoratori e degli sfruttati e che determina anche il continuo peggioramento delle nostre condizioni di vita e lavoro.
Una politica che quindi lavori a fondere in un’unitaria lotta la battaglia per la difesa ed il miglioramento delle nostre condizioni salariali, lavorative e normative qui con la necessaria battaglia per il ritiro immediato ed incondizionato delle truppe italiane ed occidentali dall’Iraq e da tutto il Sud del mondo ed in sostegno alla resistenza di questi popoli.
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