20 MARZO: GIORNATA INTERNAZIONALE DI LOTTA CONTRO L’OCCUPAZIONE DELL’IRAQ
Sabato 20 marzo è indetta una nuova mobilitazione mondiale contro la guerra all’Iraq e contro l’occupazione militare di quel paese. L’appello, lanciato dalle più importanti coalizioni pacifiste americane, è stato raccolto da numerose forze sindacali e politiche del mondo intero e rilanciato con particolare slancio dalle organizzazioni dei lavoratori e dei contadini asiatici nel recente incontro internazionale -Forum Sociale Mondiale- di Bombay (India).
L’iniziativa dei pacifisti americani si intreccia con le proteste delle famiglie dei militari per il ritorno a casa dei soldati di stanza in Iraq. Impatta con “la guerra interna” scatenata dal governo americano, chiamando alla mobilitazione contro il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro di milioni di lavoratori e contro l’offensiva razzista che colpisce le comunità immigrate, soprattutto quelle islamiche.
Facciamo nostro l’appello dei lavoratori statunitensi!
L’appello va raccolto. Esso ci chiama a fare un bilancio collettivo sulla guerra in Iraq e sulla guerra interna contro i lavoratori, a dare seguito alla mobilitazione che lo scorso anno ha portato in piazza in tutto il mondo milioni di persone contro la nuova aggressione all’Iraq, a partecipare alla manifestazione del 20 marzo per farne un primo passaggio di rilancio di un movimento generale -e internazionale- di lotta che contrasti efficacemente la politica dei vari Bush, Blair, Berlusconi …
Sappiamo bene che i lavoratori, frastornati dalla campagna quotidiana di menzogne sulla “guerra umanitaria contro il terrorismo” e sotto la pressione di un attacco sempre più stringente e difficile da contrastare, possono rispondere: “ma cosa ci importa dell’Iraq; abbiamo già tanti guai nostri a cui pensare!”.
Ma: è mai possibile prendere veramente in carico i nostri guai, senza vedere che essi sono legati a filo doppio alla politica che i governi occidentali conducono nel mondo intero?
I governi che hanno distrutto l’Iraq e ora tentano di soggiogarlo sotto il tallone dell’occupazione militare sono gli stessi che in casa propria conducono offensive a tutto campo contro i lavoratori. In Iraq difendono i profitti delle multinazionali massacrando intere popolazioni, distruggendo l’economia e le infrastrutture essenziali, avvelenando con le armi all’uranio, prendendo il controllo diretto delle risorse e di una manodopera ridotta a costo zero, reintroducendo disoccupazione, analfabetismo e misure reazionarie contro le donne. Qui in Occidente quegli stessi signori difendono i propri privilegi con un attacco generale ai lavoratori, ai giovani, alle donne, agli immigrati.
La guerra interna contro i lavoratori
Mentre ai Tanzi e ai Cragnotti è consentito di scaricare migliaia di miliardi di debiti sulla collettività che lavora e produce, i lavoratori che rivendicano i propri diritti contro il carovita galoppante, come hanno fatto gli autoferrotranvieri, vengono additati dagli strateghi della “guerra infinita” come privilegiati e parassiti. Le condizioni generali dell’insieme dei lavoratori sono sempre più erose dall’aumento del costo della vita. Non solo perché sono stati via via smantellati tutti gli strumenti di difesa della contrattazione generale, ma anche e soprattutto perché con le “riforme del mercato del lavoro” varate dai governi di centrosinistra e centrodestra una massa sempre più consistente di lavoratori giovani e meno giovani e tantissime donne lavoratrici sono stati costretti al lavoro precario, sottopagato, senza diritti. I posti di lavoro minacciati sono decine di migliaia: dall’Alitalia, all’Alcatel, alla siderurgia, per non contare la miriade di imprese medie e piccole. Aumenta la disoccupazione e vengono generalizzate le condizioni di precarietà, con le esternalizzazioni, gli scorpori e la “riforma dell’art. 18” sempre in cantiere. Così, se ai lavoratori precari viene negato il diritto a una contribuzione adeguata e alla pensione, per tutti gli altri il governo Berlusconi vuole innalzare ancora l’età pensionabile e ridurre le pensioni. Ma non finisce qui. Le aggressioni militari costano e il finanziamento delle spedizioni lo pagano i proletari, i lavoratori, le donne con il taglio costante delle spese sociali, con l’aumento di tasse e tariffe per l’accesso ai servizi pubblici, sempre più privatizzati e a pagamento, come accade per la scuola, la sanità, l’assistenza. Per non parlare della militarizzazione di ritorno della vita sociale, con l’attacco alla agibilità dei lavoratori, le precettazioni, le denunce e i licenziamenti per chi lotta, il moltiplicarsi delle inchieste giudiziarie contro ogni forma di opposizione. La riforma Moratti, per una scuola sempre più selettiva e a pagamento, riconosce e finanzia il diritto allo studio ai figli di papà che possono pagarselo. La legge Bossi-Fini mette la tagliola ai lavoratori immigrati, fino a consegnare ai datori di lavoro italiani (!?) il diritto vitale per gli immigrati di richiedere ed ottenere il permesso di soggiorno.
Potremo mai risolvere i nostri problemi facendo finta di non vedere ciò che i “nostri” governi fanno nel mondo intero?
La realtà ci insegna che non è possibile. Che i nostri guai sono tutt’uno con la politica di oppressione che i “nostri” governi conducono nei paesi del Sud del mondo.
D’altra parte non è pensabile che la guerra imposta dall’Occidente resti confinata nei paesi del Sud del mondo. Non è pensabile che intere popolazioni, da secoli in lotta contro il colonialismo e l’imperialismo, restino inermi a subire un’aggressione di questa portata, senza reagire.
Di fatto dalle “lontane” aggressioni al Vietnam, alla Corea, in Algeria, nel Congo, la guerra infinita dell’Occidente contro i popoli del Sud e dell’Est del mondo ha iniziato a tornare indietro come il boomerang, ad avvicinarsi sempre di più a casa nostra. Per chi ancora volesse credere che i “nostri” soldati siano “diversi” dalle altre truppe di stanza in Iraq, i fatti di Nassiriya hanno dimostrato il contrario. Nonostante ogni vantata “diversità”, essi sono parte delle truppe di occupazione il cui compito -non troppo nascosto- è quello di consentire alle imprese petrolifere italiane e occidentali di accaparrarsi a costo zero il petrolio irakeno.
E i fatti dell’11 settembre in America, come anche il recente attentato alle stazioni ferroviarie in Spagna -sempre più accreditato come risposta alla guerra scatenata dall’Occidente contro il mondo islamico- spingono i lavoratori occidentali ad avvertire con preoccupazione che la guerra può durare a lungo ed arrivare fino a noi. Allora che fare?
Scontro fratricida o unità internazionale di lotta dei lavoratori?
I governi e i circoli dominanti dell’Occidente pianificano esattamente questo: con le menzogne sulla “guerra umanitaria” e sulle “armi di distruzione di massa”, con le campagne d’odio contro gli immigrati, in particolare di religione islamica, puntano a scagliare i lavoratori occidentali contro i lavoratori e gli sfruttati del Sud del mondo, colpevoli di non piegarsi agli interessi e alle guerre dell’Occidente.
E’ questa la via che indicano e preparano per i lavoratori occidentali: quella di intrupparli nella guerra contro i lavoratori e gli sfruttati
del Sud del mondo, perché su un nuovo massacro tra lavoratori e di lavoratori essi possano rilanciare il proprio sistema di sfruttamento e di dominio.
L’appello dei pacifisti statunitensi ci indica un’altra strada: quella della lotta per la difesa dei nostri interessi di lavoratori e contro la politica di guerra dei “nostri” governi. Ci dice che non è possibile risolvere “i guai nostri” senza denunciare i governi che ne sono la causa e le loro politiche interne e internazionali. Che potremo evitare lo scannatoio che il “nostro” imperialismo ci prepara solo se sapremo fare la nostra parte per tagliargli le unghie, scendendo in campo per la sconfitta dei suoi interessi di rapina e costringendolo a ritirare i propri eserciti.
I lavoratori occidentali non hanno interessi in comune con i propri governi e i propri stati che aggrediscono e occupano l’Iraq. Non hanno alcun interesse a fare propria la “guerra umanitaria”. Hanno invece interesse a sostenere la resistenza che gli sfruttati iracheni oppongono agli eserciti di occupazione, mandati dai governi che qui attaccano i lavoratori. Hanno interesse a lottare per il ritiro immediato delle truppe occidentali ed italiane dall’Iraq e da ognidove.
E non certo in nome di “un maggiore protagonismo” dell’Onu o di un’Europa presuntamene “pacifista”. Il protagonismo dell’Onu, infatti, lo abbiamo visto all’opera nella prima guerra del Golfo, nell’embargo all’Iraq e nella guerra alla Juogoslavia (per limitarci ai fatti più recenti). Mentre la favola dell’Europa “pacifista” fa a cazzotti con la sua storia, passata e presente: gli europei sono stati i primi colonialisti apparsi sulla faccia della terra e in ogni scenario competono con il capofila americano per spartirsi il bottino della rapina. Ciò vale anche per quelle buone lane di Chirac e Schroeder, che hanno preso le distanze (fino a un certo punto) dall’ultima guerra all’Iraq soltanto perché essa andava contro i propri interessi nazionali e imperialisti nell’area.
Facciamolo con l’azione unitaria degli sfruttati iracheni contro l’occupazione e degli sfruttati occidentali che diano battaglia contro i propri governi. Questa è l’unica via per poterci difendere veramente, per fermare l’offensiva di guerra e anti-proletaria.
Una via certo difficile, ma percorribile.
Lo stanno dimostrando gli sfruttati iracheni, la cui lotta contro l’occupazione ha già incrinato la macchina da guerra occidentale con i tantissimi episodi di rifiuto a combattere e con la mobilitazione delle famiglie dei militari americani. Lo hanno dimostrato sul fronte interno i manifestanti di Scanzano e gli autoferrotranvieri, facendo vedere che una lotta senza compromessi, condotta in prima persona dai lavoratori, senza le defatiganti mediazioni di “vertici” sempre pronti a smobilitare, può conquistare un ampio seguito di solidarietà e partecipazione e costringere ad un indietreggiamento il governo e i padroni.
Portiamo questa discussione e questi contenuti nella giornata del 20 marzo, nello sciopero generale del 26 marzo e in ogni lotta dei lavoratori.
E’ suicida, infatti, per i lavoratori la strada indicata dai vertici di Cgil-Cisl-Uil e dai partiti del centro-sinistra che conducono un’opposizione di pura facciata, sulla guerra e sull’offensiva interna. Essi si guardano bene dal denunciare con nome e cognome l’aggressione imperialista all’Iraq, cui l’Italia partecipa, e preferiscono manifestare “contro il terrorismo”. Inoltre svuotano di senso lo stesso sciopero generale del 26 marzo, non dando né obiettivi concreti né prospettiva all’iniziativa dei lavoratori. Di fronte a un attacco sempre più pesante, questi signori indicano come soluzione … la sconfitta elettorale del centro-destra e, da ultimo, alimentano aspettative infondate sul cambio di leadership in Confindustria, predisponendo i lavoratori a ulteriori sacrifici da concordare con un padronato che suppongono possa essere più attento ai problemi degli sfruttati.
Contrastare veramente l’offensiva del padronato e del governo Berlusconi -e di tutti i governi che ne proseguano la politica- è invece possibile, unificando tutte le forze e le istanze del nostro fronte di classe e licenziando in piazza questo governo anti-operaio.
DALLA PARTE DELLA RESISTENZA IRACHENA !
DIFESA INTRANSIGENTE DEGLI INTERESSI DEI LAVORATORI !
CACCIAMO CON LA LOTTA IL GOVERNO BERLUSCONI !
15 marzo 2004
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