Testo di volantino distribuito a Milano e a Venezia nei giorni successivi al 21 luglio
Volevano che fallisse. E invece sabato 21 luglio il governo Berlusconi e gli altri governi occidentali si sono ritrovati una città invasa da un fiume di manifestanti. Per il movimento "anti-globalizzazione" una vittoria netta. Che da sola, però, non è bastata e non basterà per far accogliere dai potenti della Terra le rivendicazioni del movimento. Lo hanno confermato, a caldo, il blitz di sabato notte e le decisioni farsesche prese dagli assassini nel corso del summit. Proprio per questo siamo chiamati a un bilancio impietoso di quello che è accaduto: per mettere a fuoco come andare avanti in modo da essere vincenti fino in fondo.
Per lo stravolgimento da parte di qualche ufficiale o di un ministro delle regole democratiche? Assolutamente no. È stata l'attuazione della necessità dei grandi poteri capitalistici di stroncare sul nascere questo movimento "anti-globalizzazione". Ne hanno paura. Per il suo crescente carattere di massa. La sua internazionalità. La sua giovane età. L'iniziale presenza in esso del proletariato di fabbrica. Per la ricchezza delle tematiche sollevate dalla protesta. Per l'irriducibile opposizione in cui le sue aspirazioni e rivendicazioni si trovano con gli interessi del sistema sociale capitalistico e del G-8 che li rappresenta politicamente. Ha ragione Berlusconi quando dice che chi è contro il G-8 è di fatto contro il modello occidentale, il mercato, il sistema fondato sul profitto. È così. Basta guardare d'altra parte le risposte date dai gangster con le mani sporche di sangue alle rivendicazioni sul debito, sull'aids, sull'ambiente. Non le hanno forse ridicolizzate? Non hanno forse proseguito imperterriti sulla loro strada?
È ora che i partecipanti al movimento, i proletari e i giovani prendano finalmente atto di questo irriducibile antagonismo. E respingano -dopo quella fisica- anche l'altra intimidazione messa in campo verso i manifestanti dai governi occidentali a Genova e prima di Genova: quella di limitarsi all'obiettivo (impossibile) di come eliminare i crimini della globalizzazione senza mettere in discussione il "tutto", cioè il sistema sociale capitalistico nel suo insieme. Obiettivo impossibile, come mettere un leone a dieta vegetariana. Ed è da questa impossibilità che nasce la repressione verso il movimento "anti-globalizzazione". Che non è stata certo inaugurata da Berlusconi. Lo ha preceduto a Seattle il democratico Clinton, a Napoli il governo di "centro-sinistra" e a Goteborg il colpo di pistola socialdemocratico.
Il blitz di sabato non è un episodio indegno di un paese democratico. È ciò che deve fare (dal suo punto di vista: legittimamente!) la democrazia per difendere gli interessi che rappresentano la sua stella polare, quelli del profitto, da un movimento che oggettivamente vi marcia contro. Una deviazione dalle regole della democrazia? Ma la democrazia è questo. La democrazia è pugno di ferro contro i ribelli alle esigenze del mercato, siano essi in Jugoslavia e in Iraq o dentro le metropoli. L'assassino governo Berlusconi ha rivolto verso l'interno la macchina che l'assassino governo D'Alema aveva oliato contro i popoli jugoslavi...
Chi è il Black Bloc? Un gruppo di provocatori? No. È un settore sociale giovanile, precario nel lavoro e nel futuro, che crede che la sola forma di contrapposizione a un sistema che viene -giustamente- considerato ostile a ogni esigenza umana sia quella di colpirlo fisicamente in alcune sue strutture fisiche (banche, negozi, ecc.) e di poter fare ciò estraneandosi dal rapporto di maturazione politica della restante massa dei giovani e degli sfruttati. Si tratta di un corto-circuito. Ideologico e pratico. Nel mentre respingono il capitalismo, i gruppi del Black Bloc sono incapaci di vedere cosa esso sia realmente, come lo si possa davvero mettere al tappeto e il soggetto che può farlo, e cioè l'universo degli sfruttati organizzato in partito politico. Noi comunisti internazionalisti non ci riconosciamo nei loro atti non perché essi siano violenti, bensì perché sono punture di spillo, gesti al fondo disperati che non aiutano o addirittura possono ostacolare lo sviluppo di una lotta crescentemente di massa e radicale contro la globalizzazione, cioè contro il capitalismo. Gesti che portano ad esaurire e a placare la rabbia di migliaia di giovani in azioni al fondo impotenti, a bruciare questo potenziale serbatoio di lotta anti-capitalistico e a permettere ai mezzi di informazione di svilire la rivoluzione proletaria riducendola a "distruzione nichilistica". Da qui però a dire, come sussurrano certi dirigenti del movimento "anti-globalizzazione", che questi gruppi sono in combutta con la polizia, ce ne corre. (Che ci siano infltrati, qui e negli altri settori del movimento, è una cosa ovvia, coerente col mestiere assegnato dalla democrazia alle forze dell'"ordine"). Anzi, è la politica moderata dell'"umanizzazione del capitalismo" portata avanti dalle direzioni della sinistra e dello stesso Gsf a mantenere e sospingere fasce crescenti di giovani su questi lidi. Alla rabbia dei ragazzi come Carlo, alla loro sete di giustizia cosa ha saputo offrire una sinistra diessina che ha oramai chiuso le sue sedi e ha bombardato i popoli jugoslavi? O un Agnoletto che fino all'altro ieri elogiava la capacità intellettuale e la disponibilità al dialogo del ministro di An Matteoli? O un Bertinotti che continua a inseguire il dialogo con la "sinistra di governo" e a invocare la non-violenza davanti a un sistema sociale, il capitalismo, fondato su relazioni economiche intrinsecamente violente e le difende con la violenza organizzata dei suoi apparati di sicurezza? Anziché isolarli e darli in pasto alla violenza bestiale degli apparati repressivi, si tratta invece di richiamare i gruppi dei giovani arrabbiati, gruppi destinati ad ampliarsi ben oltre le dimensioni attuali (anche con l'ingresso in forze di immigrati...), a un percorso di lotta che sappia risalire dai simboli della proprietà privata capitalistica al cuore di essa. Sapremo e potremo farlo a misura che il restante movimento "no-global", anziché arrendersi ai ricatti dei grandi dittatori mondiali e pietire la loro benevolenza e umanità, saprà andare avanti lungo la strada dell'estensione e della radicalizzazione della lotta, saprà inquadrare i singoli gesti violenti dei manifestanti, le loro espressioni di rabbia in una battaglia senza quartiere contro il capitalismo, per far fuori non la singola banca ma la Banca del Capitalismo come sistema sociale! |
Non basta dunque limitarsi a gridare questa e quella rivendicazione, non basta limitarsi a chiedere che si ponga fine a questo o a quel misfatto. Anche se lo si fa in tanti. Non basta se non si trasforma questa mobilitazione in forza organizzata capace di farsi valere contro la forza organizzata della democrazia con cui le multinazionali e i pescecani di borsa difendono il saccheggio sistematico compiuto contro l'umanità lavoratrice e la natura. La portata oggettiva e soggettiva, per quanto ai suoi pallidi ma promettenti inizi, dello scontro antagonista che si profila non ammette "ragionevolezze democratiche", né per la borghesia né per noi.
Si è tanto tuonato da parte della direzione del Gsf o di giornali come il manifesto sulle violenze poliziesche. Esse in realtà non hanno nulla di eccezionale e rappresentano, anzi, un inizio tuttora frenato di ciò che si prepara.
Non è nulla di eccezionale perché la stagione della violenza dispiegata da parte delle forze dello stato non è una novità in Italia, o altrove, se solo pensiamo alla serie di episodi sanguinosi che vanno dalla Celere di Scelba al maggio '60 o al '68, con decine e decine di morti. Questa stagione si era alquanto "addolcita" in concomitanza con l'appassire della lotta sociale, col rientro delle singole proteste nell'alveo del sistema, favorito non solo e non tanto dalla violenza dello stato, ma dalle direzioni del movimento operaio e dai transfughi di ogni sorte della "contestazione" (dai vari Sofri a quell'immondo Capuozzo che organizzava ad Udine la "violenza rivoluzionaria" dei lottacontinuisti per precipitare oggi nella rivendicazione più forcaiola di un "giusto ed efficiente" ordine borghese). Un'espressione di ciò si ritrova nell'Ulivo attuale, nel quale gli eredi dei manganellatori e fucilatori scelbiani stanno bene assieme a coloro che, nel ciclo di lotte passate, hanno usato i "propri" morti per accedere alla gestione comune del "potere democratico" borghese.
Stiamo uscendo da questa "quieta" stagione ("quieta" per i proletari bianchi delle metropoli e solo per loro...) su un rinnovato e più altro terreno di scontro. Per gli scricchiolii delledificio capitalistico, la cui crisi sistemica avanza inesorabile ben oltre quello che è testimoniato dagli indici economici. E per la crisi di legittimità che comincia a corrodere le élites al potere. Le forze dello stato ne sono consapevoli. E "legittimamente" (dal loro punto di vista) cominciano a fare la loro parte. A noi, la nostra! Non quella che cerca di imporci -anche attraverso la repressione dei giorni scorsi- il governo Berlusconi. "Potete esprimere il vostro dissenso, ci dice il vero pericolo black che pende sulla nostra testa, ma solo nel rispetto dei valori del mercato (magari "equo" e solidale") e della democrazia (ossia della dittatura borghese)". Cioè in modo che la vostra protesta resti impotente davanti alla violenza dello stato, prenda le distanze o addirittura si attivizzi contro i "cattivi", decretando la frantumazione e la dissoluzione del movimento "anti-globalizzazione".
Gli Agnoletto, i Casarin hanno già fatto passi in avanti su questa strada sinistra. Il primo ha affermato che il Black Bloc va "contro" il Gsf, magari in combutta (!) con "settori deviati" o irresponsabili delle forze dell'"ordine, e che contro di esso va messo in atto non solo un cordone sanitario, ma un repellente fisico (quello che non si invoca, invece, rispetto allo stato democratico cui ci si presenta a mani alzate per dimostrare il senso della "nostra contestazione"!!!). Il secondo vomita che i "violenti" sono degli "utili idioti" (e lo dice uno che in materia di idiozia è un professionista provato). I Ds (organizzatori del blocco d'ordine ereditato dal governo Berlusconi) sono andati oltre: non di deve manifestare. Forse ancora troppo poco. Si deve manifstare sì, sulle orme delle indicazioni papali di umanizzazione del capitalismo (!), ma rivolgendosi ai poteri pubblici (dai vertici ai loro guardiani in armi), contro chiunque intenda uscire da questo recinto. L'accusa di "collusione oggettiva" tra Gsf e irriducibili ha un senso reale in quanto il primo si è dimostrato impari al suo compito di cane da guardia supplementare con la funzione di assorbire e deviare la protesta e contribuire direttamente a reprimere quanto "trasborda" dai limiti prefissati.
Se non vuole andare all'indietro e decretare il suo suicidio, la massa dei partecipanti al movimento "no-global" deve fare i conti con le proprie illusioni su un possibile dialogo con le istituzioni economiche e politiche del denaro e del profitto, e respingere la linea piagnucolosa e servile che le viene proposta dall'alto. Deve rispondere per davvero al bisogno di organizzazione sentito dai manifestanti nelle giornate di Genova, trivatisi inermi davanti alle cariche della polizia, inermi innanzitutto sul piano politico a causa di un atteggiamento di fiducia verso le istituzini democratiche, verso i loro carnefici.
Altro che mani alzate! L'aspirazione a un mondo diverso potrà essere realizzata solo se sapremo contrapporre alle intimidazioni (fisiche e politiche) e alla forza del potere borghese la forza, l'organizzazione degli sfruttati. Trasformando il bisogno di schierarsi e di stare insieme che comincia ad esprimersi in mobilitazione attiva non più soltanto in occasione dei vertici internazionali, ma ogni giorno, nei posti di lavoro nelle scuole nei quartieri, in tutti i luoghi in cui si materializzano quotidianamente le mille facce dell'oppressione della globalizzazione, gli effetti del sistema sociale fondato sulla concorrenza e sul profitto. La disponibilità alla mobilitazione che s'è manifestata va organizzata e riversata, ad esempio, nelle singole lotte aperte. Una per tutte: quella dei metalmeccanici, che -presenti in modo consistente a Genova soprattutto con la propria componente più giovane- possono sentirsi incoraggiati ad andare avanti, a non accettare ciò che dettano le regole della globalizzazione contro di loro, a farsi spina dorsale di una ripresa di mobilitazione generale contro la precarietà e la spremitura dell'intero mondo del lavoro salariato, quello giovane e quello meno giovane, italiano e immigrato, in collegamento con la ripresa di iniziativa di lotta degli sfruttati degli altri paesi e dei popoli schiacciti del Sud del Mondo, a partire dall'eroica resistenza del popolo palestinese.
Con la fuga dei Grandi (terroristi) verso le montagne, i nostri nemici non scompaiono. Essi sono ovunque e continuativamente. Continuativamente e ovunque il movimento "anti-globalizzazione" è chiamato a lottare. A estendere il suo fronte ai lavoratori e alla "gente comune" che inizia a guardarlo con simpatia. A organizzarsi in modo da difendersi dalla violenza sistematica e organizzata scientificamente dello stato borghese. A radicalizzare la sua linea politica in corrispondenza del compito che ha saputo evocare: la lotta a fondo contro il capitalismo imperialista, la lotta per un mondo diverso rispetto a questo mondo di merda, un mondo che non può essere altro che quello del comunismo.
Lo diciamo senza ultimatismi, ma questo è: o il sentimento della non-violenza diffuso tra i partecipanti al movimento "no-global" si orienta in questa direzione o è destinato a diventare violenza al servizio dello stato contro i settori, in futuro sempre più estesi, dei "trasgressori", dentro e fuori i confini nazionali. A diventare al fondo attivizzazione contro se stessi, contro le proprie stesse ragioni.