Breve cronaca dell’assemblea conclusiva al Teatro della Corte (21 luglio)

Sono note di cronaca, e niente di più, sull’assemblea conclusiva della "3 giorni" di Genova, che vanno ad integrare sul piano informativo (e a confermare, crediamo) quanto si dice negli altri testi di questo "speciale".

All’assemblea erano presenti più o meno 500-600 persone; non mancavano i giovani, ma l’età media era abbastanza "alta", essendoci in prevalenza militanti e soggetti politicizzati da lungo tempo.

L’assemblea si è svolta con poca attenzione da parte dei partecipanti. Eravamo in presenza di una platea distratta; molta gente entrava ed usciva in continuazione dalla sala e seguiva poco gli stessi interventi, ad eccezione di alcuni. In specie quello di Heidi, la mamma di Carlo, intervenuta per salutare i partecipanti e che nel suo intervento ha valutato importante il fatto che certi "personaggi" (Violante&C.), da lei non accolti nel presidio di P.zza Alimonda, si siano dovuti inchinare al cospetto di Carlo e fare autocritica… (non certo rispetto alla propria linea politica, però, ci permettiamo di osservare).

Tra gli interventi forse il più sincero e animato è stato quello di un esponente del tavolo dei migranti, che ha lanciato un appello per appoggiare la lotta dei lavoratori immigrati contro la Bossi-Fini, inserendo a pieno questa battaglia all’interno delle altre contro la globalizzazione. Ha sottolineato l’esperienza e la capacità di lotta dei lavoratori immigrati, a partire dalla manifestazione nazionale auto-organizzata del 19 gennaio scorso per finire con lo sciopero generale del 15 maggio a Vicenza (c’è da aggiungere che lo scorso 19 luglio gli immigrati di Vicenza hanno replicato). Il punto che comunque dovrebbe far riflettere è che gli immigrati e le loro avanguardie non erano presenti a questa assemblea e neppure al tavolo dei migranti dei giorni precedenti perché non si riconoscono, a ragione, in questo milieu che pretenderebbe di rappresentarli sostituendosi alla loro piena auto-attivizzazione e, dopotutto, di definire i confini non valicabili delle loro rivendicazioni (e, tanto più, del loro odio contro l’imperialismo) senza poi neppure riuscire ad assicurare loro un autentico, tangibile sostegno. Comprensibilissimo, e più che ovvio, che il primo, embrionale tentativo di creare in Italia un coordinamento nazionale di tutti gli organismi dei lavoratori immigrati si sia svolto (a Roma), appena pochi giorni dopo Genova, al di fuori del quadro dei social forum (ne riferiremo sul prossimo numero del Che fare, essendo il nostro giornale tra i pochissimi, tre per l’esattezza, invitati alla riunione).

Indicativo è il fatto che una parte dell’assemblea ha applaudito i passaggi in cui questo esponente del tavolo dei migranti ha criticato l’impostazione dei social forum, ridottisi a degli intergruppi stile anni ’70, e soprattutto l’altro passaggio in cui ha schernito alcuni esponenti che si sono "autoproclamati" leaders del movimento. Indicativo, perché esprime una larga insoddisfazione presente nella massa dei manifestanti (lì peraltro assente) verso questa realmente auto-proclamata, se non proclamata dai media, leadership, che appena un anno dopo Genova 2001 risulta già logora proprio per la sua incapacità di essere una effettiva direzione di lotta di questo movimento, e -anche- per la sua crescente ed evidente interconnessione con gli ambienti istituzionali.

Da tutti gli interventi che si sono susseguiti è emerso che i più noti esponenti del movimento non si aspettavano una presenza massiccia come quella che si è avuta nella manifestazione del 20. Addirittura vi erano stati dei tentativi (compiuti da chi non è risultato chiaro) di non tenere la manifestazione stessa per il timore che la non partecipazione avrebbe segnato inevitabilmente il funerale del movimento (si spiegano di riflesso anche tutti i giochetti di bassa bottega orchestrati con i vari partiti ed esponenti del centro sinistra perché, in qualche modo, si prestassero ad amplificare e istituzionalizzare la scadenza…).

Da segnalare è che in diversi interventi si è evidenziata la necessità di continuare e preparare iniziative contro la guerra (in primo luogo contro la ennesima guerra contro l’Iraq). In questi interventi si chiedeva di mettere all’ordine del giorno la preparazione di un’assemblea nazionale per la metà di settembre in modo tale da riprendere il lavoro capillare di denuncia e di mobilitazione contro la guerra e il militarismo, indicate come cause all’origine dei tagli alla scuola, alla sanità e allo stato sociale nel suo complesso.

Il guaio -e che guaio!- è che gli interventi in questione si concludevano di norma non con l’appello a fare un solo fronte con gli aggrediti dall’imperialismo (i popoli aggrediti era perfino difficile sentirli nominare…), bensì con la richiesta di tenere l’Europa e i lavoratori europei fuori dalle guerre in corso o in gestazione. Il che, per noi comunisti internazionalisti, significa isolare, abbandonare al loro destino, tradire gli sfruttati afghani, palestinesi, iracheni, e quanti queste guerre sono invece condannati a combatterle quotidianamente, lasciarli da soli nelle mani dei macellai del Pentagono e, dopotutto, dei macellai dell’Europa, visto che in tutte queste guerre la "nostra" cara putridissima Europa, Italia compresa, non rinuncia certo a svolgere, in un modo o nell’altro, la sua parte.

Pochi sono stati gli interventi che hanno toccato nello specifico il tema dell’attacco al mondo del lavoro, l’art. 18, il "libro bianco", etc. e quando lo hanno fatto, spesso si è ridotta la lotta dei lavoratori in atto esclusivamente ad un che di simbolico, l’enfasi cadendo, invece, sull’impegno per la vittoria dei referendum. Indicativo poi, che mentre si sosteneva questo, nello stesso tempo si riconosceva che il problema dei lavoratori atipici sarebbe rimasto comunque irrisolto… Se questo significa dirigere in modo appropriato un movimento di forza dopotutto non trascurabile, beh, fate voi.

Su questo tema, si è mosso in qualche misura "in controtendenza" il solo Bernocchi del Cobas scuola. Che ha evidenziato la necessità di continuare innanzitutto la lotta contro il nostro liberismo e la guerra in occasione delle lotte di autunno per estendere i diritti e difendere, dagli attacchi del governo, scuola, sanità, pensioni e stato sociale, dichiarando la propria disponibilità ad uno sciopero unitario con la CGIL, attraverso la costruzione di una piattaforma condivisa (caratterizzata anche dal no alla guerra e da una battaglia per la democrazia sindacale estesa a tutte le sigle). Si è confermata nel suo intervento quella tendenza, per noi positiva, al riavvicinamento nella lotta tra lavoratori aderenti a formazioni sindacali che negli scorsi anni sono state in aspra contesa tra loro, un riavvicinamento necessario lungo un percorso, che resta ancora però largamente da fare, di riconquista dell’autonomia di classe.

Non è mancata, nel suo intervento, la critica nei confronti della riduzione dei social forum a semplici inter-gruppi, una critica che sembrava rivolta a Rifondazione e all’area dei "disobbedienti", e che suona a doppio taglio: da un lato come critica, condivisibile, di una data presenza politica nel movimento disattenta alle necessità di sviluppo dello stesso, e dall’altro come critica -non condivisibile- a qualsiasi presenza politica organizzata all’interno di esso, quale è, dopotutto, anche quella dei Cobas.

Più esplicito e polemico su questo punto l’intervento di Bersani di Attac, sicuramente il più organicamente moderato di tutta l’assemblea, che ha attaccato anch’egli i "disobbedienti" per la loro autoreferenzialità e per il loro modo di muoversi con logiche separate dall’insieme del movimento (probabilmente la polemica si riferiva all’occupazione della scuola Diaz e alla ricerca di visibilità mediatica attraverso azioni al fondo pre-concordate con le autorità).

Un ulteriore elemento polemico è stato tirato fuori, sempre da Bersani, nei confronti di Zanotelli e della rete Lilliput sulla questione violenza/non violenza. Egli ha sostenuto che quella questione non era all’ordine del giorno e non poteva essere utilizzata per giustificare posizioni distinte o per giustificare il rifiuto di Zanotelli di aderire ai social forum.

[Apriamo una parentesi. Il cuore della polemica di Bersani con Zanotelli non ci sembra sia sulla questione violenza/non violenza, poiché tutti, Bersani tra i primi, concordano sulla sciagurata ripulsa dell’uso della forza e della violenza organizzata di classe; è su qualcosa d’altro. In un’assemblea con Zanotelli e Gino Strada, tenutasi a Milano, con circa 5000 presenti, in particolare giovani impegnati nel volontariato, in diversi passaggi dell’intervento di Zanotelli vi sono stati, oltre che la denuncia e la critica alla globalizzazione, anche alcuni riferimenti alle responsabilità di tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione, in quanto sottomesse al potere economico, nell’appoggio al processo di globalizzazione e alle guerre. Sono stati lanciati diversi appelli affinché si realizzi il protagonismo attivo della cosiddetta "società civile" che non può che contare su se stessa senza più delegare a nessuno le proprie istanze. E’ da credere che sia questa impostazione, che toglie in partenza la possibilità di una delega rappresentativa del mondo del volontariato cattolico alla leadership di questo movimento a dare fastidio a Bersani e, tanto più, al binomio Ulivo-Rifondazione. Non a caso in un’assemblea che si è tenuta alla festa di Liberazione a Milano, qualche settimana fa, lo stesso Bersani, parlando delle mobilitazioni no global, affermava: "siamo in presenza di un movimento di massa, ma poi nelle elezioni vince la destra, quindi l’obiettivo che occorre porsi è quello di avvicinare la massa di questi giovani al centro sinistra". Alleluja! Finalmente qualcuno dice chiaro e tondo dove una parte non proprio trascurabile (o addirittura la totalità?) dei "portavoce" auto-nominati di questo movimento vorrebbe portare la massa dei manifestanti: alle urne!, comunali o centrali, per far rivincere il centro-sinistra della guerra alla Jugo e dei contratti atipici; poi, a vittoria elettorale conseguita, tutti a nanna, o no?

Bersani non è dunque di sicuro a sinistra di Zanotelli. Ma ai giovani di Lilliput e ad altri bisognerà pur spiegare, è qui l’estrema debolezza propositiva (per lo meno) degli Zanotelli, che gli sfruttati del Sud del mondo, di cui essi denunciano lo schiacciamento da parte del mondo ricco, sono già –ovunque!- in lotta, in guerra contro l’Occidente, contro l’imperialismo, e ci chiedono con forza di aiutarli, di appoggiarli, di unirci a loro, di combattere al loro fianco per la stessa causa di liberazione, e non hanno certo bisogno del nostro lamento sulla loro sorte, né può bastare loro la semplice denunzia verbale dell’Occidente… È questo il punto da affrontare, ma non è materia che possano svolgere i Bersani, gli Agnoletto o i capetti "disobbedienti".) 

Per questi ultimi Anubi D'Avossa ha replicato a Bersani e Bernocchi, affermando che il tema della violenza è all’ordine del giorno, in quanto il processo di globalizzazione marcia attraverso la guerra economica sociale e militare; però questo richiamo alla violenza insita nel processo di globalizzazione, mai comunque definita chiaramente come violenza capitalistica strumento della globalizzazione del capitale, è servita a "fondare" il seguente ragionamento: "i disobbedienti non possono rinunciare ad organizzare la disobbedienza sociale [occupazione di case, etc.] perché in questo modo raccolgono delle aspettative e delle spinte radicali che la violenza insita nel processo di globalizzazione fa erompere dalla società che altrimenti si incanalerebbero verso una sorta di Los Angeles generalizzata". Il passaggio sul rischio concreto di una Los Angeles egli lo ha ripetuto più volte nel suo intervento…

Chiaro no? Una Los Angeles europea è da scongiurare, dell’Argentina è meglio non parlare, i palestinesi sono ormai dei kamikaze nazisteggianti... Il quadro è completo, e nessuno ci venga a raccontare che gettiamo merda sui "disobbedienti" o sul movimento in generale!

Insomma, il tratto di fondo di questa assemblea è stato proprio la sottovalutazione, se non la negazione, del quadro d’insieme dell’attacco dettato dalle necessità della globalizzazione capitalistica, nonché delle relative eccezionali risposte di difesa del proletariato internazionale contro di essa. Nessun intervento, non a caso, non soltanto quello di D’Avossa, ha toccato la lotta dei palestinesi o dei lavoratori argentini e dell’America Latina o degli stessi Stati Uniti (se non come esempio negativo da scongiurare come nel caso della rivolta di Los Angeles). Quando si alzava lo sguardo oltre l’Italia, ci si fermava al massimo all’Europa, e il quadro prospettato non andava oltre un eurocentrismo sciovinisteggiante da un lato, e inconcludente dall’altro.

Insomma, una "direzione" completamente incapace di esprimere una linea di indirizzo all’altezza dello scontro in atto, non a caso di colpo surclassata sul piano del riformismo e d’un piano d’azione riformista (il miserrimo riformismo possibile nel quadro del turbocapitalismo d’oggi), da Cofferati e soci. Ma le cause profonde che negli ultimi anni hanno portato in scena una nuova generazione (e non solo) alla mobilitazione stanno tutte lì, anzi sono destinate ad aggravarsi e ad esplodere, e siamo certi che fucineranno, insieme ad un movimento ben altrimenti radicale, una nuova direzione autenticamente anti-capitalista. A condizione, però, che la massa dei manifestanti rimasta estranea finora a questo genere di assisi per soli "addetti ai lavori" (rigorosamente riformisti) ritiri ad esse ed ai loro "protagonisti" ogni genere di delega, anche solo implicita, e cessi di limitarsi alla semplice scesa in campo in occasione delle "grandi scadenze" sobbarcandosi al lavoro di analisi e di indirizzo della lotta in controsenso rispetto alle ideologie, alle politiche e alle forze che mirano a ricondurla alla… ragione, alla "ragione" di una impossibile umanizzazione del capitalismo via appelli ai "potenti della terra".