GUERRA ALL’IRAQ:

UN BILANCIO NECESSARIO

 

Pochi giorni fa Bush ha ufficialmente annunciato la fine dei combattimenti. In queste settimane la stampa e le televisioni si sono impegnate in tutti i modi per farci vedere come le truppe angloamericane controllano “pienamente” la situazione e per dirci che - grazie a tutto ciò - un futuro di “pace”, “democrazia” e “prosperità” attende il popolo iracheno e l’intera regione mediorientale. Insomma, la guerra sarebbe ormai un capitolo definitivamente chiuso e si tratterebbe ora solo di dedicarsi alla costruzione di una “giusta” pace.

Ma la realtà è ben diversa e dietro le facce sorridenti e soddisfatte dei giornalisti e degli “esperti” vari che affollano gli studi televisivi si nasconde l’ennesima montagna di falsità e menzogne. 

Una fiera resistenza

Contro l’Iraq sono state utilizzate in grande stile tutte le più moderne e micidiali armi di distruzione di massa esistenti e le sue città sono state sottoposte per venti giorni ad ininterrotti e feroci bombardamenti. Eppure questo paese di soli venti milioni di abitanti - stremato ed affamato da oltre dieci anni di embargo targato ONU e devastato dalla precedente guerra del ’91 – per tre settimane ha fieramente resistito all’aggressione militare occidentale. Alla fine a giocare a favore degli anglo-americani non è stata solo l’enorme differenza di forza militare disponibile, ma anche altri due fattori.

Uno: l’incapacità della direzione nazionale borghese irachena di organizzare un’efficace resistenza popolare contro l’invasore ed anzi una sua propensione a patteggiare la propria salvezza con il nemico.

Due: il sostanziale isolamento internazionale in cui il popolo iracheno è stato lasciato. Da un lato i vari Stati arabi hanno fatto di tutto per contenere e reprimere il sentimento di aperta ribellione anti-occidentale che nelle masse sfruttate di tutto il Medio Oriente si è andato (e si va) facendo sempre più apertamente strada. D’altro lato qui in Occidente non siamo stati capaci di inceppare realmente la macchina bellica che – direttamente o indirettamente – colpiva Baghdad. E questo è successo anche perché - nonostante le tante importanti e giustissime manifestazioni contro la guerra – non siamo riusciti a dotarci di una politica che si augurasse apertamente la disfatta delle truppe occidentali ed operasse coerentemente in tal senso. Una politica che ad esempio qui in Italia individuasse chiaramente nel governo Berlusconi il nemico da battere con la lotta di piazza e nella resistenza del popolo iracheno l’alleato da sostenere. 

Un’occupazione neo-coloniale

I boss del Pentagono hanno detto che l’occupazione dell’Iraq -a cui l’Italia è chiamata a partecipare con circa tremila uomini- deve servire da esempio a tutti i popoli del Sud del mondo. Un monito per tutti coloro che non vogliono chinare la testa innanzi all’ordine affamatore delle multinazionali occidentali.

Altro che “portare la libertà”! L’esercito anglo-americano è a Baghdad per garantire la rapina a costo zero del petrolio iracheno e per imporre un regime di totale sfruttamento ed oppressione su tutte le masse lavoratrici del paese e dell’intera area. Ne sanno qualcosa i palestinesi contro la cui eroica lotta proprio in questi giorni (nel più indegno silenzio generale) lo Stato d’Israele, appoggiato da tutte le potenze occidentali, sta scatenando un’ulteriore e ancora più cruenta offensiva terroristica. E ne sa qualcosa ovviamente il popolo iracheno che, sfidando le mitragliatrici dell’occupante e lasciando sul terreno decine e decine di caduti tranciati dalle pallottole dei “liberatori”, sta iniziando a scendere ripetutamente in piazza per manifestare contro l’invasore a stelle e strisce

Verso nuove guerre

Siria, Iran, Corea del Nord, Cuba… tanti altri paesi e tanti altri popoli sono già inquadrati nel mirino. L’Iraq è “solo” una tappa della guerra infinita che nel nome del denaro e del mercato è stata dichiarata contro le sterminate masse sfruttate del “terzo mondo”. Una guerra che non nasce dalla “follia” del Bush di turno, ma dalle stringenti necessità del capitalismo internazionale. I signori del dollaro, della sterlina e dell’euro - per difendere ed incrementare i propri profitti - hanno sempre più bisogno di depredare in giro per il pianeta le materie prime, di torchiare a sangue intere popolazioni e di difendere con le armi questo loro ordine schiavistico contro cui - ora apertamente, ora sotterraneamente - monta la ribellione di miliardi di oppressi.

I governi europei stanno anch’essi nella cabina di comando di questa mostruosa macchina di rapina ed oppressione. Per eventuali conferme basta andare a chiedere ai popoli delle ex Jugoslavia, della Somalia o dell’Africa centrale, a quei popoli insomma che recentemente sono stati deliziati dalle bombe e dai proiettili sparati direttamente anche dalla “diversa” e “pacifica” Europa (con l’Italia in prima fila). Il recente contrasto della Francia e della Germania con gli USA non ha mai riguardato la necessità di rapinare l’Iraq. Su questo erano tutti pienamente d’accordo. La “divergenza” era (ed è) su come operare la rapina e su come spartirsi il bottino e, visti gli attuali rapporti di forza, l’aperto e immediato intervento armato avrebbe permesso agli Stati Uniti di fare da “asso piglia tutto”.  

L’aggressione ai popoli del Sud del mondo è anche un attacco contro i lavoratori occidentali

Lo è non solo perché aumentano esponenzialmente le spese militari (Berlusconi vuole un rafforzamento militare dell’Italia in ambito NATO, ma anche i vari Fassino e Rutelli reclamano un potenziamento militare europeo) e parallelamente vengono tagliate quelle sociali come la scuola, le pensioni e la sanità. Lo è soprattutto perché i “nostri” padroni e governi usano la distruzione, la disperazione e la fame che seminano ai quattro angoli del mondo come armi di ricatto economico e politico contro di noi. Ogni giro di corda stretto intorno al collo delle masse del Sud del mondo è un giro di corda che incatena anche noi lavoratori europei ed americani ad una concorrenza sempre più al ribasso dove c’è sempre meno spazio per i diritti, con salari sempre più miseri, e con un lavoro sempre più faticoso, precario e pericoloso. Guardare a quanto è successo negli ultimi dieci anni per credere.

Guerra infinita al Sud del mondo e attacco ai nostri diritti ed alle nostre condizioni generali sono due facce della stessa medaglia e vanno combattute assieme. Nei mesi scorsi contro la guerra all’Iraq in vari posti di lavoro si è discusso e ci si è cominciati anche a mobilitare. Traiamo un bilancio da quanto è accaduto per capire collettivamente come sia tuttora attualissima la necessità di tali discussioni e mobilitazioni e di come esse vadano riprese e rafforzate contro l’occupazione occidentale dell’Iraq, per il ritiro immediato dei soldati italiani dall’Afghanistan e contro qualsiasi invio di truppe tricolori a Baghdad.

Traiamo un bilancio per ragionare su come rendere più incisive le nostre mobilitazioni. Su quanto ad esempio sia sempre più urgente iniziare a predisporsi ad utilizzare l’arma di veri (veri!) scioperi su temi quali la lotta contro la guerra. Su quanto sia importante cominciare ad “aprirsi” realmente alle esigenze dei lavoratori immigrati (la Baghdad in casa nostra) appoggiandone le mobilitazioni e le rivendicazioni. Su quanto insomma sia indispensabile iniziare a legare la necessaria ripresa della lotta per la tutela dei nostri diritti e delle nostre condizioni a quella  per il sostegno “senza se e senza ma” della lotta delle masse sfruttate del Sud del mondo contro i nostri Governi e Stati.

 

Organizzazione Comunista Internazionalista